Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44875 del 22/10/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 44875 Anno 2013
Presidente: DE ROBERTO GIOVANNI
Relatore: PETRUZZELLIS ANNA

SENTENZA
sul ricorso proposto da
1. David Passilongo, nato a Latisana il 30/08/1983
avverso la sentenza del 01/10/2012 della Corte d’appello di Trieste
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Anna Petruzzellis;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale,
Eduardo V. Scardaccione che ha concluso per l’annullamento con rinvio della
sentenza impugnata, limitatamente al riconoscimento dell’attenuante di cui
all’art. 73 comma 5 d.P.R. 9 ottobre 1990 n.309 ed alla valutazione della
congruità della pena patteggiata;
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’appello di Trieste, con sentenza del 01/10/2012, ha
confermato l’affermazione di responsabilità di David Passilongo pronunciata dal
Tribunale di Udine con provvedimento 08/03/2010, in relazione ai reati di cui
agli artt. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 contestatigli, consumati in tre contesti
temporali differenti.
2. La difesa di David Passilongo, con un primo motivo di ricorso deduce
violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione alla mancata applicazione
della disposizione di cui all’art. 448 cod. proc. pen.
Si richiama in fatto la circostanza che il Gip, in due distinte occasioni, ha
respinto la richiesta di patteggiamento avanzata, con previo consenso del P.m.,
in diverse forme dall’interessato, mentre l’istanza reiterata dalla difesa prima
dell’apertura del dibattimento, non ha ricevuto l’assenso del P.m. d’udienza.

Data Udienza: 22/10/2013

Lamenta il ricorrente che il Tribunale adito non avesse preliminarmente
valutato l’ammissibilità di tale istanza, decidendo nel merito, così non offrendo
alcuna valutazione sulla natura, giustificata o meno, del dissenso formulato dal
P. m.
La Corte territoriale ha respinto il motivo sul punto ritenendo insussistente
l’obbligo di pronuncia da parte del Tribunale, nel caso di dissenso sulla proposta
da parte dell’accusa, assumendone l’intervento nella fase svolta dinanzi al Gip,

mentre ha ignorato la reiterazione delle richieste formulate nella fase
dibattimentale, così erroneamente interpretando la disposizione di cui all’art. 448
cod.proc.pen. ed omettendo di decidere sulla questione sottoposta al suo esame.
3. Con ulteriore motivo si deduce violazione di legge processuale e vizio di
motivazione in riferimento ai motivi di appello proposti in relazione all’episodio
contestato al capo C), riguardante un modesto quantitativo di hashish.
L’accusa sul punto nasceva da una chiamata in correità dell’odierno
ricorrente formulata da tale Cherubini, poi ritrattata in udienza. A fronte dei
plurimi rilievi sollevati nella fase di merito, la Corte ha omesso di argomentare
sui dubbi posti difesa in ordine all’essenzialità delle dichiarazioni, rimaste vaghe
quanto all’individuazione del giorno, del luogo, delle modalità della cessione
curata, ed alla qualità dello stupefacente consegnato all’interessato.
4. Con il terzo motivo si deducono violazioni di cui all’art. 606 comma 1
lett.b),c), d) ed e) cod.proc.pen. in relazione ai motivi d’appello proposti in
ordine al reato di cui al capo B) della rubrica. Richiamate le circostanze di fatto
che, sulla base della pronuncia impugnata attestano la consumazione del reato,
pur in presenza della ritrattazione da parte di uno dei dichiaranti, si lamenta la
sottovalutazione operata dal giudicante degli elementi dedotti in senso opposto
dalla difesa a giustificazione del possesso della somma di denaro da parte del
ricorrente al momento della perquisizione, ritenuta erroneamente elevata, e
pertanto valutata riscontro dell’accusa a suo carico.
Si deduce inoltre che non è stata fornita alcuna argomentazione con
riferimento ai motivi di appello che avevano sottolineato le differenti modalità
attuative dei due episodi individuati da Cherubini all’atto della ricostruzione delle
sue accuse, che escludevano la presenza di un riscontro di credibilità; si osserva
inoltre che è stata svalutata la maggiore forza probatoria delle deposizioni rese
in dibattimento, ambito nel quale il dichiarante aveva ritrattato le precedenti
accuse.
5. Si deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla
mancata applicazione della circostanza attenuante di cui all’art. 73 comma 5
d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, osservando che l’applicazione della disposizione
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invocata è stata esclusa sulla base del mero dato quantitativo, omettendo di
valutare che la sostanza complessivamente considerata non appare cospicua, ma
che in ogni caso, secondo la tesi accusatoria, l’interessato ha rifornito il solo
Cherubuni, in contesti temporali ravvicinati, circostanza che riduce l’allarme
sociale della condotta e permette il riconoscimento dell’attenuante invocata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente inammissibile.

2. L’eccezione procedurale è fondata su un presupposto di fatto del tutto
insussistente, poiché richiama lo svolgimento di una fase dibattimentale di primo
grado, nel corso della quale il giudicante non avrebbe esercitato i poteri di cui
all’art. 448 cod. proc. pen. che l’esame degli atti ha permesso di accertare mai
esistita.
È stato invece accertato che l’interessato ha reiterato la richiesta di
applicazione della pena, già respinta in precedenza, nel corso dell’udienza
preliminare, e che tale richiesta che non ha avuto il consenso del P.m. A fronte di
tale situazione di fatto l’interessato ha contestualmente formulato istanza di
ammissione al rito abbreviato condizionato, il cui accoglimento ha consentito la
definizione del giudizio senza accedere alla fase dibattimentale.
La circostanza richiamata esclude l’applicazione della disposizione di cui
all’art. 448 cod. proc. pen., che espressamente prevede per il solo giudice del
dibattimento, la possibilità di applicare la pena richiesta dall’imputato ove si
ritenga ingiustificato il dissenso del P.m., nuova valutazione per la quale non vi
era spazio della condizione realizzata nel concreto, posto che il giudice
dell’udienza preliminare, presso cui pendeva il giudizio, ha la possibilità di
accogliere la richiesta di applicazione della pena solo ove pervenga dalla richiesta
congiunta delle parti, sulla base di quanto chiarito dall’art. 448 comma 1 cod.
proc. pen.
3. Gli ulteriori motivi di ricorso non sono che la testuale riproposizione dei
motivi di gravame esposti nella fase di merito, formulati ignorando quanto
specificamente dedotto sul punto nella sentenza impugnata, con il cui contenuto
il ricorrente non si confronta. Al contrario la pronuncia risulta aver preso in
considerazione tutte le deduzioni difensive, anche con riferimento alla ritenuta
vaghezza degli elementi offerti dal dichiarante Cherubini, superandole, ed il
ricorso, in luogo che dedurre illogicità ricostruttive, o contraddizioni degli
elementi di prova considerati a tal fine, con le diverse risultanza di specifici atti
processuali, lamenta omessa motivazione, graficamente smentita dai rilievi
rinvenuti sul punto.

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4. Analoga mancanza di specificità attinge il ricorso anche in relazione alla
valutazione di attendibilità delle versioni difensive e delle dichiarazioni rese nei
vari contesti dal Cherubini, soffermandosi la pronuncia, quanto al primo profilo,
ad evidenziare l’inconciliabilità logica di queste con le modalità di custodia del
denaro realizzate dal ricorrente ed accertate in sede di perquisizione, e sul
secondo a richiamare le discrasie emergenti sulle ricostruzioni rese nei vari

affermazioni consentono una lettura organica con il complesso delle ulteriori
risultanze.
Anche sotto tale profilo non si rileva il dedotto vizio di motivazione di
natura omissiva, mentre le ulteriori contestazioni mosse al riguardo sono
funzionali ad una diversa lettura nel merito delle risultanze, preclusa in questa
fase.
5. La determinazione in punto di esclusione della qualificazione di lieve
entità dei fatti ascritti al ricorrente, ai fini dell’applicazione dell’attenuante
invocata, risulta svolta in maniera completa e coerente, con richiamo al
quantitativo elevato che risulta trattato in varie occasioni dall’interessato, mentre
gli ulteriori elementi di fatto prospettati dalla difesa, al fine di pervenire ad una
diversa valutazione, non consentono di superare la portata negativa di tali
circostanza.
Deve ricordarsi che tra i plurimi indicatori individuati dalla legge al fine di
riconoscere la lieve entità uno dei più specifici è quello quantitativo, ed è del
tutto pacifico che in situazioni in cui il dato ponderale si discosti sensibilmente da
un quantitativo modesto, come nella specie, ove si tratta di plurime cessioni
superiori ai 100 gr di sostanza stupefacente ciascuna, la presenza di tale unico
indicatore negativo escluda la rilevanza degli ulteriori elementi di fatto richiamati
dalla disposizione invocata (solo da ultimo Sez. 4, n. 43399 del 12/11/2010 dep. 07/12/2010, Serrapede, Rv. 248947), ponendosi l’obbligo di una lettura
complessiva solo per l’ipotesi di quantità che non superi i limiti di modestia, in
presenza della quale, per la sua scarsa indicatività, assume rilevanza l’analisi
delle condizioni dell’azione (Sez. 6, n. 27809 del 05/03/2013 – dep.
25/06/2013, Gallo, Rv. 255856).
In tal senso, mentre la pronuncia risulta aver motivato in maniera
completa sulla determinazione assunta, le obiezioni di segno contrario proposte
dalla difesa, con il richiamo ad altri ipotetici indicatori della tenuità del fatto
appaiono sollecitazioni ad un nuovo giudizio di valore, precluso in questa fase.
6. All’accertamento di inammissibilità del ricorso consegue la condanna
del ricorrente al pagamento delle spese del grado e della somma, indicata in
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momenti del procedimento da parte di Cherubini, evidenziando che solo le prime

dispositivo, in favore della Cassa delle ammende, in applicazione dell’art. 616
cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000 in favore della Cassa delle
ammende.

Così deciso il 22/10/2013

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