Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44873 del 22/10/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 44873 Anno 2013
Presidente: DE ROBERTO GIOVANNI
Relatore: GARRIBBA TITO

SENTENZA
sul ricorso proposto da MARCHESE Francesco, nato il 12.10.1973,

avverso

la sentenza n. 256 emessa il 27 settembre 2011 dalla Corte d’appello di Reggio
Calabria;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Tito Garribba;
udito il pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale
Eduardo Scardaccione, che ha concluso per l’annullamento senza rinvio per i
reati di cui ai capi B e C, perché assorbiti in quello di cui al capo A, con
eliminazione delle rispettive pene; rigetto nel resto;

Data Udienza: 22/10/2013

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza emessa il 27 settembre 2011 nei confronti di Marchese
Francesco, la Corte d’appello di Reggio Calabria così decideva:

ripristinava l’originaria imputazione di detenzione di arma clandestina (art. 23,

comma 3, legge n. 110/1975), in relazione alla pistola Tanfoglio, cal. 6,35, priva dei
contrassegni prescritti, ritenendo erronea la derubricazione – compiuta dal giudice
di primo grado – nel reato di alterazione di arma di cui all’art. 3 legge cit.;
confermava per il resto la condanna per i seguenti reati: capo B, detenzione ille-

gale della predetta pistola (artt. 2 e 7 legge n. 895/1967); capo C, detenzione illegale di 70 cartucce cal. 9 parabellum, munizioni da guerra (art. 2 legge n.
895/1967); capo D, peculato, per essersi appropriato di 70 cartucce cal. 9 parabellum e di 10 cartucce a palettoni cal. 12, della quali aveva il possesso in ragione del
suo ufficio di assistente della polizia di Stato; capo E, ricettazione della ridetta pistola Tanfoglio, provento di alterazione mediante la sostituzione della canna originaria.
Contro la sentenza l’imputato ricorre, formulando i seguenti motivi:
1. violazione degli artt. 516, 521 e 597 cod.proc.pen., assumendo che il

giudice d’appello, rilevato che il fatto era diverso rispetto a quello contestato, avrebbe dovuto annullare la sentenza di primo grado e trasmettere gli atti al pubblico ministero per quanto di competenza in ordine alla
nuova ipotesi di reato;
2. violazione dell’art. 15 cod.pen., per non essere stato ravvisato il rapporto
di specialità tra la disposizione dell’art. 23, comma 3, legge n. 110/1975
e la disposizione di cui agli artt. 2 e 7 legge n. 895/1967;
3. mancanza di motivazione, perché non è stata spiegata la ragione per cui
non è stata riconosciuta per il reato di detenzione illegale di pistola (capo
B) l’attenuante prevista dall’art. 5 legge n. 895/1967;
4. violazione della legge penale e vizio di motivazione in ordine al delitto di
peculato, assumendo che avrebbe ricevuto le cartucce incriminate dall’ispettore Oliverio per le esercitazioni al poligono di tiro e, avendole trattenute per tale finalità, non si sarebbe realizzata la fattispecie appropriativa; comunque, considerato l’esiguo valore della cartucce, difetterebbe
l’offensività della condotta; mancanza di motivazione sull’omessa applicazione dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod.pen.;

5. violazione dell’art. 15 cod.pen., perché tra il delitto di peculato e quello
di detenzione illegale delle munizioni vi sarebbe un concorso apparente
di norme penali, che doveva essere risolto con l’assorbimento del secondo delitto nel primo;
6. vizio di motivazione in ordine al reato di ricettazione, perché la Corte territoriale, nel ritenere la consapevolezza della provenienza delittuosa, non
ha tenuto conto ch’egli aveva ereditato la pistola dal padre, facendo affidamento sulla regolarità dell’arma; inoltre, sempre sotto il profilo del

CONSIDERATO IN DIRITTO

I motivi di ricorso sono manifestamente infondati e, in parte, non consentiti
dalla legge per i seguenti motivi.

sub 1.

Premesso che il capo A dell’imputazione contesta il reato previsto dall’art.

“3, comma 3, legge n.110/1975 con riferimento a una pistola Tanfoglio cal. 6,35
qualificata sia come arma alterata mediante sostituzione della canna sia come arma
clandestina perché sprovvista dei contrassegni prescritti, e che il giudice di primo
grado ha ritenuto dì qualificare il fatto sotto la previsione dell’art. 3 legge cit., si osserva che la corte d’appello, nel ripristinare l’originaria imputazione, non ha affatto
violato – come sostiene il ricorrente – il principio di correlazione tra accusa e sentenza sancito dagli artt. 516 e 521 cod.proc.pen., perché non ha desunto dagli atti
un fatto nuovo o diverso da quello contestato, ma, fermo il fatto descritto nell’imputazione, lo ha semplicemente – e correttamente – ricondotto sotto l’originaria rubricazione. Semmai la violazione del principio di correlazione è stata commessa dal
primo giudice, che, qualificando la detenzione di arma alterata come reato previsto
dall’art. 3 legge cit., ha implicitamente attribuito all’imputato il fatto – questo sì
nuovo – di avere alterato la pistola in discorso, andando quindi oltre il fatto contestato e incorrendo in una violazione di legge che il giudice d’appello ha corretto.

sub 2.

E’ ius receptum che il reato di detenzione o porto di arma clandestina

concorre formalmente con quello di detenzione o porto illegale di arma comune da
sparo, poiché le condotte incriminate ledono beni giuridici diversi: nel primo caso,
l’eliminazione della presenza sul territorio nazionale di armi prive di contrassegni
utili a controllarne provenienza e titolarità; nel secondo caso, l’esigenza di far cono-

dolo, non sarebbe stato provato il fine di profitto.

scere all’autorità l’identità dei possessori delle armi e i luoghi ove sono custodite (v.
Cass., Sez. I, 28.09.2011 n. 5567, Deragna, rv 251821).

sub 3.

Il giudice d’appello ha correttamente negato il riconoscimento dell’atte-

nuante invocata, osservando che essa non è applicabile nel caso di arma clandestina, essendo il fatto caratterizzato da particolare pericolosità per l’ordine pubblico,
attesa l’impossibilità di risalire alla sua provenienza (v. Cass., Sez. I, 10.11.2011 n.
43719, Pellegrino, rv 251459).

La sentenza impugnata ha argomentato – sulla base di un apprezzamento

di fatto, non censurabile in sede di legittimità – che la prolungata detenzione delle
cartucce e il loro mancato utilizzo per lo scopo per il quale erano state consegnate
dimostravano la volontà appropriativa. Ha aggiunto che il valore “tutt’altro che irrisorio” delle cartucce è incompatibile con la tesi dell’inoffensività della condotta e
preclude altresì il riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod.pen.

sub 5.

E’ palese l’inesistenza del preteso rapporto di specialità tra norme incrimi-

natrici, che tutelano beni giuridici affatto eterogenei: il peculato, l’integrità del patrimonio pubblico; la detenzione illegale di munizioni, l’interesse dello Stato al controllo delle armi e relative munizioni.

sub 6.

La sentenza impugnata, con motivazione adeguata e logica, ha osservato

che l’imputato, per la sua qualifica professionale di poliziotto, non poteva ignorare il
carattere delittuoso connesso alla clandestinità e alterazione dell’arma e, quindi,
non poteva non essere consapevole, nel momento in cui acquistò la pistola, di ricevere cosa proveniente da reato.
Il ricorso deve dunque essere dichiarato inammissibile ai sensi dell’art.
606, comma 3, cod.proc.pen. Ne consegue la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma, ritenuta congrua, di euro mille alla Cassa
delle ammende.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e al versamento della somma di euro mille in favore alla
Cassa delle ammende.
Così deciso il 22 ottobre 2013.

sub 4.

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