Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44870 del 25/09/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 44870 Anno 2013
Presidente: PALLA STEFANO
Relatore: PISTORELLI LUCA

SENTENZA

sul ricorso proposto dai difensori di:
Garofalo Gabriele, nato a Salerno, il 16/1/1978;

avverso l’ordinanza del 18/2/2013 del Tribunale di Salerno;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Luca Pistorelli;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Gioacchino Izzo, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito per l’imputato l’avv. Luisa Taldone, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del
ricorso.

RITENUTO IN FATTO

Data Udienza: 25/09/2013

1.Con ordinanza del 18 febbraio 2013 il Tribunale di Salerno in funzione di giudice del
riesame rigettava l’istanza ex art. 309 c.p.p. proposta da Garofalo Gabriele avverso il
provvedimento applicativo della custodia cautelare in carcere emesso nei suoi
confronti dal G.i.p. dello stesso Tribunale il 22 gennaio 2013 per i reati di cui agli artt.
416, 479, 615 ter e 640 comma 2 n. 1 c.p. e 40 commi 1 e 4 d. Igs. n. 504/1995.
La vicenda concerne l’attività di un sodalizio criminoso costituito tra il Garofalo, il
padre Alfonso ed altre persone, finalizzato al commercio di carburante per uso agricolo

sodalizio avrebbe reclutato alcuni tossicodipendenti, fatti figurare mediante falsa
documentazione come imprenditori agricoli, per ottenere dall’UMA della provincia di
Salerno l’assegnazione di carburante ad uso agricolo in regime agevolato di accisa e il
rilascio ai medesimi dei c.d. libretti di controllo necessari all’annotazione di tali acquisti
nella misura autorizzata. I suddetti libretti venivano poi utilizzati per false annotazioni
per giustificare le vendite del carburante effettuate invece, attraverso il deposito
gestito dall’indagato con il padre, ad altre persone ad un prezzo inferiore a quello
ordinario, ma non incorporante per intero l’abbattimento dell’accisa, consentendo così
al sodalizio un ulteriore margine di profitto. Al Garofalo è inoltre contestato, in
concorso con gli agenti di polizia che materialmente hanno commesso il fatto di reato,
il delitto di cui all’art. 615-ter c.p., per aver richiesto a questi ultimi di interrogare la
banca dati delle forze dell’ordine al fine di accertare a chi fosse intestata
un’autovettura che egli aveva notato nei pressi del suo deposito e che sospettava
impegnata in un appostamento ai suoi danni da parte della Guardia di Finanza.

2. Avverso l’ordinanza ricorre a mezzo del proprio difensore il Garofalo articolando
cinque motivi.
2.1 Con il primo motivo deduce l’errata applicazione dell’art. 416 c.p. e correlati vizi
motivazionali, rilevando come in alcun modo dal compendio indiziario di riferimento
emergerebbe la prova della consapevolezza e della volontà del Garofalo di partecipare
ad una associazione a delinquere, tanto che dagli interrogatori dei falsi imprenditori
agricoli reclutati da Memoli Fabio emergerebbe come gli stessi avessero intrattenuto
rapporti esclusivamente con quest’ultimo e mai con l’indagato.
2.2 Con il secondo motivo il ricorrente eccepisce l’errata interpretazione della legge
penale, eccependo il concorso apparente tra l’art. 640 comma 2 n. 1 c.p. e l’art. 40 d.
Igs. n. 504/1995, da risolvere in favore della norma penale tributaria da ultima
menzionata in quanto speciale, con esclusione dunque della configurabilità dell’invece
ritenuto concorso tra i reati di truffa aggravata ai danni della Provincia di Salerno e di
destinazione illecita di carburanti ad accisa agevolata.
2.3 Le censure mosse con il terzo motivo riguardano l’errata applicazione della legge
penale e correlati vizi motivazionali in ordine alla contestazione al Garofalo dei reati

a soggetti non legittimati ad acquistarlo in regime di accisa agevolata. A tal fine il

satellite dell’associazione a delinquere, rilevandosi l’assenza di qualsiasi motivazione a
sostegno del ritenuto coinvolgimento dell’indagato nella loro consumazione o anche
solo della consapevolezza da parte del medesimo degli stratagemmi posti in essere dal
Memoli e dai falsi imprenditori agricoli per ottenere l’autorizzazione all’acquisto di
carburante ad accisa agevolata.
2.4 Con il quarto motivo il ricorrente avanza analoghe doglianze in relazione al reato di
cui all’art. 615-ter c.p., pure contestato al Garofalo, evidenziando il difetto di

agenti di polizia cui egli si era rivolto per sapere a chi fosse intestata la targa
dell’autovettura di cui si è detto in precedenza.
2.5 Con il quinto ed ultimo motivo, infine, vengono eccepite carenze motivazionali del
provvedimento impugnato in merito alla ritenuta sussistenza del pericolo di
reiterazione del reato ed all’adeguatezza e proporzionalità della misura custodiale
applicata al Garofalo. In proposito il ricorrente evidenzia l’astrattezza delle
argomentazioni svolte dal Tribunale in punto di sussistenza delle esigenze cautelari, il
quale avrebbe altresì immotivatamente negato rilevanza al fatto che la famiglia
Garofalo non è più nel possesso del deposito di carburanti, ora nella disponibilità della
curatela fallimentare. Con riguardo al secondo profilo il ricorso invece lamenta il difetto
assoluto di motivazione in merito alla possibilità di arginare la suddetta esigenza
mediante la meno afflittiva misura prevista dall’art. 290 c.p.p.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo, il terzo ed il quarto motivo di ricorso devono ritenersi inammissibili in
quanto tutti indistintamente generici e manifestamente infondati.
1.1 Le doglianze avanzate dal ricorrente sulla sussistenza dei gravi indizi di
colpevolezza del Garofalo per il reato associativo e per quelli satellite contestatigli non
appaiono infatti correlate all’effettivo contenuto della motivazione dell’ordinanza
impugnata. Il Tribunale ha illustrato, in maniera esaustiva e coerente al compendio
indiziario di riferimento, gli elementi che comprovano la sussistenza di una stabile
organizzazione funzionale al contrabbando di carburanti ad accisa agevolata costituita
attraverso l’accordo intervenuto tra l’indagato, il padre e il Memoli, talchè
l’affermazione difensiva per cui egli avrebbe intrattenuto meri rapporti autonomi e
bilaterali con gli altri presunti sodali non riconducibili ad un vincolo associativo non si
confronta con quanto per l’appunto effettivamente argomentato dal provvedimento
impugnato.
1.2 Non di meno i giudici del riesame non hanno omesso di valutare che il menzionato
Memoli avrebbe sostanzialmente negato la consapevolezza da parte del Garofalo della

consapevolezza dell’indagato in merito alle modalità illecite cui sarebbero ricorsi gli

falsità delle qualifiche attribuite agli intestatari dei libretti di controllo, ma hanno, per
contro, ampiamente motivato in modo ancora una volta coerente con l’evidenza
disponibile sulla scarsa attendibilità di tale affermazione, rilevando l’acquisizione di
molteplici elementi convergenti nell’indicare che l’indagato ben sapeva chi avesse
“reclutato” il Memoli, tanto da detenere personalmente i libretti falsi e da effettuare a
nome dei loro intestatari i vaglia postali destinati a sé stesso finalizzati a far risultare il
formale pagamento delle forniture di carburante da parte dei medesimi. Ed il ricorso,

menzionate ovvero l’ignoranza del Garofalo sugli stratagemmi posti in essere dal
Memoli, risulta del tutto assertivo ed omette ancora una volta di correlarsi con la linea
argomentativa sviluppata dal Tribunale, rivelandosi dunque privo della necessaria
specificità.
1.3 E considerazioni analoghe devono essere riservate alle doglianze relative alla
contestazione all’indagato del concorso nell’accesso abusivo alla banca dati delle forze
dell’ordine effettuato dagli agenti di polizia suoi conoscenti. Infatti anche in questo
caso i giudici del merito hanno evidenziato gli elementi che hanno ritenuto comprovare
la consapevolezza del Garofalo sulle modalità illecite con cui sarebbe avvenuto
l’accertamento dell’informazione che aveva richiesto ai suoi complici, individuandoli
nella conversazione intercettata tra l’indagato e l’agente Cerrone alle ore 9.06 del 20
marzo 2012, nel corso della quale il secondo gli confermava che tale accertamento
sarebbe avvenuto attraverso l’interrogazione del sistema informatico, nonché in quella
successiva intrattenuta con l’agente Caiazza, il quale gli riconosceva, all’esito
dell’interrogazione, di aver avuto ragione nel temere che la targa segnalata
appartenesse ad un veicolo in dotazione alle forze dell’ordine. Dalla combinazione di
tali circostanze ed in maniera non manifestamente illogica, il Tribunale ha tratto la
propria convinzione circa la consapevolezza del Garofalo circa l’irregolarità dell’accesso
alla banca dati di cui era stato l’istigatore, mentre, come detto, il ricorrente sul punto
si è limitato a ribadire che egli non poteva rappresentarsi l’abusività dell’accesso,
senza peraltro premurarsi per l’ennesima volta di correlare la doglianza all’illustrato
sviluppo della linea argomentativa seguita dai giudici del merito.

2. Infondato è il secondo motivo del ricorso del Garofalo, con cui sostanzialmente si
sostiene che l’art. 640 c.p. e l’art. 40 d. Igs. n. 504/1995 siano in concorso apparente
tra loro, concorso da risolversi in favore della norma in materia di accise, ritenuta
speciale rispetto a quella comune in applicazione del principio affermato dalle Sezioni
Unite di questa Corte secondo cui è configurabile un rapporto di specialità tra le
fattispecie penali tributarie in materia di frode fiscale ed il delitto di truffa aggravata
ai danni dello Stato, in quanto qualsiasi condotta fraudolenta diretta alla evasione
fiscale esaurisce il proprio disvalore penale all’interno del quadro delineato dalla

nel limitarsi ad affermare la decisiva valenza scagionante delle dichiarazioni

normativa speciale, salvo che dalla condotta derivi un profitto ulteriore e diverso
rispetto all’evasione fiscale, quale l’ottenimento di pubbliche erogazioni (Sez. Un., n.
1235/11 del 28 ottobre 2010, Giordano ed altri, Rv. 248865).
2.1 Come è noto, ricorre un’ipotesi di concorso apparente di norme quando uno stesso
fatto appare contemporaneamente oggetto di incriminazione da parte di più
disposizioni penali, ma in realtà solo una di esse è destinata a trovare effettiva
applicazione, con conseguente esclusione della disciplina dettata per il concorso di

fini della individuazione della disposizione prevalente, il presupposto della convergenza
di norme possa ritenersi integrato solo in presenza di un rapporto di continenza tra le
norme stesse, alla cui verifica deve procedersi mediante il confronto strutturale tra le
fattispecie astratte configurate e la comparazione degli elementi costitutivi che
concorrono a definirle (così ancora da ultime le stesse Sezioni Unite in precedenza
citate).
2.2 Alla luce degli illustrati e consolidati principi elaborati da questa Corte in materia
sembra allora potersi escludere che l’art. 640 c.p. e l’art. 40 lett. c) d. Igs. n.
504/1995 possano ritenersi in rapporto di specialità, atteso che il ricorso alle modalità
fraudolente che caratterizzano la fattispecie della truffa, non è elemento costitutivo di
quella disciplinata dalla disposizione speciale in materia di accise, la quale punisce la
mera destinazione degli oli minerali ad un utilizzo diverso rispetto a quello per cui è
concessa l’agevolazione di imposta dalla legge tributaria, talchè tale diversa
destinazione può avere ad oggetto anche carburanti conseguiti legittimamente in
regime di agevolazione. Né appare rilevante nel caso di specie il principio affermato
dalle Sezioni Unite Giordano invocato dal ricorrente, atteso che lo stesso riguarda la
specifica ipotesi del concorso tra il reato di truffa e quelli tributari a struttura
fraudolenta e non è destinato a regolare qualsiasi ipotesi di convergenza tra l’art. 640
c.p. e una fattispecie incriminatrice posta a tutela degli interessi fiscali.
2.3 Peraltro deve evidenziarsi come nel caso di specie nemmeno sembri configurabile
un concorso apparente di norme, difettando in tal senso l’identità del fatto materiale
sul quale dovrebbe registrarsi la convergenza di norme incriminatrici. Infatti, per come
prospettato nel provvedimento impugnato, del tutto autonomi e distinti sono i fatti
oggetto di contestazione, senza che ai presenti fini rilevi l’eventuale connessione
teleologica che li avvince.

3. Infondate appaiono anche le doglianze in merito alla ritenuta sussistenza del
pericolo di reiterazione del reato, che il Tribunale ha esaurientemente motivato in2
..

relazione alla intrinseca gravità dei fatti contestati, legittimamente dedotta dalla
durata dell’attività criminosa e dalla rilevanza del profitto conseguito, nonché dal
comportamento dell’indagato, ritenuto sintomatico della sua propensione a delinquere

reati, in forza del criterio di specialità recepito nell’art. 15 c.p., il quale richiede che, ai

non avendo egli desistito dal suo intento criminoso nemmeno dopo aver avuto
contezza dell’avvio delle indagini a carico della sua attività. Tutte circostanze che
evidenziano nei richiesti termini di concretezza il pericolo di recidivanza, nel mentre
del tutto irrilevante è la circostanza che i giudici del riesame non abbiano preso in
considerazione il fatto che i Garofalo siano stati spogliati del deposito carburanti.
Infatti la censura risulta innanzi tutto inammissibile, traducendosi nella denuncia di un
travisamento della prova per omessa considerazione di una circostanza che solo

meno allegare) l’atto del procedimento da cui la stessa risulterebbe. Ma anche a
prescindere da tale obiezione, il ricorso non chiarisce la decisività della circostanza di
cui sarebbe stata omessa la valutazione, atteso che il pericolo di recidivanza non è
certo venuto meno a seguito dell’espropriazione del deposito di carburanti, atteso che
l’esigenza individuata dalla lett. c) dell’art. 274 c.p.p. riguarda il pericolo che il
destinatario della misura cautelare commetta delitti della stessa specie e non già che
prosegua nella medesima attività criminosa per cui è indagato.

4. Inammissibili risultano infine le residue doglianze del ricorrente in tema di
proporzionalità ed adeguatezza della misura applicata al Garofalo, giacchè anche su
questo punto il Tribunale ha reso specifica motivazione, argomentando in maniera
circostanziata e tutt’altro che illogica sull’infungibilità della custodia carceraria, senza
che il ricorrente si sia preoccupato di confrontarsi criticamente con tale apparato
giustificativo, limitandosi invece a prospettare una lettura soggettivamente orientata
della situazione cautelare alternativa a quella fatta motivatamente propria dal giudice
di merito nel tentativo di sollecitare quello di legittimità ad una rivisitazione degli
elementi di fatto posti a fondamento della decisione o all’autonoma adozione di nuovi e
diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei medesimi, che invece gli sono
precluse ai sensi della lett. e) del citato art. 606.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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