Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44869 del 25/09/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 44869 Anno 2013
Presidente: PALLA STEFANO
Relatore: PISTORELLI LUCA

SENTENZA

sul ricorso proposto dai difensori di:
Garofalo Alfonso, nato a Salerno, il 16/1/1978;

avverso l’ordinanza del 18/2/2013 del Tribunale di Salerno;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Luca Pistorelli;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Gioacchino Izzo, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito per l’imputato l’avv. Luisa Taldone, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del
ricorso.

RITENUTO IN FATTO

Data Udienza: 25/09/2013

1.Con ordinanza del 18 febbraio 2013 il Tribunale di Salerno in funzione di giudice del
riesame rigettava l’istanza ex art. 309 c.p.p. proposta da Garofalo Alfonso avverso il
provvedimento applicativo degli arresti domiciliari emesso nei suoi confronti dal G.i.p.
dello stesso Tribunale il 22 gennaio 2013 per i reati di cui agli artt. 416, 479, 482, e
640 comma 2 n. 1 c.p. e 40 commi 1 e 4 d. Igs. n. 504/1995.
La vicenda concerne l’attività di un sodalizio criminoso costituito tra il Garofalo, il figlio
Gabriele ed altre persone (tra cui Memoli Fabio), finalizzato al commercio di

agevolata. A tal fine il sodalizio avrebbe reclutato alcuni tossicodipendenti, fatti
figurare mediante falsa documentazione come imprenditori agricoli, per ottenere
dall’UMA della provincia di Salerno l’assegnazione del carburante ad uso agricolo in
regime agevolato di accisa e il rilascio ai medesimi dei c.d. libretti di controllo
necessari all’annotazione di tali acquisti nella misura autorizzata. I suddetti libretti
venivano poi falsamente annotati per giustificare le cessioni di carburante effettuate
invece, attraverso il deposito di cui l’indagato era titolare, ad altre persone e ad un
prezzo inferiore a quello ordinario, ma non incorporante per intero l’abbattimento
dell’accisa, consentendo così al sodalizio un ulteriore margine di profitto.

2. Avverso l’ordinanza ricorre a mezzo dei propri difensori il Garofalo articolando due
motivi.
2.1 Con il primo motivo deduce violazione dell’art. 273 c.p.p. e correlativi vizi
motivazionali del provvedimento impugnato. In particolare il ricorrente lamenta che
l’esistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato sia stata fondata
sostanzialmente su un’unica intercettazione relativa ad una conversazione intrattenuta
con il figlio Gabriele il cui contenuto risulterebbe tutt’altro che univoco, mentre il
Tribunale, per un verso, avrebbe trascurato di considerare che nessuno dei falsi
imprenditori agricoli aveva indicato nel Garofalo l’organizzatore o il promotore
dell’attività illecita e, per l’altro, avrebbe immotivamente svalutato le dichiarazioni del
coindagato Memoli, il quale aveva escluso che egli fosse stato a conoscenza della falsa
qualifica attribuita ai soggetti reclutati per l’intestazione dei libretti di controllo. Non di
meno immotivata sarebbe l’interpretazione delle conversazioni intercettate citate
nell’ordinanza custodiale e valorizzate dal Tribunale, atteso che dal tenore letterale
delle stesse non sarebbe dato comprendere di quale prodotto petrolifero si discuta,
mentre in un occasione l’interlocutore – erroneamente indicato nel figlio del Garofalo inequivocabilmente avrebbe richiesto l’erogazione indifferentemente di carburante ad
uso agricolo ovvero di benzina “bianca” e cioè di quella ordinariamente in vendita ad
accisa non agevolata. Infine, i giudici del riesame avrebbero inspiegabilmente
sostenuto la propria decisione riprendendo alcune delle argomentazioni utilizzate
nell’ordinanza custodiale a proposito del figlio dell’indagato. Sempre con il primo

carburante per uso agricolo a soggetti non legittimati ad acquistarlo in regime di accisa

motivo il ricorrente deduce, infine, l’errata applicazione della legge penale, eccependo
la specialità delle fattispecie penali tributarie in materia di frode fiscale e il contestato
delitto di truffa aggravata ai danni dello Stato.
2.2 Con il secondo motivo vengono mosse ulteriori censure alla motivazione del
provvedimento impugnato in merito alla ritenuta sussistenza del pericolo di
reiterazione del reato. In proposito il ricorrente ritiene immotivato il peso specifico
attribuito dal Tribunale al precedente da cui il Garofalo risulta gravato, atteso che lo

contrariamente a quanto accertato nell’attualità, egli gestiva in prima persona il
deposito carburanti, talchè il suddetto precedente non si rivelerebbe significativo ai fini
della formulazione di una prognosi negativa sul futuro comportamento dell’indagato.
Per il resto l’apparato giustificativo dell’ordinanza impugnata sul punto si risolverebbe
in un generico riferimento ai fatti contestati, senza alcuna illustrazione degli elementi
che consentirebbero di ritenere concreta ed attuale l’esigenza cautelare individuata. Il
Tribunale, inoltre, avrebbe omesso di considerare che il deposito di carburanti è stato
dapprima sottoposto a sequestro e successivamente restituito al curatore fallimentare
sotto la condizione di non affittarlo al Garofalo ed ai suoi familiari, circostanza che
evidenzierebbe l’impossibilità per l’indagato di reiterare i reati in contestazione. Infine
del tutto assente nel provvedimento impugnato sarebbe qualsiasi motivazione in
merito all’inadeguatezza di misure meno afflittive di quella in corso di esecuzione ad
arginare l’evidenziata esigenza cautelare.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 primo motivo di ricorso è per certi versi inammissibile e comunque infondato.
1.1 In proposito è innanzi tutto necessario ricordare che in sede di legittimità è
possibile prospettare una interpretazione del significato di una intercettazione diversa
da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza del travisamento della prova,
ovvero nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo
difforme da quello reale, e la difformità risulti decisiva ed incontestabile (Sez. 6, n.
11189 dell’8 marzo 2012, Asaro, Rv. 252190) e che l’interpretazione del linguaggio e
del contenuto delle conversazioni intercettate costituisce questione di fatto, rimessa
alla valutazione del giudice di merito, che si sottrae al sindacato di legittimità se
motivata in conformità ai criteri della logica e delle massime di esperienza (Sez. 6, n.
11794 del 11 febbraio 2013, Melfi, Rv. 254439). Va altresì ribadito come sia
inammissibile il ricorso per cassazione quando manchi l’indicazione della correlazione
tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento
dell’atto d’impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento

stesso sarebbe risalente e comunque relativo a reato commesso dall’indagato quando,

censurato (Sez. 2, n. 19951 del 15 maggio 2008, Lo Piccolo, Rv. 240109; Sez. 1 n.
39598 del 30 settembre 2004, Burzotta, Rv. 230634).
1.2 Ciò premesso deve osservarsi che il Tribunale ha diffusamente argomentato sulla
sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico del Garofalo e con motivazione non
manifestamente illogica e coerente all’evidenza disponibile ha individuato in una serie
di intercettazioni ambientali il nucleo di elementi che lo collegano all’attività illecita
oggetto di contestazione, la cui effettiva consumazione non è posta in discussione dal

conversazioni selezionate. Censura che in realtà si riduce all’obiezione per cui non
sarebbe sufficientemente provato che tali conversazione avessero ad oggetto la
fornitura di “nafta agricola”, omettendo il necessario confronto con quanto
effettivamente argomentato dal Tribunale in ordine al contenuto delle frasi pronunziate
dall’indagato nelle diverse occasioni e del significato da attribuire alle stesse, tenuto
conto del contesto fattuale in cui erano state pronunziate. Infatti i giudici del riesame
hanno dedotto dalla preoccupazione dimostrata dall’indagato nelle conversazioni
intercettate il 22 marzo 2012 per l’interessamento della polizia tributaria all’attività del
deposito la sua consapevolezza dell’irregolarità delle erogazioni effettuate presso il
distributore, ma soprattutto a tale conclusione sono giunti in ragione del fatto che in
tale frangente egli esplicitamente e ripetutamente abbia riferito, sia al figlio che a un
cliente, della necessità di fornire il carburante in luogo appartato o di recapitarlo con il
camion, cessando ogni erogazione presso il deposito. La linea argomentativa così
sviluppata appare immune da qualsiasi caduta di consequenzialità logica, mentre le
doglianze difensive sul punto risultano all’evidenza tanto assertive, quanto generiche.
1.3 Con specifico riferimento alla conversazione delle 17.08, sulla quale il ricorrente ha
concentrato le sue attenzioni, deve evidenziarsi come il provvedimento impugnato dia
correttamente conto di come il colloquio si sia svolto tra il Garofalo ed un ignoto
acquirente e di come quest’ultimo fosse disponibile ad accettare anche l’erogazione di
nafta “bianca” (intendendosi verosimilmente quella venduta ad accisa piena), ma
altresì della risposta del Garofalo – invece del tutto trascurata nel ricorso -, che per
l’appunto si dimostra a sua volta disponibile a consegnare qualsiasi quantità di
carburante, purchè fuori dal deposito, potendo in tal caso, nell’ipotesi di un controllo,
simulare un errore sul destinatario della fornitura. Interpretazione questa che appare
coerente al tenore letterale delle frasi pronunziate dal Garofalo e riportate
nell’ordinanza e sulla base della quale il Tribunale ha inferito altrettanto
coerentemente che l’indagato si riferisse alla possibilità di fornire carburante in
evasione di accisa, secondo uno schema ben sperimentato presso il suo deposito, a
prescindere che nell’occasione specifica ciò sia poi avvenuto.
1.4 Parimenti generiche appaiono anche le doglianze relative all’esposizione di indizi
afferenti alla posizione di Garofalo Gabriele, giacchè le stesse estrapolano un elemento

ricorrente, che invece censura l’interpretazione fornita dall’ordinanza delle

senza tenere conto del complessivo ragionamento probatorio svolto dal Tribunale e di
come tale elemento vi si inserisca. Non di meno il ricorrente non spiega – come invece
suo dovere – in che modo l’eventuale inconferenza dell’elemento considerato sarebbe
in grado di inficiare la tenuta logica dell’intero ragionamento svolto nell’ordinanza
impugnata. In realtà deve . osservarsi sul punto come i giudici del merito abbiano
ritenuto che la prova del consapevole coinvolgimento dell’indagato nel contrabbando di
carburanti svolto presso il deposito gestito con i suoi familiari implichi anche Ja sua

controllo intestati a falsi imprenditori agricoli, il coinvolgimento nella quale del figlio
dell’indagato i brani dell’ordinanza richiamati del ricorrente tende ad evidenziare. Ma
v’è da dire che tale consapevolezza è documentata dai giudici del merito anche in altra
maniera e cioè evocando il contenuto di altra conversazione intercettata (quella del 3
aprile 2012) in cui il Garofalo interviene nel colloquio intrattenuto dal figlio con un
potenziale cliente per spiegargli di come sia necessario, per procedere alle erogazioni
“clandestine”, procacciarsi prima un falso libretto di controllo.

2. Infondate appaiono invece le ulteriori doglianze relative al difetto di chiamate in
correità riguardanti il Garofalo da parte dei falsi imprenditori agricoli utilizzati dal
sodalizio ed all’incompatibilità di tale dato fattuale con il ruolo di organizzatore o
promotore assegnato all’indagato.
2.1 II Tribunale si è infatti ancora una volta dilungato nell’illustrare le modalità
organizzative dell’attività del sodalizio, precisando come il compito di reclutare i falsi
imprenditori agricoli e di mantenere i rapporti con i medesimi spettasse al solo Mennoli,
nell’ambito di una ripartizione dei ruoli che i giudici del riesame hanno tra l’altro
coerentemente ritenuto sintomatico di un contesto associativo. In tale ottica gli stessi
giudici hanno dunque implicitamente e logicamente ritenuto irrilevante che tali
soggetti non abbiano chiamato in correità il Garofalo, atteso che il modulo
organizzativo ideato non comportava alcun contatto tra quest’ultimo e i formali
destinatari del carburante venduto in evasione di accisa. Né d’altra parte il ricorrente
ha evidenziato in che modo la circostanza presuntivamente trascurata risulterebbe
decisiva per escludere il ruolo attribuito all’indagato in seno al sodalizio criminoso,
posto che l’organizzatore di un’associazione, per essere ritenuto tale, non deve
necessariamente essere investito di compiti di coordinamento e di direzione
dell’attività di altri soggetti (Sez. 5, n. 39378 del 22 giugno 2012, Marini e altri, Rv.
254317).
2.2 Nuovamente inammissibili, stante la loro genericità, risultano invece le lamentele
del ricorrente sulla presunta decisività delle dichiarazioni a discarico rese dal Memoli
nel corso del suo interrogatorio. I giudici del riesame non hanno infatti omesso di
valutare che il coindagato avrebbe sostanzialmente negato la consapevolezza da parte

consapevolezza della parallela .attività di procacciamento e gestione dei libretti di

del Garofalo della falsità delle qualifiche attribuite agli intestatari dei libretti di
controllo, ma, hanno per contro ampiamente motivato in modo coerente al compendio
indiziario di riferimento sulla scarsa attendibilità di tale affermazione, rilevando
l’acquisizione di molteplici elementi convergenti nell’indicare che l’indagato e il figlio
ben sapevano chi avesse “reclutato” il Memoli. E la doglianza difensiva, nel limitarsi ad
affermare la decisiva valenza scagionante delle dichiarazioni menzionate, omette
qualsiasi confronto con la linea argomentativa sviluppata dal Tribunale, rivelandosi

3. Infondata è la doglianza con cui sostanzialmente si sostiene che l’art. 640 c.p. e
l’art. 40 d. Igs. n. 504/1995 siano in concorso apparente tra loro, concorso da
risolversi in favore della norma in materia di accise, ritenuta speciale rispetto a quella
comune in applicazione del principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte
(implicitamente evocate nel ricorso) secondo cui è configurabile un rapporto di
specialità tra le fattispecie penali tributarie in materia di frode fiscale ed il delitto di
truffa aggravata ai danni dello Stato, in quanto qualsiasi condotta fraudolenta diretta
alla evasione fiscale esaurisce il proprio disvalore penale all’interno del quadro
delineato dalla normativa speciale, salvo che dalla condotta derivi un profitto ulteriore
e diverso rispetto all’evasione fiscale, quale l’ottenimento di pubbliche erogazioni (Sez.
Un., n. 1235/11 del 28 ottobre 2010, Giordano ed altri, Rv. 248865).
3.1 Come è noto, ricorre un’ipotesi di concorso apparente di norme quando uno stesso
fatto appare contemporaneamente oggetto di incriminazione da parte di più
disposizioni penali, ma in realtà solo una di esse è destinata a trovare effettiva
applicazione, con conseguente esclusione della disciplina dettata per il concorso di
reati, in forza del criterio di specialità recepito nell’art. 15 c.p., il quale richiede che, ai
fini della individuazione della disposizione prevalente, il presupposto della convergenza
di norme possa ritenersi integrato solo in presenza di un rapporto di continenza tra le
norme stesse, alla cui verifica deve procedersi mediante il confronto strutturale tra le
fattispecie astratte configurate e la comparazione degli elementi costitutivi che
concorrono a definirle (così ancora da ultime le stesse Sezioni Unite in precedenza
citate).
3.2 Alla luce degli illustrati e consolidati principi elaborati da questa Corte in materia
sembra allora potersi escludere che l’art. 640 c.p. e l’art. 40 lett. c) d. Igs. n.
504/1995 possano ritenersi in rapporto di specialità, atteso che il ricorso alle modalità
fraudolente che caratterizzano la fattispecie della truffa, non è elemento costitutivo di
quella disciplinata dalla disposizione speciale in materia di accise, la quale punisce la
mera destinazione degli oli minerali ad un utilizzo diverso rispetto a quello per cui è
concessa l’agevolazione di imposta dalla legge tributaria, talchè tale diversa
destinazione può avere ad oggetto anche carburanti conseguiti legittimamente in

dunque privo della necessaria specificità.

regime di agevolazione. Né appare rilevante nel caso di specie il principio affermato
dalle Sezioni Unite Giordano invocato dal ricorrente, atteso che lo stesso riguarda la
specifica ipotesi del concorso tra il reato di truffa e quelli tributari a struttura
fraudolenta e non è destinato a regolare qualsiasi ipotesi di convergenza tra l’art. 640
c.p. e una fattispecie incriminatrice posta a tutela degli interessi fiscali.
3.3 Peraltro deve evidenziarsi come nel caso di specie nemmeno sembri configurabile
un concorso apparente di norme, difettando in tal senso l’identità del fatto materiale

prospettato nel provvedimento impugnato, del tutto autonomi e distinti sono i fatti
oggetto di contestazione, senza che ai presenti fini rilevi l’eventuale connessione
teleologica che li avvince.

4. Inammissibile risulta infine anche il secondo motivo, nella parte in cui eccepisce la
violazione dell’art. 274 c.p.p. e contesta la motivazione del provvedimento impugnato
sulla sussistenza delle esigenze cautelari, atteso che ancora una volta il confronto con
l’articolato apparato giustificativo predisposto sul punto dai giudici del merito risulta
parziale ed in tal senso aspecifico. Infatti il Tribunale ha ancorato la propria
valutazione sul pericolo di recidivanza a tre parametri: gravità dei fatti contestati,
dedotta dalla loro sistematicità e dalla complessiva entità delle accise evase, nonchè
dall’ampio arco temporale in cui gli stessi sono stati consumati; esistenza di un
precedente specifico a carico dell’indagato; prosecuzione dell’attività criminosa anche
dopo l’acquisita consapevolezza dell’avvio di indagini sul conto della sua attività. E
parimenti inammissibile e comunque infondata risulta anche l’eccepita carenza di
motivazione del provvedimento impugnato in punto di adeguatezza della misura,
atteso che la doglianza è solo genericamente prospettata e non tiene conto delle
considerazioni svolte dai giudici del riesame sull’intensità della rilevata esigenza
cautelare, da cui implicitamente gli stessi hanno legittimamente dedotto l’adeguatezza
del regime cautelare applicato al Garofalo.
P.Q. M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 25/9/2013

sul quale dovrebbe registrarsi la convergenza di norme incriminatrici. Infatti, per come

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