Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44849 del 16/07/2014

Penale Sent. Sez. 5 Num. 44849 Anno 2014
Presidente: PALLA STEFANO
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
X.Y.
avverso la sentenza n. 2040/2013 CORTE APPELLO di MILANO, del
11/07/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 16/07/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FERDINANDO LIGNOLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 16/07/2014

Il Procuratore generale della Corte di cassazione, dr. Mario Fraticelli, ha
concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

l’aggravante di cui all’art. 219, comma 1, della legge fallimentare, ha
confermato l’affermazione di responsabilità di X.Y. , in relazione
al reato di bancarotta fraudolenta per distrazione, per avere, nella qualità
di amministratore unico della X.Y. s.p.a. dal 13/06/2007 al
02/02/2010, distratto vari beni aziendali.
2. Nell’interesse dell’imputato è stato proposto ricorso per cassazione,
affidato ai seguenti motivi.
2.1. Con il primo motivo, si lamentano vizi motivazionali e violazione di
legge, con riferimento alla ritenuta sussistenza dell’elemento psicologico
del reato e del nesso di causalità tra la condotta contestata e il dissesto.
In particolare il ricorrente, con riguardo alla distrazione del quadro “Venere
e Adone”, critica le affermazioni della Corte territoriale, secondo cui
sarebbe irrilevante sia il fatto che l’imputato avesse denunciato la
sparizione del bene alla Guardia di Finanza, sia la circostanza che, al
momento del fatto, la società non si trovasse in stato di conclamato
dissesto.
Al riguardo, si rileva: a) che la necessità della sussistenza del nesso di
causalità tra la condotta distrattiva e il dissesto ha trovato conferme nella
più recente giurisprudenza di legittimità; b) che le considerazioni della
sentenza impugnata, quanto alla comunque accertata dipendenza del
dissesto dei comportamenti distrattivi dell’imputato e alla presenza
dell’elemento psicologico, in ragione della reticenza e della mancanza di
collaborazione del X.Y. erano, per un verso, tautologiche e, per altro
verso, fondate sul comportamento successivo di quest’ultimo, piuttosto che
sull’analisi dei singoli atti a lui imputati.
2.2. Con il secondo motivo, si lamenta erronea applicazione dell’art. 533
cod. proc. pen. ed eccessività della pena irrogata.

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1. Con sentenza dell’Il luglio 2013, la Corte d’appello di Milano, esclusa

Il ricorrente sottolinea, quanto al mancato riconoscimento delle circostanze
attenuanti generiche: a) che gli atti distrattivi contestati si collocano e si
esauriscono nel 2008; b) che anche successivamente alla nomina
dell’amministratore giudiziario, il X.Y. aveva cercato di far fronte ai
creditori sociali anche con mezzi personali; c) che il quadro “Venere e

fatto tutto il possibile per recuperarlo.
Si aggiunge che, anche alla luce di questi elementi, la pena non avrebbe
potuto comunque discostarsi dal minimo.
In ogni caso, si ribadisce: a) che il fallimento non sarebbe comunque stato
evitato, dal momento che la metà del passivo è costituito dal credito dei
professionisti, intervenuti nella gestione giudiziaria della società; b) che
occorreva tenere conto del ridotto valore del quadro “Venere e Adone”, che
aveva indotto la Corte territoriale ad escludere la circostanza aggravante
del danno di rilevante entità.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
Prima di esaminare i dedotti vizi motivazionali, in punto di natura
distrattiva della condotta contestata, si deve ribadire che, nonostante
l’isolata decisione di Sez. 5, n. 47502 del 24/09/2012, Corvetta, Rv.
253493, la giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che il delitto
di bancarotta fraudolenta per distrazione è reato di pericolo a dolo
generico, per la cui sussistenza, pertanto, non è necessario che l’agente
abbia consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, né che abbia
agito allo scopo di recare pregiudizio ai creditori (Sez. 5, n. 3229 del
14/12/2012 – dep. 22/01/2013, Rossetto, Rv. 253932; Sez. 5, n. 232 del
09/10/2012 – dep. 07/01/2013, Sistro, Rv. 254061). Occorre piuttosto che
la condotta distrattiva, idonea a determinare uno squilibrio tra attività e
passività – ossia un pericolo per le ragioni creditorie – risulti assistita dalla
consapevolezza di dare al patrimonio sociale, o ad alcune attività, una
destinazione diversa rispetto alla finalità dell’impresa e di compiere atti che
possano cagionare danno ai creditori: occorre, in altre parole, che l’agente,

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Adone” era stato illecitamente sottratto da terzi e che l’imputato aveva

pur non perseguendo direttamente tale danno, sia quantomeno in
condizione di prefigurarsi una situazione di pericolo (Sez. 5, n. 40726 del
06/11/2006, Abbate, Rv. 235767).
Così come è stato ribadito che, ai fini della sussistenza del reato di
bancarotta fraudolenta patrimoniale non è necessaria l’esistenza di un

27993 del 12/02/2013, Di Grandi, Rv. 255567).
Escluso, pertanto, che ricorra la dedotta violazione di legge, osserva la
Corte che la sentenza impugnata, con motivazione che non palesa alcuna
manifesta illogicità, ha qualificato come distrattiva la condotta
dell’imputato, il quale, in data 18 giugno 2008, aveva lasciato il quadro
“Venere e Adone” a garanzia del suo debito di euro 160.000,00, maturato
nei confronti di tal F. per l’acquisto di altri dipinti. E ciò in quanto
l’impiego del quadro a garanzia del pagamento di obbligazioni personali
rivelava chiaramente una sottrazione del bene alle finalità sociali.
D’altra parte, le infruttuose iniziative intraprese dal X.Y. al fine di
recuperare il quadro non assumono alcun rilievo, proprio perché non hanno
eliso l’avvenuta distrazione del bene.
Peraltro, tale condotta si inseriva in un contesto caratterizzato da altre
distrazioni di beni (quadri, tappeti e stampe), con ciò rivelando, secondo il
razionale apprezzamento dei giudici di merito, la piena consapevolezza del
potenziale pregiudizio per i creditori derivante dall’atto del quale si discute.
La valorizzazione della scarsa collaborazione prestata dall’imputato alla
ricostruzione dei beni aziendali, in siffatto tessuto argomentativo, vale ad
illuminare retrospettivamente le connotazioni soggettive della condotta
contestata.
In questa prospettiva, del pari, nessun significato assume l’entità dei debiti
maturati per le competenze dei professionisti incaricati della gestione della
società e ciò per l’assorbente ragione che il ricorrente non si cura di
confrontarsi con l’argomentazione della Corte territoriale, secondo cui,
quando nel 2010 venne nominato l’amministratore giudiziario, la società
era già in difficoltà economica (anzi, lo stesso ricorrente, a pag. 7 dell’atto
di impugnazione, riconosce che i primi decreti ingiuntivi erano intervenuti
nel 2009).

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nesso causale tra i fatti di distrazione ed il successivo fallimento (Sez. 5, n.

Per completezza, va fatto un cenno alle censure, per vero non contenute
nei motivi, ma nella premessa in fatto del ricorso, che investono il mancato
rinvenimento delle somme ricavate dalla vendita di quattro quadri.
Si tratta di doglianze inammissibili, poiché, a fronte dell’affermazione della
sentenza impugnata, secondo cui il denaro non è mai stato rinvenuto, non

2. Inammissibile è il secondo motivo di ricorso.
Posto che la valutazione di insussistenza del danno di rilevante gravità ha
già condotto all’esclusione dell’aggravante di cui all’art. 219, comma primo,
I. fall., osserva la Corte che la sentenza impugnata, con motivazione che
non esibisce alcuna manifesta illogicità, ha dato conto sia delle ragioni
(oggettiva gravità del comportamento dell’imputato) che hanno condotto al
peraltro lievissimo scostamento dalla pena edittale (anni tre e mesi sei di
reclusione), sia delle considerazioni che hanno giustificato il mancato
riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche (assenza di
collaborazione con i sindaci, con l’amministratore giudiziario e con il
curatore; numero degli atti distrattivi), che rendono del tutto privi di
significato gli elementi valorizzati dal ricorrente (alcuni dei quali, peraltro,
come l’avvenuta utilizzazione di risorse personali per il pagamento dei
creditori, del tutto genericamente affermati e privi di qualunque riferimento
agli atti processuali dai quali si desumerebbero).
3. In conclusione il ricorso va rigettato, con la conseguente condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma il 16 luglio 2014
Il consigliere estensore

Il presidente

spiegano da quale atto processuale si ricaverebbe la prova del contrario.

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