Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44825 del 17/09/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 44825 Anno 2013
Presidente: BEVERE ANTONIO
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di

Lupone Marco Mauro, nato a Milano il 06/12/1965

Manzo Gerardo, nato a Sant’Antonio Abate il 06/08/1938

avverso la sentenza emessa il 03/05/2012 dalla Corte di appello di Milano

visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Eddardo Scardaccione, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del
ricorso

RITENUTO IN FATTO

Il difensore di Marco Mauro Lupone e di Gerardo Manzo ricorre avverso la
sentenza indicata in epigrafe, con cui sono stati dichiarati inammissibili gli appelli
presentati dagli stessi Lupone e Manzo nei confronti della sentenza del Tribunale

Data Udienza: 17/09/2013

di Lodi emessa il 16/11/2010. Gli imputati, condannati ad anni 2 e mesi 3 di
reclusione ed euro 500,00 di multa ciascuno per il delitto di concorso in furto
pluriaggravato, avevano infatti impugnato la pronuncia di primo grado
sviluppando motivi che la Corte territoriale – comunque all’esito del
contraddittorio – riteneva generici, anche perché formulati senza un diretto
raccordo con le argomentazioni adottate dal giudicante.
La difesa si duole di tale valutazione, reputando che non debba essere
consentito al giudice del merito di «privare ad libitum l’imputato del diritto ad un

dalla Corte di appello per dichiarare l’inammissibilità delle impugnazioni
renderebbe palese come i motivi di gravame siano stati esaminati nel merito. Né
comunque avrebbero potuto ritenersi inammissibili i profili di doglianza
concernenti il trattamento sanzionatorio, dal momento che (fra l’altro) «gli
appellanti avevano evidenziato e sottolineato le ragioni della lamentata
eccessività, che risiedevano per il Lupone nella incensuratezza e per il Manzo
nella avanzata età».

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Deve convenirsi con il giudizio di inammissibilità dell’appello presentato
nell’interesse degli imputati: ciò determina anche l’inammissibilità dell’odierno
ricorso, peraltro fondato sulla sostanziale iterazione degli stessi argomenti. Quel
primo gravame era infatti fondato su un duplice ordine di doglianze, concernenti
rispettivamente il “mancato raggiungimento nella formazione della prova” e la
“eccessività della pena irrogata in concreto”, senza però che le ragioni esposte
fossero effettivamente correlate a specifiche censure del contenuto della
sentenza impugnata, mirando a confutarne le argomentazioni.
In ordine agli elementi istruttori, reputati insufficienti, la difesa osservava
che:
– non vi era prova di una reale identificazione del Manzo, ai sensi dell’art. 349
cod. proc. pen., atteso che il soggetto che risultava sottoposto a controllo da
parte della p.g. aveva solo declinato le proprie generalità, tuttavia non
sottoposte a verifica (inoltre, dell’uomo controllato non erano state evidenziate
minorazioni di sorta, mentre l’imputato è un 74enne titolare di pensione di
invalidità);
– quanto al Lupone, non vi erano state acquisizioni istruttorie indicative di una
sua partecipazione al reato, «se non la sua estemporanea presenza

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secondo grado di giudizio», ed osservando anzi che le ragioni stesse esposte

sull’automezzo, la quale bene potrebbe essere dovuta a qualunque altra
ragione»;
– l’ipotesi di furto aggravato per violenza sulle cose non era fondata su dati
obiettivi, in difetto di immagini fotografiche dell’automezzo rubato: peraltro, il
conducente del mezzo avrebbe potuto avere interesse a dichiarare di non avere
lasciato il veicolo aperto.
Sulla entità della pena comminata agli imputati, questa veniva definita
«eccessiva e sproporzionata rispetto ai fatti contestati», lamentandosi la

segno contrario (stante l’incensuratezza del Lupone); inoltre, gli appellanti
ritenevano che sarebbe stato opportuno contenere la sanzione in termini tali da
consentire la sospensione condizionale, di cui peraltro il Manzo avrebbe potuto
godere nei limiti previsti dall’art. 163, comma terzo, cod. pen.
Tutti gli argomenti appena riassunti si rivelano in effetti generici od
inconferenti.
Sostenere l’inaffidabilità dell’identificazione del Manzo era del tutto arbitrario
e costituiva mera allegazione svincolata dalle risultanze processuali, a fronte di
una sentenza di primo grado che dava comunque atto della circostanza che
l’imputato era stato trovato:
a) a bordo di una “Mercedes” bianca di vecchio modello, nel luogo dove
secondo le precedenti attività di indagine sarebbe stato rinvenibile – su
un’auto di quel tipo – un certo Gerardo, con l’incarico di guidare il
conducente dell’autocarro rubato verso il definitivo ricovero del mezzo;
b) con tanto di carta d’identità indosso, corrispondente appunto alle
generalità (e, deve ovviamente ritenersi, alle sembianze) di Gerardo
Manzo.
Altrettanto pretestuose sono le considerazioni sulla dedotta invalidità
dell’imputato, che non è dato sapere neppure se derivasse da patologie idonee a
determinarne difetti fisici evidenti.
Generica è altresì la deduzione difensiva sulla possibilità (niente affatto
riscontrata o comunque sostenuta nel corso del giudizio di primo grado, in
termini di almeno astratta verosimiglianza) che il Lupone avesse una “qualunque
altra ragione” per trovarsi a bordo dell’autocarro trafugato, ove solo si consideri
che secondo la sentenza del Tribunale di Lodi il veicolo in questione era entrato
al casello di Milano sud alle 20:30 ed era stato controllato dalla Polizia Stradale
di Orvieto alle 02:45, con il Lupone alla guida.
Pretendere poi rilievi fotografici del mezzo pesante era ancora irragionevole,
quando la pronuncia di primo grado aveva dato atto che non solo il camionista
derubato, ma anche un agente scelto della Polizia di Stato, avevano testimoniato

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mancata concessione di attenuanti generiche prevalenti sulle circostanze di

sulla circostanza che la portiera ed il blocchetto di accensione erano stati forzati
(testimonianze del tutto trascurate nel corpo dei motivi di appello).
Circa la determinazione della pena, il giudizio di equivalenza delle attenuanti
generiche rispetto alle altre circostanze risultava espresso dal Tribunale dopo
aver dato contezza delle aggravanti de quibus, fra cui quella della particolare
gravità del danno patrimoniale arrecato; per sollecitare una valutazione di
prevalenza delle attenuanti ex art. 62-bis cod. pen., gli appellanti avevano
evidenziato che quelle aggravanti (a dispetto della diffusa trattazione dedicata al

elemento però già tenuto presente nella sentenza di primo grado e di cui non si
illustrava l’intrinseca idoneità a superare le ragioni di quel giudizio di
comparazione. Priva di basi concrete era infine la dedotta “opportunità” di
pervenire ad una pena condizionalmente sospesa, come pure la precisazione che
il Manzo avrebbe potuto beneficiarne in termini più ampi, risultando a lui
contestata financo la recidiva specifica e reiterata.

2. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., segue la condanna di entrambi gli
imputati al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi
profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, in quanto
riconducibile alla volontà dei ricorrenti (v. Corte Cost., sent. n. 186 del
13/06/2000) – al pagamento in favore della Cassa delle Ammende della somma
di € 1.000,00, così equitativamente stabilita in ragione dei motivi dedotti.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso, e condanna ciascun ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.

Così deciso il 17/09/2013.

tema dal giudicante) non erano provate, e che il Lupone era incensurato,

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