Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4482 del 12/06/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 4482 Anno 2014
Presidente: ZAMPETTI UMBERTO
Relatore: TARDIO ANGELA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
CUCUMAZZO MICHELE N. IL 06/01/1983
avverso l’ordinanza n. 62/2012 CORTE APPELLO di BARI, del
26/06/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANGELA TARDIO;

Data Udienza: 12/06/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 26 giugno 2012 la Corte d’appello di Bari, in funzione
di giudice dell’esecuzione, ha rigettato l’istanza avanzata da Cucumazzo Michele,
volta al riconoscimento del vincolo della continuazione tra i reati giudicati con
quattro sentenze richiamate nella premessa della stessa ordinanza, avuto
riguardo alla distanza temporale tra le violazioni oggetto delle prime tre

inclinazione dell’istante a commettere reati di una certa specie, e alla
insussistenza di elementi dimostrativi della strumentalità delle indicate condotte
rispetto all’attuazione delle finalità del sodalizio di stampo mafioso giudicato con
la quarta sentenza.
2.

Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione

personalmente il condannato, che ne ha chiesto l’annullamento sulla base di
unico motivo con il quale ha dedotto, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e),
cod. proc. pen., carenza e/o manifesta illogicità della motivazione in relazione
alla mancata applicazione degli artt. 81 cod. pen. e 671 cod. proc. pen.
3. In esito al preliminare esame presidenziale, il ricorso è stato rimesso a
questa Sezione per la decisione in camera di consiglio ai sensi degli artt. 591,
comma 1, e 606, comma 3, cod. proc. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato.
1.1. La nozione di continuazione delineata nell’art. 81, comma 2, cod. pen.,
richiede che i fatti siano riferibili a un “medesimo”, dunque originario, disegno
criminoso.
Detta unicità di disegno, necessaria per il riconoscimento della continuazione
in fase di cognizione e in fase esecutiva, non può identificarsi con la generale
tendenza a porre in essere determinati reati o comunque con una scelta di vita
che implica la reiterazione di determinate condotte criminose. Occorre invece che
si abbia una iniziale programmazione e deliberazione di compiere una pluralità di
reati, che possono essere anche non dettagliatamente ab origine progettati e
organizzati, purché siano almeno in linea generale previsti in funzione di
“adattamento” alle eventualità del caso, come mezzo al conseguimento di un
unico fine, prefissato e sufficientemente specifico.
Deve, pertanto, escludersi che una tale programmazione possa essere
desunta sulla sola base dell’analogia dei singoli reati o del contesto in cui essi
sono maturati. Né l’inciso “anche in tempi diversi”, contenuto nell’art. 81,
2

sentenze, la cui identica natura (illegale detenzione di armi) era solo indice della

comma 2, cod. pen., consente di escludere rilevanza all’aspetto del tempo di
commissione dei reati, non potendo ritenersi che la vicinanza temporale
costituisca di per sé “indizio necessario” dell’esistenza del medesimo disegno
criminoso.
1.2. Nella specie, il ricorrente, che ha dedotto la sussistenza di indici
dimostrativi della unitarietà della sua condotta delittuosa per la relazione
intercorrente tra il delitto associativo di natura permanente e i delitti in materia
di armi, ha trascurato le ragioni, coerenti con le emergenze delle sentenze di

corretta in diritto, che i fatti dei quali si chiedeva l’unificazione non potevano in
alcun modo ritenersi il portato di un unico originario disegno criminoso,
limitandosi a opporre deduzioni astratte dal riferimento a dati fattuali concreti e
del tutto infondate, vertendo il giudizio non sul vincolo derivante dal generico
programma dell’ente criminale, ma sulla rapportabilità dei reati giudicati con le
sentenze cui è riferita la richiesta a una più specifica ideazione criminosa sulla
quale poggia l’istituto della continuazione.
2. Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile, con condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché – valutato il
contenuto del ricorso e in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità – al versamento della somma,
ritenuta congrua, di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 12 giugno 2013

Il Consigliere estensore

Il Presidente

condanna, poste dal Giudice dell’esecuzione a fondamento dell’affermazione,

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