Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44799 del 08/10/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 44799 Anno 2015
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: PEZZELLA VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DI ROCCA GUERINO N. IL 20/08/1978
avverso la sentenza n. 2229/2010 CORTE APPELLO di ROMA, del
23/10/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 08/10/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. VINCENZO PEZZELLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.V.P€A2 A-tWAG0 a/iao-no
che ha concluso per
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Data Udienza: 08/10/2015

RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Roma, pronunciando nei confronti dell’odierno ricorrente DI ROCCA GUERINO, con sentenza del 23.10.2014, confermava la sentenza
con cui, in data 15.12.2009, all’esito di giudizio abbreviato, il GUP del Tribunale di
Roma lo aveva condannato, ritenuta l’ipotesi di cui all’art. 73 co. 5 Dpr. 309/90,
operata la riduzione per il rito, alla pena di anni 1, mesi 8 di reclusione ed euro
4000 di multa per la detenzione di mg. 4215 di hashish (pari a 168 dosi), con la

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo
del proprio difensore di fiducia, Di Rocca Guerino, deducendo i motivi di seguito
enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto
dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:

a. Inosservanza ed erronea applicazione di legge ex art. 606 lett. b) cod. proc,
pen. in relazione all’art. 73, comma 5. D.P.R. 309/90 nonché in relazione all’art.
597, comma 3, cod. proc, pen., anche per vizio di contraddittorietà e/o manifesta
illogicità ex art. 606 lett. e) cod. proc, pen., risultante dal testo del provvedimento
impugnato.
Il ricorrente evidenzia che la difesa, con apposito motivo di appello, chiedeva
la riduzione della pena inflitta all’imputato con la sentenza di primo grado.
Il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Roma, a sua volta, in
virtù delle modifiche subite dall’art. 73 D.P.R. 309/90, prima con la dichiarazione
di incostituzionalità in base alla sentenza n. 32/2014 della Corte Costituzionale e,
successivamente, con l’entrata in vigore della Legge n. 79 del 2014, chiedeva che
venisse ridotta la pena inflitta all’imputato.
La Corte di Appello di Roma riteneva di non dovere accogliere la congiunta
richiesta del Procuratore Generale e della difesa, in quanto “la pena inflitta dal
giudicante, pur tenuto conto delle intervenute modifiche edittali, è congrua e aderente ai criteri dell’art. 133 c.p. e tiene conto non solo del numero non modesto di
dosi ricavabili dallo stupefacente rinvenuto ma anche, sotto H profilo della condotta
antecedente al reato, della circostanza che i gr. 16 circa di hashish costituivano la
minor parte residua della maggiore quantità detenuta e già ceduta”.
Ebbene, si lamenta che la Corte di Appello non abbia tenuto nel minimo conto
che, in ipotesi di incostituzionalità di una norma incriminatrice quod poenam, non
si verifica affatto un caso fisiologico di successione meramente modificativa in
senso favorevole (con applicabilità dell’art. 2 comma 4 c.p.), bensì un fenomeno
“patologico” sotto il profilo costituzionale, con riflessi sul trattamento sanzionatorio
che impongono la rideterminazione della pena. Invero, quand’anche la pena in
concreto inflitta risulti compresa nella nuova “forbice edittale”, la stessa non può

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recidiva infraquinquennale, in Roma il 6.12.2008

ritenersi costituzionalmente conforme, in quanto determinata sulla base di una
“forbice edittale” colpita da declaratoria di incostituzionalità. Sul punto, le Sezioni
Unite della Suprema Corte di Cassazione hanno affermato il principio per il quale
“il divieto di dare esecuzione a una sanzione penale prevista da una norma dichiarata incostituzionale è principio di rango sovraordinato rispetto agli interessi sottesi all’intangibilità del giudicato” (Sez. Un., 24 ottobre 2013 – dep. 7 Maggio 2014,
n. 18821, Ercolano).
Pertanto, ritenendo comunque congrua la pena applicata in base ad una

lamentato vizio di inosservanza ed erronea applicazione di legge.
Il ricorrente rappresenta, oltretutto, che la normativa dichiarata incostituzionale (cd. Legge Fini-Giovanardi) prevedeva una medesima pena sia che si fosse in
presenza di droghe cd. leggere sia che si fosse in presenza di droghe cd. pesanti.
La normativa precedente a quella dichiarata incostituzionale (cd. Iervolino-Vassalii), al contrario, prevedeva, in termini di pena, una netta differenziazione tra i
tipi di droga con pene molto inferiori per quelle relative alle cd. droghe leggere.
Nel caso di specie, si era in presenza di sostanza stupefacente “leggere di tipo
hashish e, pertanto, avrebbe dovuto, comunque, applicarsi la pena più favorevole
prevista dall’art. 73 della cd. lervolino-Vassalli.
Ma – si aggiunge in ricorso – v’è di più. La legge n. 79 del 2014 ha interamente
modificato l’art. 73/5 D.P.R. 309/90, rendendolo fattispecie autonoma di reato
rispetto alla precedente normativa laddove era configurato come semplice circostanza attenuante. Tale nuova norma, oggi applicabile, ha notevolmente ridotto,
sia nel minimo che nel massimo, rispetto alle precedenti normative, le pene per le
ipotesi previste, come nel caso di specie, dall’art. 73/5 D.P.R. 309/90. Pertanto,
la Corte di Appello – si sostiene- non poteva ritenere congrua la pena applicata dal
GUP in base ad una normativa non solo dichiarata incostituzionale ma che prevedeva una forbice edittale molto più ampia rispetto a quella oggi in vigore.

Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I motivi sopra illustrati appaiono infondati e, pertanto, il proposto ricorso
va rigettato.

2. Non sussiste la denunciata violazione di legge in quanto la Corte territoriale
ha dato conto specificamente, in ultima pagina della motivazione, di avere “tenuto
conto delle intervenute modifiche edittali”.

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norma dichiarata incostituzionale, la Corte di Appello di Roma sarebbe incorsa nel

Pertanto, il giudice del gravame del merito non ha applicato – come invece
lamenta il ricorrente – la norma dichiarata incostituzionale.
Egli ha operato una rivalutazione del trattamento sanzionatorio che ha tenuto conto del più favorevole testo dell’art. 73 co. 5 Dpr. 309/90 che, dopo la
legge I. 16.5.2014 n. 79 che ha convertito il decreto legge 20.3.2014 n. 36 prevede
che: “5. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque commette uno dei
fatti previsti dal presente articolo, che per i mezzi, le modalità o le circostanze
dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze è di lieve entità, è punito

a euro 10.329”.
Il giudice del merito che debba rivalutare un fatto concernente l’ipotesi lieve
di cui all’art. 73 co. 5 Dpr. 309/90 dopo lo ius superveniens più favorevole di cui
si è detto – sia che lo faccia perché la nuova legge è entrata in vigore, come nel
caso che ci occupa, a cavallo tra le due pronunce di merito, sia che operi in sede
di giudice di rinvio dopo che questa Corte di legittimità abbia annullato la sentenza
di merito limitatamente alla determinazione della pena- non è, infatti, in alcun
modo vincolato rispetto alle scelte, nell’ambito della pena edittale, operate in precedenza. Lo stesso sarà chiamato a rivalutare il trattamento sanzionatorio in piena
autonomia, con l’unico obbligo -evidentemente- di darne conto congruamente e
logicamente in motivazione e con l’unico limite, in assenza del ricorso della parte
pubblica, del divieto di reformatio in peius. E ben può accadere, come nel caso che
ci occupa, che alla fine pervenga alla conclusione che il trattamento sanzionatorio
irrogato in precedenza sia adeguato.
Vale sul punto quanto condivisibilmente affermato da questa Corte Suprema
nell’analoga situazione che ha interessato l’applicazione in sede di appello della
reviviscente e più favorevole disciplina in materia di droghe c.d. leggere dopo la
sentenza della Corte Costituzionale n. 32/2014, laddove si è affermato che il giudice di appello – quale giudice di merito di secondo grado ovvero quale giudice di
rinvio – non è vincolato a rimodulare la sanzione secondo la stessa proporzione
adottata dal giudice di prime cure rispetto ai minimi edittali detentivi e pecuniari
previgenti, potendo egli determinarla discrezionalmente, con riferimento ai criteri
di cui agli artt. 132 e ss. cod. pen., nell’ambito della più lieve cornice edittale
tornata in vigore, con il solo limite – nell’ipotesi di appello proposto dal solo imputato – del divieto di “reformatio in peius”, da intendersi nel senso di non poter
irrogare una pena superiore nel quantum finale a quella irrogata dal primo giudice
(cfr. sez. 3, n. 23952 del 30.4.2015, Di Pietro ed altri, rv. 263849; sez. 3, n. 33396
del 24.4.2015, Calvigioni, rv. 264195).
La Corte di appello, sul punto, ha evidenziato in maniera congrua e logica i
motivi per cui è pervenuta a tale conclusione, alla luce non solo del numero non
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con le pene della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da euro 1032

modesto di dosi ricavabili dallo stupefacente, ma anche, sotto il profilo della condotta antecedente al reato, della circostanza che i 16 grammi circa di hashish
costituivamo la minor parte residua della maggior quantità detenuta e già ceduta.
La Corte territoriale- va dunque ribadito- non ha applicato una norma dichiarata incostituzionale o successivamente modificata. Ha semplicemente preso atto
dei nuovi minimi edittali, rivalutato il fatto e ritenuto la pena congrua.

3. Al rigetto del ricorso consegue, ex lege, la condanna del ricorrente al pa-

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma 1’8 ottobre 2015

Il

sigliere este sore

Il Presid4nte

gamento delle spese processuali.

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