Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44792 del 03/10/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 44792 Anno 2013
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: BIANCHI LUISA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MANTILLA LAGOS YOSMAN ANTONIO N. IL 17/06/1979
avverso l’ordinanza n. 17/2011 CORTE APPELLO di ROMA, del
28/04/2011
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUISA BIANCHI;
lette/49Lite le conclusioni del PG Dott.

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 03/10/2013

28936/2011

1.Con ordinanza in data 28.4.2011 la corte di appello di Roma ha rigettato
l’istanza di riparazione dell’ ingiusta detenzione sofferta agli arresti domiciliari
da Mantilla Lagos Yosman Antonio dal 17.7.2007 all’ 8.7.2008, ritenendo che
l’istante avesse dato causa con il suo comportamento al provvedimento
restrittivo. Si trattava di un’accusa di concorso nella detenzione di 827,960 gr.
di cocaina da cui il Mantilla è stato assolto per non aver commesso il fatto con
sentenza del tribunale di Roma, emessa all’esito di rito abbreviato in data
6.11.2008.
Nel negare il chiesto indennizzo, la corte di Roma riferiva il contenuto delle
telefonate intercorse tra l’attuale ricorrente e gli altri appartenenti al sodalizio
criminoso e riteneva “addebitabile a colpa grave del Mantilla, di aver
intrattenuto rapporti (anche antecedenti l’importazione e di natura altamente
sospetta, come si evince dalla telefonata, del 24.11.2005) con esponenti
dell’organizzazione criminale volta al traffico di stupefacenti perfettamente
consapevole dell’attività criminosa di costoro, e di essersi interessato di
scoprire cosa potesse essere accaduto al corriere”; riteneva la Corte che tali
comportamenti si erano prestati sul piano logico
alla deduzione della contiguità del concorso nell’attività delittuosa e
costituivano pertanto una condizione ostativa al diritto alla riparazione per
ingiusta detenzione.
2. Avverso tale ordinanza ha presentato ricorso per cassazione il difensore del
Mantilla. Con un primo motivo deduce violazione di legge in quanto la Corte di
appello non ha valutato la richiesta di indennizzo anche sotto la prospettiva
dell’art. 314 co.2 cpp. La condotta ritenuta ostativa alla riparazione (cioè la
serie di telefonate) era la stessa sulla cui base è poi intervenuto il
proscioglimento; richiama al riguardo la recente sentenza delle sezioni unite
di questa Corte n. 32383 del 27 maggio 2010. Con il secondo motivo deduce
mancanza e illogicità di motivazione dell’ordinanza impugnata che non ha
giustificato il mantenimento della detenzione non tenendo conto che il quadro
probatorio era rappresentato solo dalle telefonate ed era lo stesso sulla cui
base è stata pronunciata l’assoluzione; per di più le telefonate risalivano a due
anni prima dell’ordinanza, tempo sufficiente a dipanare ogni dubbio; inoltre
l’ordinanza non ha accertato la consapevolezza del Mantilla dell’attività
delittuosa svolta dai coimputati.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso non merita accoglimento.
2.Ai fini dell’accertamento del requisito soggettivo ostativo al riconoscimento
dell’indennizzo in questione, il giudice del merito, investito dell’istanza per
l’attribuzione di una somma di danaro a titolo di equa riparazione per
l’ingiusta detenzione, ai sensi dell’art. 314 cod. proc. pen., ha il dovere di
2

RITENUTO IN FATTO

3

verificare se la condotta tenuta dall’istante nel procedimento penale, nel
corso del quale si verifico’ la privazione della liberta’ personale, quale
risulta dagli atti, sia connotabile di dolo o di colpa grave. Il giudice stesso
deve, a tal fine, valutare se certi comportamenti riferibili alla condotta
cosciente e volontaria del soggetto, possano aver svolto un ruolo almeno
sinergico nel trarre in errore l’autorità giudiziaria; cio’ che il legislatore ha
voluto, invero, e’ che non sia riconosciuto il diritto alla riparazione a chi, pur
ritenuto non colpevole nel processo penale, sia stato arrestato e mantenuto
in detenzione per aver tenuto una condotta tale da legittimare il
provvedimento dell’autorita’ inquirente (sez. IV 7.4.99 n.440, Min. Tesoro in
proc. Petrone Ced 197652). Le sezioni unite di questa Corte (sentenza
13.12.1995 n.43, Sarnataro rv.203638) hanno poi ulteriormente precisato che
“Nel procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione e’ necessario
distinguere nettamente l’operazione logica propria del giudice del processo
penale, volta all’accertamento della sussistenza di un reato e della sua
commissione da parte dell’imputato, da quella propria del giudice della
riparazione il quale, pur dovendo operare, eventualmente, sullo stesso
materiale, deve seguire un “iter” logico-motivazionale del tutto autonomo,
perche’ e’ suo compito stabilire non se determinate condotte costituiscano o
meno reato, ma se queste si sono poste come fattore condizionante (anche nel
concorso dell’altrui errore) alla produzione dell’evento “detenzione” ed in
relazione a tale aspetto della decisione egli ha piena ed ampia liberta’ di
valutare il materiale acquisito nel processo, non gia’ per rivalutarlo, bensi’ al
fine di controllare la ricorrenza o meno delle condizioni dell’azione (di natura
civilistica), sia in senso positivo che del tutto evidente, rispondendo ad un
principio generale, che ), sia in senso positivo che negativo, compresa
l’eventuale
sussistenza
di
una
causa
di esclusione del diritto alla
riparazione “.
Principio che è stato ribadito nella recente sentenza, sempre delle Sezioni
Unite, n.32283 del 2010 la cui applicazione è invocata dal ricorrente.
Tale applicazione è da escludere. Infatti la questione che le sezioni unite
hanno affrontato e risolto con la predetta sentenza è quella attinente alla
rilevanza e all’accertamento della colpa grave nell’ipotesi di cui all’art. 314,
co.2, del codice di rito, che riguarda la c.d. illegalità formale della detenzione.
Nel fare ciò il Supremo Collegio ha escluso in radice la possibilità di valutare la
sussistenza della condizione ostativa rappresentato dal dolo o colpa grave nei
casi in cui l’accertamento dell’insussistenza ab origine delle condizioni di
applicabilità della misura custodiale avvenga sulla base degli stessi precisi
elementi che aveva a disposizione il giudice del provvedimento della cautela e
in ragione esclusivamente di una loro diversa valutazione. Il ricorrente
vorrebbe applicare tale principio anche al caso in esame, che rientra però nelle
ipotesi di cui all’art. 314, co.1 .
La diversità dei presupposti che
sovraintendono alle due ipotesi esclude una tale possibilità, dovendosi in
particolare ricordare che il comma primo dell’art. 314 contempla i casi in cui la
detenzione risulta priva di giustificazione in quanto l’imputato è stato assolto,
assoluzione che deve avvenire sulla base della regola di giudizio dell Poltre
ragionevole dubbio,’ laddove il comma secondo attiene alla valutazione dei
gravi indizi di reato che sostengono la misura cautelare e la cui sussistenza è

3.Passando al merito della questione, la motivazione resa dalla Corte di
appello circa la sussistenza nel comportamento del Mantilla di colpa grave,
ostativa alla riparazione è corretta. Sono riportati stralci di numerose
conversazioni telefoniche tra il ricorrente e altri soggetti che si riferiscono
chiaramente al corriere che effettuò l’importazione della droga e che
dimostrano la piena consapevolezza del Mantilla dell’attività illecita in corso, e
dunque correttamente la corte di Roma ritiene dimostrati i suoi rapporti
quantomeno sospetti e imputabili a colpa grave con i responsabili
dell’importazione, situazione che si è protratta fino al dibattimento quando è
stato possibile chiarire la vicenda con la conseguente assoluzione del
ricorrente.
4.In conclusione il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente condannato al
pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese in favore del
Ministero dell’ Economia liquidate come al dispositivo .

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
nonché alla rifusione delle spese sostenute per questo giudizio di Cassazione
dal Ministero dell’Economia, spese liquidate in euro 750,00.
Così deciso il 3

013.

ancorata a un giudizio differente e meno pregnante. Pertanto se è corretto
ritenere, come hanno fatto le Sezioni unite, che l’accertamento successivo da
parte di un altro giudice dell’insussistenza ab origine delle condizioni di
applicabilità della misura custodiale avvenuto sulla base degli stessi precisi
elementi che aveva a disposizione il giudice del provvedimento cautelare
escluda la colpa grave, non potendosi riconoscere nell’ordinamento due
valutazioni contrastanti di due diversi giudici; lo stesso non è per il caso della
assoluzione atteso che normalmente la stessa interviene sulla base di un
materiale probatorio più ampio o comunque diversamente consolidatosi a
seconda del rito prescelto, rispetto a quello che sostiene la misura cautelare;
ed in secondo luogo perché la stessa è fondata sulla necessità che la
valutazione di colpevolezza dell’imputato avvenga “al di là di ogni ragionevole
dubbio” e cioè su una valutazione che richiede la certezza processuale e non
solo la sussistenza di gravi indizi, cioè di elementi indiziari che seppur gravi
non sono di cosi decisiva pregnanza come quelli richiesti per l’affermazione di
responsabilità nel giudizio di cognizione.

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