Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44765 del 22/10/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 44765 Anno 2013
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Buonfine Paolo n. il 28.7.1940
Bellio Giovanna n. il 25.7.1948
nei confronti di:
Klodian Ismailaj n. il 26.4.1975
avverso la sentenza n. 1632/2005 pronunciata dalla Corte d’appello
di Catania il 19.11.2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita nell’udienza pubblica del
dott. Marco Dell’Utri;

22.10.2013

la relazione fatta dal Cons.

udito il Procuratore Generale, in persona del dott. M.G. Fodaroni,
che ha concluso per l’annullamento della sentenza impugnata con
rinvio al giudice civile competente;
udito, per le parti civili, Faw.to E. Platania, del foro di Ragusa, che ha
concluso per raccoglimento del ricorso;
udito, per l’imputato, l’aw.to C. Licitra, del foro di Ragusa, che ha
concluso per il rigetto del ricorso.

Data Udienza: 22/10/2013

Ritenuto in fatto
i. – Con sentenza resa in data 19.11.2012, la corte d’appello di
Catania ha integralmente confermato la sentenza in data 15.12.2008
con la quale il tribunale di Ragusa ha assolto Ismailaj Klodian
dall’imputazione di omicidio colposo asseritamente commesso, in
violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale, ai
danni di Lucio Buonfine, in Ragusa il 7.6.2005.
Avverso la sentenza d’appello, a mezzo del proprio difensore,
hanno proposto ricorso per cassazione, ai soli effetti della responsabilità civile, le parti civili costituite, sulla base di due motivi di impugnazione.

Con il primo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza
impugnata, sotto i diversi profili del travisamento della prova e del
carattere apparente, contraddittorio e illogico della motivazione.
In particolare, i ricorrenti si dolgono del mancato o inadeguato
approfondimento, da parte della corte territoriale, del profilo concernente l’esame dell’elemento soggettivo della colpa ascritta
all’imputato, con particolare riguardo al tema dell’esigibilità della
condotta conforme alle norme cautelari nella specie rilevanti; norme
cautelari ritenute da entrambi i giudici del merito oggettivamente
violate dall’imputato, benché allo stesso non fosse rimproverabile alcun comportamento soggettivamente colpevole.
Nel dettaglio, evidenziano i ricorrenti come i giudici del merito, pur avendo rilevato la violazione da parte dell’imputato della
norma che imponeva allo stesso (pur titolare del diritto di precedenza) il dovere di prefigurarsi la condotta imprudente altrui nell’approssimarsi all’incrocio in corrispondenza del quale ebbe a verificarsi
l’impatto col motoveicolo della vittima, del tutto contraddittoriamente hanno attestato l’impossibilità, per lo stesso imputato, di adempiere a tale dovere cautelare, stante la ritenuta oggettiva non avvistabilità del motoveicolo antagonista nelle specifiche occorrenze di tempo e
di luogo proprie del sinistro in esame.
La rilevata contraddittorietà, in particolare, sarebbe emersa,
ad avviso dei ricorrenti, in relazione al contenuto degli elaborati predisposti dal consulente tecnico del pubblico ministero e dal perito
nominato nel corso del procedimento, dai quali era chiaramente
emersa l’oggettiva avvistabilità del motoveicolo della vittima nel momento in cui l’imputato ebbe ad impegnare incrocio, con la conseguente piena esigibilità del rispetto della norma prudenziale che
2.1. –

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avrebbe imposto all’imputato di non impegnare detto incrocio in presenza di un’evidente e oggettivamente rilevabile condotta imprudente
del veicolo antagonista.
Sul punto, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per
aver evidenziato il ricorso di sei specifici elementi di fatto asseritamente determinanti, ai fini dell’esclusione di profili di rimproverabilità nella condotta di guida dell’imputato, a dispetto dell’obiettiva irrilevanza di ciascuno di tali elementi in relazione al tema proposto.
Con il secondo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione dell’art. 43 c.p., avendo la corte d’appello
erroneamente interpretato e ricostruito i termini del profilo più squisitamente soggettivo e personale della colpa, omettendo di ravvisare
come l’inesigibilità della condotta conforme alla norma cautelare
concernente il dovere di prefigurarsi la condotta imprudente altrui
assuma rilevanza nei soli casi (del tutto estranei a quello in esame) di
assoluta e oggettiva imprevedibilità di quella.
2.2. –

Considerato in diritto
3. Il ricorso — i cui motivi appaiono congiuntamente esaminabili, in ragione dell’intima connessione delle questioni dedotte – è
fondato.
Al riguardo, rileva il collegio come la corte territoriale, chiamata a confrontarsi con i dati obiettivi emersi dagli elaborati tecnici acquisiti nel corso del procedimento (e allegati anche in questa sede ai
fini dell’autosufficienza del ricorso), si sia sottratta al compito di procedere all’elaborazione di una motivazione esauriente e completa sul
piano dell’esame critico del profilo soggettivo della colpa imputata al
Klodian.
Sul punto, occorre sottolineare come dai rilievi contenuti nella
consulenza tecnica del pubblico ministero fosse obiettivamente emersa la circostanza della modesta distanza (46 metri circa), del motocido della vittima, rispetto al futuro punto d’urto tra i veicoli, nell’esatto istante in cui l’imputato ebbe ad impegnare l’incrocio (cfr. pag. 26
della c.t.u. ing. Dell’Agli); lo stesso consulente tecnico ha attestato
come, nel momento in cui l’autovettura dell’imputato ebbe ad immettersi sulla via percorsa dal motociclo della vittima, quest’ultimo fosse
“visibilissimo e ben all’interno del campo visivo dell’Ismailaj Klodiari'”, tanto desumendosi dalle evidenze della planimetria allegata
all’elaborato (cfr. pag. 27 c.t.u.), tenuto conto che la conformazione

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dei luoghi concedeva a entrambi i conducenti “condizioni favorevoli
per un avvistamento reciproco insolitamente anticipato”, avuto riguardo “alla larghezza delle vie che vi si intersecano e alla distanza
dal filo stradale dei fabbricati che su esse si attestano” (cfr. pagg. 3-4
c.t.u.).
Lo stesso perito nominato nel corso del procedimento, nel confermare il giudizio sul punto espresso dal consulente tecnico del pubblico ministero, ha sottolineato come nell’area dell’incrocio “non esistelise] alcun limite all’avvistamento”, con la conseguente sussistenza della possibilità per entrambi i conducenti di tener fede al rispetto
della norma cautelare di cui all’art. 145, comma i, c.d.s. (che impone
ai conducenti che si approssimano a un’intersezione il dovere di usare la massima prudenza al fine di evitare incidenti) (cfr. pag. 15 della
perizia geom. Patamia), da ciò traendo la conclusione che l’imputato
non si fosse accorto del sopraggiungere del motoveicolo antagonista
“semplicemente perché non aveva guardato in quella direzione impegnando l’area d’incrocio nell’ambito della quale la visibilità, non
più ostacolata dalle siepi, non aveva limiti. Se l’avesse fatto, data la
velocità della sua auto in quel momento, ne avrebbe potuto arrestare immediatamente il moto, così evitando la collisione con il motocido, considerata anche la non eccessiva velocità di entrata in campo
di quest’ultimo” (cfr. pagg. 17-18 perizia Patamia).
A fronte di tali risultanze obiettive, la corte territoriale ha sostenuto l’insussistenza della prova della certezza che l’imputato avesse impegnato l’incrocio in presenza di condizioni di avvistabilità del
motoveicolo antagonista, tanto desumendo dalla congiunta valutazione: i) della velocità dei mezzi (“soprattutto quella assai elevata
tenuta dal Buonfine”) tale da attestare che la vittima fosse ben lontana dall’incrocio quando l’imputato ne iniziò la manovra di attraversamento; 2) delle tracce di frenata dei veicoli (“circa 40 metri quelle
del Buonfine”); 3) del punto d’impatto dove avvenne il sinistro quasi
al centro della carreggiata dell’intersezione; 4) dei danni obiettivi
constatati sui mezzi coinvolti nel sinistro; 5) delle condizioni dei
margini stradali “e la refiuenza di ciò sulla piena visibilità”; 6) della
posizione già fortemente inclinata assunta durante la frenata effettuata dalla vittima prima di finire addosso all’auto condotta
dall’imputato (cfr. pag. 5 della sentenza d’appello).
Ciò posto, rileva la corte come – mentre appaiono sostanzialmente irrilevanti (in relazione al tema della reciproca avvistabilità dei
veicoli al momento dell’impegno dell’intersezione da parte

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dell’imputato) le occorrenze costituite dai danni obiettivi constatati
sui mezzi o dalla posizione inclinata del motoveicolo della vittima
prima dell’urto —, proprio le circostanze costituite dal punto
d’impatto dove avvenne il sinistro, dal rilievo della velocità dei mezzi,
dalle tracce di frenata (la cui lunghezza appare, peraltro, erroneamente riportata nella sentenza della corte d’appello) e dalle condizioni dei margini stradali (con quanto ebbe a derivarne, in termini di
ampiezza del campo di visibilità) valgono ad attestare il ricorso di sicuri indici di conferma delle evidenze sottolineate negli elaborati tecnici in precedenza riportati (quanto al dato della relativa vicinanza
dei due veicoli prima dell’impegno dell’incrocio da parte
dell’imputato, e della sicura avvistabilità reciproca dei due mezzi), sì
da lasciar ritenere non adeguatamente risolta, sul piano del confronto
critico-argomentativo, la contraddizione tra quanto emerso ad esito
dell’istruttoria tecnica attestata dagli elaborati prodotti e gli spunti
argomentativi utilizzati dalla corte territoriale ai fini della conferma
dell’assoluzione dell’imputato.
In breve, non avendo la corte territoriale superato, sul piano
critico-argomentativo, le evidenze obiettive sottolineate in sede tecnica (costituite dalla rilevata avvistabilità reciproca dei veicoli prima
che l’imputato impegnasse l’incrocio dove ebbe a verificarsi l’urto tra
gli stessi) – ed anzi macroscopicamente travisandole -, deve ritenersi
non adeguatamente argomentata la decisione impugnata in ordine
alla ritenuta inesigibilità della condotta di guida dell’imputato conforme alla regola cautelare di cui all’art. 145, comma i, c.d.s., che nella specie avrebbe imposto al Klodian, una volta avvistato (siccome
obiettivamente avvistabile) il motoveicolo antagonista, prefigurandosene la condotta imprudente, il dovere prudenziale di astenersi
dall’impegnare l’incrocio al fine di evitare (essendone stata nella specie accertata l’evitabilità: cfr. supra le richiamate pagg. 17-18 della perizia Patamia) la collisione poi concretamente verificatasi.
Il carattere macroscopico e chiaramente manifesto della contraddizione tra le obiettive risultanze degli elaborati tecnici acquisiti
nel corso del giudizio e le conseguenze da essi viceversa tratte da entrambi i giudici del merito, inducono il collegio a ritenere inconferente, in relazione al caso di specie, il principio in altre occasioni sostenuto nella giurisprudenza di legittimità, ai sensi del quale il vizio del
travisamento della prova (per l’utilizzazione di un’informazione inesistente nel materiale processuale o per l’omessa valutazione di una
prova decisiva) può essere dedotto con il ricorso per cassazione

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quando la decisione impugnata abbia riformato quella di primo grado, non potendo, nel caso di cosiddetta ‘doppia conforme’, essere superato il limite costituito dal devolutum con recuperi in sede di legittimità (v., ex plurimis, Cass., Sez. 4, n. 19710/2009, Rv. 243636;
Cass., Sez. 2, n. 5223/2007, Rv. 236130). L’eccezione a tale principio,
infatti, deve ritenersi operante, non solo nel caso in cui il giudice
d’appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice
(v. Cass., Sez. 4, n. 19710/2009, Rv. 243636, cit.), bensì anche quando, come nel caso di specie, entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in
forme di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili (ossia in assenza di alcun discrezionale apprezzamento di merito), il riscontro della persistente infedeltà delle motivazioni dettate in entrambe le decisioni di merito rispetto alle basi
probatorie emerse nel contraddittorio delle parti.
Sulla base delle considerazioni che precedono, dev’essere pertanto disposto l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio al
giudice civile competente in grado di appello per la decisione sulla
domanda risarcitoria proposta dalle odierne parti civili.
Per questi motivi
la Corte Suprema di Cassazione, annulla la sentenza impugnata con rinvio al giudice civile competente in grado di appello cui rimette anche il regolamento delle spese tra le parti del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 22.10.2013.

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