Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44764 del 22/10/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 44764 Anno 2013
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Colicchia Davide n. il 22.9.1986
Colicchia Angelo Donato n. il 16.4.1986
avverso la sentenza n. 78/2008 pronunciata dalla Corte d’appello di
L’Aquila il 27.1.2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita nell’udienza pubblica del
dott. Marco Dell’Utri;

22.10.2013

la relazione fatta dal Cons.

udito il Procuratore Generale, in persona del dott. M.G. Fodaroni,
che ha concluso per la dichiarazione d’inammissibilità del ricorso.

Data Udienza: 22/10/2013

Ritenuto in fatto
1. – Con sentenza resa in data 27.1.2012, la corte d’appello di
L’Aquila ha parzialmente riformato la sentenza in data 13.6.2007 con
la quale il tribunale di Teramo, sezione distaccata di Atri, ha condannato Angelo Donato Colicchia e Davide Colicchia alla pena di un anno
ed euro 4.000,00 di multa ciascuno, in relazione al reato di concorso
nell’illecita detenzione a fini di spaccio di sostanza stupefacente (marijuana), accertato in Pineto, frazione di Mutignano, 1’8.12.2005.
Con la sentenza d’appello, la corte aquilana, confermate le restanti statuizioni, ha concesso a entrambi gli imputati il beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale.
Avverso la sentenza d’appello, a mezzo del proprio difensore,
hanno proposto ricorso per cassazione entrambi gli imputati, censurando la pronuncia della corte aquilana per violazione dell’art. 73
d.p.r. n. 309/90, avendo il giudice a quo omesso di riconoscere l’irrilevanza penale della condotta degli imputati, in considerazione
dell’evidente destinazione della sostanza stupefacente rinvenuta in
loro possesso all’uso personale degli stessi e degli altri due soggetti
minorenni con i quali gli imputati erano stati fermati in occasione del
fatto, avuto particolare riguardo alle relative circostanze di tempo e di
luogo.
Sotto altro profilo, i ricorrenti si dolgono del vizio di motivazione in cui è incorsa la sentenza impugnata, per aver ritenuto applicabile, al caso de quo, la sopravvenuta disciplina legislativa di cui alla
1. n. 49/2006 (non vigente all’epoca del fatto oggetto d’esame), che,
nell’introdurre il requisito dell’uso esclusivamente personale della
sostanza stupefacente detenuta, ha circoscritto a tale ipotesi l’ambito
d’irrilevanza penale della condotta di detenzione, con evidenti effetti
restrittivi rispetto all’ipotesi, affine al caso di specie, del cosiddetto
consumo di gruppo.
Considerato in diritto
Il ricorso è manifestamente infondato in relazione a tutti i
profili di doglianza prospettati dagli imputati.
Diversamente da quanto asserito dagli odierni ricorrenti, la
corte d’appello aquilana ha correttamente ricondotto la fattispecie
oggetto dell’odierno esame all’ipotesi criminosa della detenzione a
2. –

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fini di spaccio di sostanza stupefacente (di cui all’art. 73 d.p.r. n.
309/90), evidenziando il ricorso di un complesso di indici di natura
indiziaria, nel loro insieme dotati dei caratteri della gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 192 c.p.p. ai fini del positivo riscontro della fondatezza della prospettazione accusatoria delineata a
carico degli odierni imputati.
E invero, sulla base di una motivazione completa, esauriente e
immune da vizi d’indole logica o giuridica, la corte aquilana – sulla
scia della conforme pronuncia di primo grado emessa dal tribunale di
Teramo -, dopo aver evidenziato come gli imputati non avessero fornito alcuna prova certa e inequivoca, tanto in ordine alla propria
condizione di tossicodipendenza, quanto in relazione al ricorso degli
elementi essenziali indispensabili ai fini della configurazione di un
‘uso di gruppo’ dello stupefacente detenuto (preventivo accordo sul
mandato; acquisto ad opera di uno dei contraenti; preventiva formazione di una provvista; proporzionale divisione della sostanza; etc.),
per l’obiettiva incertezza e la scarsa salienza degli elementi probatori
su tali punti allegati, ha valorizzato – accanto all’eloquente valenza
rappresentativa del dato ponderale della sostanza stupefacente rinvenuta in loro possesso (pari a 34,41 volte il limite massimo legislativamente previsto, dal quale avrebbero potuto ricavarsi, secondo le
indicazioni fornite in sede peritale, “ben 688 dosi medie singole efficaci”) – i pregnanti indici probatori costituiti, da un lato, dall’atteggiamento tenuto dagli imputati in occasione della loro sorpresa ad
opera della polizia giudiziaria (essendosi gli stessi dati immediatamente alla fuga alla vista degli operanti, ed essendosi platealmente
disfatti della sostanza in loro possesso nel corso dell’inseguimento) e,
dall’altro, dal rinvenimento, nell’abitazione di Davide Colicchia, di un
bilancino elettronico di precisione occultato dietro una mensola
all’interno della propria camera da letto.
La stessa corte territoriale ha congruamente dato atto di come
Davide Colicchia avesse solo opportunisticamente tentato di imputare l’appartenenza del bilancino all’istituto scolastico dallo stesso frequentato (senza fornire alcuna valida spiegazione della relativa eventuale abusiva appropriazione, né delle ragioni della conservazione
dello stesso presso la propria abitazione, per di più occultato dietro
una mensola della camera da letto), evidenziando l’assoluta inverosimiglianza, tanto della tesi avanzata dagli imputati circa la volontà

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degli stessi di procurarsi una provvista da consumare durante le vacanze natalizie (“lontane circa 20 giorni dalla data del commesso
reato”), quanto della congetturale versione dell’awenuto nascondimento della sostanza de qua presso il luogo ove furono sorpresi gli
imputati il giorno prima del commesso reato, avuto riguardo al rilevante e irragionevole rischio che altri soggetti potessero ivi rinvenirla
e impossessarsene o che qualche animale potesse irrimediabilmente
disperderla.
La motivazione così compendiata dalla corte territoriale – che
(in contrasto con quanto asserito dai ricorrenti), nell’accertare la destinazione allo spaccio della sostanza stupefacente rinvenuta in possesso degli imputati e l’irriconducibilità del caso di specie all’ipotesi
del c.d. ‘consumo di gruppo’, non risulta aver attribuito alcun decisivo rilievo alla locuzione normativa riferita all’uso esclusivamente
personale della sostanza stupefacente detenuta (medio tempore introdotto dalla riforma dell’art. 73 d.p.r. n. 309/90) – nel dare correttamente ragione, in termini giuridici, della conformità della fattispecie concreta in esame allo schema normativo di cui all’art. 73 cit., appare a questa corte dotata d’ineccepibile coerenza logica e di conseguente linearità argomentativa, sì da sfuggire integralmente a ciascuna delle censure contro la stessa infondatamente sollevate dagli
odierni ricorrenti.
3. – Il riscontro della manifesta infondatezza del ricorso proposto dagli imputati, nell’attestarne la radicale inammissibilità ai sensi
dell’art. 606, comma 3, c.p.p., impedisce il rilievo dell’eventuale sopravvenienza, a seguito della pronuncia d’appello, di cause di estinzione del reato, ai sensi dell’art. 129 c.p.p..
Sul punto, vale richiamare quanto dedotto dalle Sezioni Unite
di questa Corte sin dalla pronuncia n. 32 del 22 novembre 2000 (Rv.
217266), secondo cui l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi
di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma
dell’art. 129 c.p.p..

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Per questi motivi
la Corte Suprema di Cassazione, dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro i.000,00 ciascuno in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 22.10.2013.

4. – Alla dichiarazione d’inammissibilità del ricorso segue la
condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della
somma di euro i.000,00 in favore della cassa delle ammende.

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