Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44761 del 10/10/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 44761 Anno 2013
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: MARINELLI FELICETTA

Data Udienza: 10/10/2013

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
POZZA LUCIANO N. IL 10/04/1956
avverso la sentenza n. 2012/2009 CORTE APPELLO di VENEZIA, del
19/11/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 10/10/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FELICETTA MARINELLI
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Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. A
che ha concluso per 9,
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Udito, per la parte civile, l’Avv
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Il Tribunale di Verona in composizione monocratica, con
sentenza dell’11.04.2012, dichiarava Pozza Luciano
responsabile in ordine al reato di cui all’articolo 73
commi llett.a) d.PR.309/90 e, applicata la recidiva ex
art.99, 4 comma, c.p. lo condannava alla pena di anni 10
e mesi 2 di reclusione ed euro 45.000 di multa oltre al
pagamento delle spese processuali e di mantenimento in
carcere, confisca di quanto in sequestro.
Avverso tale sentenza proponevano appello i difensori
dell’imputato.
La Corte di appello di Venezia, con sentenza datata
19.11.2012, oggetto del presente ricorso, confermava la
sentenza emessa nel giudizio di primo grado e condannava
l’imputato al pagamento delle spese del grado.
Avverso tale sentenza l’imputato Pozza Luciano, a mezzo
dei suoi difensori proponeva due distinti ricorsi per
cassazione e concludeva chiedendone l’annullamento per i
seguenti motivi:
l) illogicità della motivazione ex art.606 lett. e)
c.p.p. in relazione alla testimonianza dell’ispettore De
Marco. Travisamento della stessa derivante
dall’attribuzione al testimone di parole non sue, come si
poteva evincere dal confronto del relativo verbale
stenotipico di udienza con il testo dell’impugnata
sentenza. Nel ricorso proposto dagli avvocati Fragasso e
De Luca si lamentava sul punto che i giudici della Corte
territoriale avevano illogicamente valutato la
testimonianza dell’ispettore De Marco. In particolare non
sarebbero stati valutati tutti i fotogrammi e in
particolare quelli che scagionavano l’imputato. Si
valorizzava poi l’esistenza di un confidente, anche se
gli appostamenti erano in corso da molto tempo. Parimenti
la difesa lamentava che i giudici della Corte
territoriale avevano ritenuto che l’ispettore De Marco
aveva potuto vedere con chiarezza lo scambio soltanto
perché fornito di un binocolo, dal momento che a vista
non si sarebbe potuto vedere niente, ma di tale strumento
non veniva fatto alcun cenno nel verbale di arresto.
Nel ricorso proposto dall’avv. Fragasso si lamentava che
era stata travisata la deposizione dell’ispettore De
Marco, dal momento che non c’era corrispondenza tra
materiale e colore dell’involucro sequestrato
effettivamente contenente la droga come percepiti e
riferiti dal teste e come effettivamente esistenti.
L’ispettore de Marco non aveva inoltre prospettato la
possibilità che l’involucro arancione contenente il
danaro non fosse di cellophane, come in effetti nella
realtà, ma tale circostanza non era stata considerata dai
giudici della Corte territoriale.

Ritenuto in fatto

PI

(3

3) Illogica attribuzione al “silenzio” dell’imputato di
prova
dell’illecito.
come
valenza
determinante
Sostenevano sul punto i difensori del Pozza che il
silenzio è un diritto dell’imputato e il fatto che il
Pozza abbia reso dichiarazioni solo in dibattimento non
significa, come si legge nella sentenza impugnata, che lo
abbia fatto per mettersi d’accordo con l’imputato de
Marchi al fine di concordare una dichiarazione unitaria.
dichiarazioni
ritenersi
false
le

potevano
dell’imputato allorquando aveva affermato di essersi
recato all’appuntamento per ritirare delle foto, dal
in sede di perquisizione, nulla di
momento che,
riferibile alla droga era stato trovato all’odierno
ricorrente, diversamente da quello che accadde per il
coimputato De Marchi. Non sarebbe quindi logico quanto
affermato dai giudici della Corte territoriale secondo
cui nulla di pertinente alla droga era stato trovato
nella disponibilità di Pozza Luciano soltanto per il
fatto che egli si occupava di rilevanti partite di
sostanza stupefacente.
4) Illogicità della motivazione sull’incompatibilità
dell’importo di danaro trovato in suo possesso rispetto
al quantitativo di droga (euro 11.000 per 200 grammi di
cocaina del valore di circa 5.000 euro).
5) Illogicità della motivazione in punto di destinazione
della somma di danaro di cui sopra. Mancata assunzione di
prova decisiva. Lamentava sul punto la difesa che ad
del
rinnovazione
di
richiesta
della
integrazione
dibattimento già formulata con l’atto di appello, era
stato richiesto l’esame in veste di testimone dell’avv.
Maurizio Milan sulla seguente circostanza:”potrà riferire
di avere avuto incarico da Luciano Pozza di predisporre
un atto di accordo tra lo stesso e il nipote Stefano
Pozza in ragione del quale, per compensazioni ereditarie,
Luciano Pozza era debitore nei confronti di Stefano Pozza
di euro 11.000,00 che avrebbe dovuto consegnargli il 3
maggio 2011″, ma tale richiesta era stata rigettata.

2) Omessa decisione e motivazione sulla richiesta di
parziale rinnovazione del dibattimento, che è stata
rigettata, avente ad oggetto l’escussione dell’ispettore
capo Domenico De Marco e di tutti i suoi colleghi
partecipanti all’operazioni e cioè l’ispettore capo Carlo
Attanasio, l’appuntato Gabriele Pasotti, l’assistente
Michele Gasparini per l’approfondimento relativo ai
precedenti appostamenti ed all’uso, in quello che ha
portato all’arresto di Luciano Pozza, del binocolo.

6) Illogicità della motivazione in punto di provenienza
del danaro, che sarebbe provenuto da una fonte diversa
rispetto allo spacciatore De Marchi, in quanto sarebbe
derivato da prelievi effettuati dall’odierno ricorrente

Pi


sui conti correnti di una parente deceduta, prelievi
contestati dal nipote Stefano Pozza che l’aveva citato in
giudizio unitamente ad altri parenti.
La difesa di Luciano Pozza (avv.Emanuele Fragasso)
presentava altresì motivi aggiunti per l’udienza del
10.10.2013 in cui ribadiva le già esposte conclusioni.

LA CORTE DI CASSAZIONE che i ricorsi non
OSSERVA
sono fondati.
Per quanto attiene ai motivi attinenti al difetto di
motivazione, si osserva (cfr. Cass., Sez.4, Sent. n.4842
del 2.12.2003, Rv. 229369) che, nel momento del controllo
della motivazione, la Corte di Cassazione non deve
stabilire se la decisione di merito proponga la migliore
ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la
giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa
giustificazione sia compatibile con il senso comune e con
i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento;
ciò in quanto l’art.606, comma l, lett.e) c.p.p. non
consente a questa Corte una diversa lettura dei dati
processuali o una diversa interpretazione delle prove,
perché è estraneo al giudizio di legittimità il controllo
sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati
processuali.
Tanto premesso la motivazione della sentenza impugnata
appare logica e congrua e supera quindi il vaglio di
questa Corte nei limiti sopra indicati. I giudici della
Corte di appello di Venezia hanno infatti chiaramente
evidenziato gli elementi da cui hanno dedotto la
sussistenza della responsabilità del Pozza in ordine al
reato ascrittogli. In particolare, per quanto attiene
alla ritenuta attendibilità del teste ispettore De Marco,
i giudici della Corte territoriale, dopo una attenta
valutazione delle sue dichiarazioni, hanno ritenuto che
non potessero esserci dubbi in ordine alla esattezza
della sua percezione del distinto scambio di due oggetti,
e cioè il cellophane contenente la cocaina da Pozza a De
Marchi e la busta gialla contenente il danaro da De
Marchi a Pozza. In particolare i giudici di appello hanno
precisato che il teste aveva descritto l’involucro
passato da De Marchi a Pozza come “abbastanza consistente
rispetto al primo”, pure affermando che il secondo
passaggio (quello dei soldi) era stato meno evidente
rispetto al primo, ossia quello avvenuto dal Pozza al De
Marchi del pacchetto di cellophane (quello appunto
contenente la sostanza stupefacente), che il Pozza, dopo
essersi abbassato sul sedile dell’autovettura, aveva
passato al De Marchi attraverso il finestrino. Quanto poi

Considerato in diritto

PI

al diverso materiale con cui i pacchi erano stati
confezionati i giudici di appello hanno ricordato che
l’ispettore De Marco aveva ben spiegato che il pacco più
grande, quello appunto consegnato dal De Marchi al Pozza,
gli sembrava di materiale diverso, in quanto poteva
essere “cartone, carta, carta argentata, anche
cellophane, che c’è il nastro adesivo di cellophane_
tutto può essere di cellophane, ma era comunque una
confezione non bianca” ed hanno poi evidenziato che il
danaro occultato nella macchina dell’odierno ricorrente
era appunto racchiuso in una busta di colore giallo,
trovando quindi conferma la deposizione dell’ispettore De
Marco e chiara smentita il racconto del De Marchi che
aveva invece affermato di avere consegnato al Pozza una
busta di colore bianco contenente delle fotografie.
Anche la circostanza che l’ispettore De Marco facesse uso
di un binocolo per osservare il comportamento dei
personaggi oggetto di indagine è stata attentamente
valutata dai giudici di merito, i quali hanno osservato
come questo sia un comportamento usuale. Ad ulteriore
prova della credibilità del teste hanno inoltre affermato
che l’ispettore aveva descritto le posizioni delle
autovetture della polizia nell’appostamento, gli angoli
visuali della sua posizione che era quella più vicina,
avendo lui stesso suggerito nel giudizio di primo grado
di effettuare un esperimento per ulteriormente confermare
la visibilità della zona dalla sua postazione, prova
peraltro ritenuta superflua in considerazione appunto
della precisione della testimonianza sia dal Tribunale
che dalla Corte di appello.
Sul punto i giudici della Corte territoriale affermavano
conclusivamente che ogni dubbio in merito alla erroneità
delle dichiarazioni dell’ispettore De Marco veniva a
cadere sulla base della considerazione logica che i due
imputati, dopo essersi separati, venivano poco dopo
fermati e trovati il De Marchi con lo stupefacente, senza
aver fornito indicazioni precise ad identificare a chi lo
doveva dare e il Pozza con il danaro, senza aver detto da
chi lo aveva preso. Sulla base di tali considerazioni
veniva ritenuta non plausibile la versione alternativa
fornita dall’imputato, secondo cui il De Marchi non gli
avrebbe consegnato una busta contenente danaro, bensì una
busta bianca con tre fotografie.
Per quanto poi attiene alla obiezione della difesa
secondo cui comunque la cocaina ceduta avrebbe avuto un
valore molto inferiore alla somma di 11.000 euro trovata
in possesso del Pozza, i giudici di appello hanno
rilevato che gli accordi economici tra le parti potevano
essere i più disparati.
Anche i motivi di ricorso attinenti al rigetto delle
richieste di rinnovazione del dibattimento aventi ad
oggetto una nuova escussione dell’ispettore De Marco e

(.’

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PQM

Rigetta i ricorsi e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 10.10.2013

degli altri operanti, nonché la deposizione dell’avvocato
Milan che avrebbe dovuto affermare che il 3 maggio 2011
il Pozza Luciano avrebbe dovuto consegnare il danaro
trovato in suo possesso a dei parenti per definire una
questione ereditaria sono infondati.
Sul punto i giudici di appello hanno rilevato la
superfluità di una nuova escussione dell’ispettore De
Marco e degli altri operanti.
Per quanto poi attiene alla escussione quale teste
dell’avvocato Milan, hanno rilevato la sua irrilevanza,
atteso che l’imputato non aveva neppure indicato la
diversa provenienza lecita del danaro e che il nipote
Pozza Stefano, teste a difesa, aveva confermato la
esistenza di un credito nei confronti degli zii pari ad
euro 37 mila 500, ma aveva però precisato che gli zii
volevano liquidarlo a rate “o fine anno scorso o inizi di
quest’anno, però non c’era un periodo ben preciso”, non
confermando quindi la esistenza dell’appuntamento per il
3 maggio 2011 con lo zio Luciano per ricevere almeno una
parte del credito.
la
che,
sul
punto,
si
osserva
premesso
Tanto
Corte,
ha
di
questa
giurisprudenza
condivisibile
ritenuto, (cfr. Cass., Sez. 6, Sent. n. 37173
dell’11.06.2008, Rv 241009), che la mancata assunzione di
una prova possa essere dedotta in sede di legittimità, a
norma dell’art. 606, comma 1, lett. d), c.p.p. soltanto
se si tratti di una” prova decisiva”, ossia di un
elemento probatorio suscettibile di determinare una
decisione del tutto diversa da quella assunta, ma non
quando i risultati che la parte si propone di ottenere
possano condurre, confrontati con le ragioni poste a
sostegno della decisione, solo ad una diversa valutazione
degli elementi legittimamente acquisiti nell’ambito
dell’istruttoria dibattimentale.
I proposti ricorsi devono essere, pertanto, rigettati e
il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle
spese processuali.

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