Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44752 del 03/10/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 44752 Anno 2013
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Omri Najeb n. il 16.4.1980
avverso la sentenza n. 1907/2012 pronunciata dalla Corte d’appello di
Venezia il 8.1.2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita nell’udienza pubblica del 3.10.2013 la relazione fatta dal Cons.
dott. Marco Dell’Utri;
udito il Procuratore Generale, in persona del dott. V. Geraci, che ha
concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Data Udienza: 03/10/2013

2

Ritenuto in fatto
– Con sentenza resa in data 8.1.2013, la corte d’appello di
Venezia ha integralmente confermato la sentenza in data 16.2.2012
con la quale il tribunale di Padova ha condannato Omri Najeb alla
pena di un anno e quattro mesi di reclusione ed euro 6.00 o,o o di
multa in relazione ai reati di cessione di sostanza stupefacente e precedenti ulteriori cessioni in continuazione di sostanza stupefacente,
commessi in Padova, tra il dicembre del 2011 e il 15.2.2012.
Avverso la sentenza d’appello, a mezzo del proprio difensore,
ha proposto ricorso per cassazione l’imputato sulla base di due motivi
d’impugnazione.
Con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza
impugnata per vizio di motivazione, avendo i giudici del merito ricostruito la responsabilità dell’imputato sulla base di elementi probatori totalmente insufficienti a tal fine.
In particolare, rileva il ricorrente come la condanna emessa a
suo carico era stata pronunciata in forza delle sole dichiarazioni rese
dall’asserito acquirente della sostanza stupefacente, nella specie valutate in connessione con altri elementi sintomatici del tutto privi di
concludenza e idoneità rappresentativa, come in particolare avvenuto
con riguardo alla condotta tenuta dall’imputato in occasione dei fatti
che condussero al relativo arresto.
Viceversa, secondo il ricorrente, il complesso degli elementi di
prova acquisiti non aveva sciolto il dubbio circa l’effettivo ruolo di cedente della sostanza stupefacente in capo all’imputato e, correlativamente, di cessionario della medesima sostanza da parte del soggetto
che aveva reso le dichiarazioni accusatorie.
Tale incertezza, del resto, era persistita anche ad esito degli accertamenti eseguiti dalla polizia giudiziaria, non essendo stata rinvenuta alcuna sostanza stupefacente, né alcuna somma di danaro, sulla
persona dell’imputato, né avendo la polizia giudiziaria mai attestato
di aver visto l’Omri nell’atto di cedere la sostanza stupefacente a terzi;
e tanto, a fronte di una condotta altrettanto sospetta nell’occasione
predicabile con riguardo al preteso cessionario della sostanza stupefacente.
2.1. –

i.

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Con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza
impugnata per vizio di motivazione, avendo i giudici del merito
ascritto al ricorrente la commissione di diversi episodi di spaccio di
sostanza stupefacente in continuazione tra loro (episodi, peraltro individuati in modo generico e imprecisato), sulla sola base delle dichiarazioni del presunto cessionario delle diverse dosi, senza alcuna
certezza che detto dichiarante avesse effettivamente rivestito tale
qualità.
Considerato in diritto
3. — Entrambi i motivi di ricorso — congiuntamente esaminabili in ragione dell’intima connessione delle questioni dedotte – sono
infondati.
Al riguardo, varrà evidenziare come, con le doglianze illustrate
nell’atto d’impugnazione proposto in questa sede, il ricorrente si sia
limitato a prospettare unicamente una diversa lettura delle risultanze
istruttorie acquisite, in difformità dalla complessiva ricostruzione dei
giudici di merito, deducendo (peraltro, in modo solo ipotetico e congetturale) i soli elementi astrattamente idonei a supportare la propria
alternativa rappresentazione del fatto (ivi compresa l’asserita inattendibilità del soggetto individuato, nelle sentenze dei giudici del merito, come l’acquirente delle diverse dosi di sostanza stupefacente nel
tempo cedutegli dall’odierno imputato), senza tuttavia farsi carico
della complessiva riconfigurazione dei fatti oggetto di causa sulla base di tutti gli elementi istruttori raccolti, che, viceversa, i giudici del
merito hanno ricostruito con adeguata coerenza logica e linearità argomentativa (sull’integrazione in un unico corpo argomentativo delle
sentenze di primo e di secondo grado concordi nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive
decisioni, cfr. Cass., Sez. i, n. 8868/2000, Rv. 216906 e segg. conformi).
Sul punto, è appena il caso di richiamare il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, ai sensi del quale la
modificazione dell’art. 6o6 lett. e) c.p.p., introdotta dalla legge n.
46/2006, consente la deduzione del vizio del travisamento della prova là dove si contesti l’introduzione, nella motivazione, di un’informazione rilevante che non esiste nel processo, ovvero si ometta la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia. Il sindacato

2.2. –

della corte di cassazione resta tuttavia quello di sola legittimità, sì che
continua a esulare dai poteri della stessa quello di una rilettura degli
elementi di fatto posti a fondamento della decisione (v., ex multis,
Cass., Sez. 2, 11. 23419/2007, Rv. 236893).
Da ciò consegue che gli “altri atti del processo specificamente
indicati nei motivi di gravame” menzionati dal testo vigente dell’art.
6o6, comma primo, lett. e), c.p.p., non possono che essere quelli concernenti fatti decisivi che, se convenientemente valutati anche in relazione all’intero contesto probatorio, avrebbero potuto determinare
una soluzione diversa da quella adottata, rimanendo esclusa la possibilità che la verifica sulla correttezza e completezza della motivazione
si tramuti in una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito (Cass., Sez. 4, n.
35683/2007, Rv. 237652).
Nel caso di specie, i giudici del merito hanno coerentemente
ricostruito i fatti evidenziati dal complesso degli elementi di prova
raccolti, sottolineando come l’odierno imputato fosse stato visto dalla
polizia giudiziaria mentre si scambiava qualcosa con un soggetto,
dandosi immediatamente alla fuga alla vista degli operanti; fosse stato quindi immediatamente inseguito e intercettato a poche centinaia
di metri dal luogo dello scambio.
Erano quindi stati rinvenuti quattro involucri contenenti eroina accanto al soggetto còlto insieme all’imputato, il quale, vistosi
scoperto, ha dichiarato di aver acquistato più volte lo stupefacente
dall’imputato (in corrispondenza delle scansioni temporali di cui ai
capi d’imputazione), successivamente riconoscendolo personalmente
dinanzi alla polizia giudiziaria.
A fronte di tali premesse, i giudici del merito hanno evidenziato la scarsa credibilità della versione dei fatti fornita dall’imputato
(alla cui stregua lo stesso si sarebbe trovato in quel luogo per pernottarvi, a dispetto del carattere isolato del luogo di campagna e della
relativa inidoneità per dormirvi all’addiaccio), dando atto della non
secondaria circostanza costituita dal rinvenimento di una rilevante
somma di danaro (160,00 euro) in possesso del connazionale
dell’imputato fermato al momento del suo arresto, verosimilmente
allo stesso ceduta, nell’immediatezza, al fine di occultarla.
Il complesso di tali elementi, coerentemente e logicamente argomentato dai giudici del merito, è quindi valso a confermare la so-

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stanziale attendibilità delle dichiarazioni rese dal soggetto qualificatosi (e accertato) quale acquirente dello stupefacente dall’imputato in
relazione a tutti gli episodi criminosi contestati a carico dell’Omri;
dichiarazioni, in relazione alle quali, non essendo emersi elementi
obiettivi indizianti di uso non personale dello stupefacente acquistato, deve ritenersi correttamente richiamato (dalla corte d’appello) il
principio, autorevolmente sostenuto dalle sezioni unite di questa corte di legittimità, circa la relativa piena utilizzabilità a fini processuali
(cfr. Cass., Sez. Un., n. 21832/2007, Rv. 236370, e successivamente
Cass., Sez. 6, n. 40586/2008, Rv. 241358).
4. — Al riscontro dell’infondatezza di tutte le ragioni di doglianza avanzate dal ricorrente segue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione, rigetta il ricorso e condanna
il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 3.10.2013.

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