Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44747 del 03/10/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 44747 Anno 2013
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: BIANCHI LUISA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BUCCI MARCELLO N. IL 13/01/1954
avverso la sentenza n. 1973/2009 CORTE APPELLO di BRESCIA, del
20/12/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 03/10/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LUISA BIANCHI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.Cd
che ha concluso per

71,t1.)-

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Ofe-(2- Fa-,c2

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Data Udienza: 03/10/2013

44181/2012

1.11 22 giugno 2006 nel deposito di Pregalleno della spa San Pellegrino Terme
Franz Reiner Lichters, autista di un autocarro che doveva scaricare bottiglie
vuote, sceso dal suo mezzo per aprire la saracinesca e consentire le operazioni
di scarico e rimasto in attesa nei pressi del veicolo, veniva investito da un
carrello elevatore guidato da Veronesi Alfredo, dipendente di Ambroveneta srl
e per le gravi lesioni riportate decedeva immediatamente.
Veniva iniziato procedimento penale nei confronti di Bucci Marcello, direttore
dello stabilimento di San Pellegrino della omonima società spa San Pellegrino
Terme, per la stessa delegato in materia di prevenzione degli infortuni sul
lavoro; di Sartori Carlo e Gastaldi Gianluca amministratori rispettivamente
della Alma Group e della Ambroveneta, la prima appaltatrice del servizio di
gestione del predetto deposito di Pregalleno e la seconda subappaltatrice del
servizio di gestione operativa dello stesso; oltre che del predetto Veronesi,
dipendente di quest’ultima società.
In fatto si accertava che il magazzino-deposito dove si è verificato l’incidente
era della San Pellegrino spa che ne aveva appaltato la gestione ad Alma Group
che a sua volta aveva subappaltato alla Ambroveneta; che lo stesso si trovava
a circa 2 km dallo stabilimento della San Pellegrino, nella cui portineria i
camion dovevano passare per lasciare la bolla di consegna, prima di recarsi al
deposito; che il piano di sicurezza consegnato dalla S. Pellegrino alla Alma
Group era in astratto adeguato, però in concreto non erano stati realizzati
recinti pedonali, segnaletica orizzontale o verticale, distinzione tra le aree
destinate al parcheggio e quelle utilizzate dai carrelli per scaricare la merce;
che nel 2005 vi era stato un sopraluogo da parte di Bucci e che
successivamente San Pellegrino era stata informata del subentro di Alma
Group; che nella zona non vi era regolamentazione alcuna del lavoro, a ciò
provvedendo a volte i singoli operatori, mentre gli autisti dei mezzi intenti a
scaricare in genere circolavano liberamente; che l’incidente si verificava in
quanto Veronesi non si avvedeva della presenza della persona offesa avendo la
visuale impedita dalla pila di casse che si trovavano sul carrello da lui guidato.
I quattro imputati venivano ritenuti responsabili, nelle rispettive qualità,
dell’infortunio occorso per non aver ottemperato agli obblighi in materia di
sicurezza sul lavoro sugli stessi gravanti e condannati alle pene di giustizia,
debitamente diminuite in grado di appello per gli amministratori (Veronesi non
appellava la sentenza di primo grado).
2. Ha presentato ricorso per cassazione il difensore di Marcello Bucci
deducendo i seguenti motivi: 1) nullità della sentenza per violazione degli artt.
521 e 522 cod.proc.pen.; al Bucci è stata contestata, come colpa specifica, la
violazione dell’ art. 7, co.1, lett. b) d. Igs. 626/94 per aver omesso di fornir
informazioni al signor Reiner Lichters sui rischi specifici dell’ambiente in cui
doveva operare; egli è stato invece condannato per la violazione della lett. b)
del co. 2 del medesimo articolo e cioè per difetto dell’obbligo di coordinamento
nei confronti della Alnnagroup; 2) nullità della sentenza per violazione dell’
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RITENUTO IN FATTO

CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso non merita accoglimento.
Il primo motivo è manifestamente infondato non solo perché non risulta
essere stato dedotto in appello ma anche perché l’art. 7 co.1 lett. B),
richiamato nel capo di imputazione, prevede l’obbligo di fornire sia alle imprese
appaltatrici (e dunque ad Alma Group e Ambroveneta) sia ai lavoratori
autonomi (l’autista infortunatosi) dettagliate informazioni sui rischi specifici
esistenti nell’ambiente in cui sono destinati adoperare.
Punto centrale del ricorso è il secondo motivo, con cui si sostiene, da un lato,
la inapplicabilità del predetto art. 7, co. 1 lett. B) per difetto del requisito dell’
“affidamento del lavoro all’interno dell’azienda o dell’unità produttiva”, atteso
che “l’infortunio si era verificato nel magazzino-deposito esterno, situato a
Pregalleno, ossia in un’area indipendente e del tutto separata dallo
stabilimento San Pellegrino di Ruspino di cui Bucci era direttore”; e, dall’altro,
che si trattava comunque di rischi specifici della impresa appaltatrice.
Il ricorrente sovrappone due profili, che devono invece essere tenuti distinti, e
cioè, da un lato, la pretesa estraneità di Bucci rispetto all’incidente come
sarebbe dimostrato dal fatto che il contratto di appalto tra San Pellegrino spa e
AlmaGroup spa era stato firmato, per San Pellegrino, da un soggetto diverso
dal Bucci e, dall’altro, la autonomia dell’attività svolta dall’appaltatore, e di
conseguenza la problematica del rischio specifico di quest’ultima.
In relazione al primo profilo, lo stesso ricorrente riconosce che tra San
Pellegrino spa e AlmaGroup spa (cui era subentrata la cooperativa Ambroveneta) era stato stipulato un contratto di appalto, avente ad oggetto i
servizi di movimentazione merci e prodotti presso il deposito di Pregalleno, ma
evidenzia che Bucci non ha sottoscritto quel contratto, per sostenere
l’estraneità di Bucci e l’assenza di sua responsabilità. Tale circostanza è in
realtà del tutto irrilevante ai fini di che trattasi, atteso che il soggetto
appaltante (situazione che configura la responsabilità ex art. 7 d.lsvo 626/94)
è indiscutibilmente San Pellegrino spa, che altrettanto indiscutibilmente
costituisce unità produttiva ai sensi della definizione data dalla lett. i dell’art.2
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art. 7, co.1, lett. b) d. Igs. 626/94 e difetto di motivazione; sostiene il
ricorrente che la disposizione, che prevede obblighi per il caso di affidamento
di lavori all’interno dell’azienda o dell’unità produttiva, non sarebbe pertanto
applicabile al caso di specie atteso che il magazzino-deposito in cui si è
verificato l’incidente era del tutto separato ed autonomo rispetto allo
stabilimento della San Pellegrino di Ruspino di cui Bucci era direttore;tanto è
vero che il contratto stipulato da San Pellegrino spa con Alma Group spa era
firmato, per la prima, non da Bucci ma da un altro soggetto. Sostiene inoltre
che si trattava di rischi specifici propri dell’impresa Ambroveneta,
specializzata in movimentazione facchinaggio, carico e scarico merci, cui era
stato subappaltato il lavoro e che dovevano pertanto essere riconosciuti e
valutati da Ambroveneta e non dalla committente San Pellegrino; 3) nullità
della sentenza per violazione ed erronea applicazione degli artt. 40 e 41 cod.
pen. e difetto di motivazione al riguardo;

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del medesimo decreto (stabilimento o struttura finalizzata alla produzione di
beni o servizi dotata di autonomia finanziaria e tecnico funzionale); la
circostanza che il contratto di appalto è stato sottoscritto da un soggetto
diverso dell’attuale ricorrente, probabilmente collegata ad una ripartizione di
compiti interni all’azienda, non toglie che l’appalto sia stato regolarmente
conferito da San Pellegrino spa con conseguente assunzione da parte della
medesima degli obblighi attinenti i alla sicurezza sul lavoro facenti carico
proprio all’attuale ricorrente, Bucci Marcello, nella sua qualità, non contestata,
di direttore dello stabilimento munito di delega in materia di prevenzione
infortuni.
Per quanto riguarda la pretesa autonomia e indipendenza delle attività svolte
è opportuno in primo luogo mettere in evidenza la stretta relazione funzionale
che esisteva tra la attività dello stabilimento di San Pellegrino e il deposito di
Pregalleno, destinato a ricevere bottiglie vuote da soggetti terzi e a rifornire di
tali vuoti lo stabilimento e fino a poco tempo prima gestito direttamente da
San Pellegrino, di modo che appare singolare invocare una totale autonomia di
gestione. Occorre poi ricordare che la sentenza impugnata ha
opportunamente messo in luce la circostanza che i camion che portavano le
bottiglie vuote al deposito di Pregalleno dovevano necessariamente prima
transitare per le formalità amministrative presso la portineria dello
stabilimento della San Pellegrino, dove venivano autorizzati a recarsi al
deposito e dove ricevevano gli avvertimenti sulla sicurezza da parte
dell’addetto alla portineria (irrilevante la loro inadeguatezza); nonché quella
che nel magazzino accedevano, con frequenza ravvicinata e con precedenza
assoluta,
le c.d. navette rosse della San Pellegrino, e cioè quelle che
prelevavano le bottiglie vuote da trasferire nel vicino
stabilimento;
significativa appare anche la circostanza che personale di San Pellegrino si
recava nel deposito per “controllare” e per fare l’inventario. E’ stata dunque
accertato lo stretto collegamento dell’attività svolta nel magazzino-deposito
con lo stabilimento San Pellegrino in concreto dimostrato dal fatto che la
regolamentazione dell’accesso dei camion provenienti dall’estero era gestita da
quest’ultimo e che al deposito avevano accesso le navette aventi lo scopo di
assicurare il rifornimento di bottiglie vuote allo stabilimento della San
Pellegrino. In questa situazione correttamente è stato escluso che il
magazzino-deposito avesse una propria individualità tale da assumere la
fisionomia di unità produttiva autonoma e separata, ritenendosi invece che
rientrasse all’interno dell’unità produttiva della San Pellegrino spa, con la
conseguente applicabilità degli obblighi di cui all’art. 7 del d.lvo 626/94,
obblighi peraltro riconosciuti anche a livello contrattuale, risultando dalla
12,, sentenza di primo grado (espressann
s I punto richiamata da quella di
appello) che al punto 7 del contratto
n Pellegrino si era impegnata a
fornire informazioni sui rischi speci !ci esistenti nell’ambiente in cui la
appaltatrice si apprestava ad operare ed essendo nel medesimo contratto
richiamato l’art. 7.2 del d.lvo 626/94 e cioè l’obbligo di cooperare all’attuazione
delle misure di prevenzione anche con incontri di cooperazione e
coordinamento. Come è stato già osservato (sez. III 4.11.2008 n.1825 Rv.
242345) con specifico riguardo al dPR 626/94 all’epoca vigente, nella materia
della sicurezza del lavoro e della prevenzione infortuni esiste una specifica

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norma di legge che costituisce il committente come corresponsabile con
l’appaltatore per le violazioni delle misure prevenzionali e protettive. Infatti, il
D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, art. 7, nel caso di affidamento di lavori ad
imprese appaltatrici: a) affida al datore di lavoro committente il compito di
verificare l’idoneità tecnica dell’impresa appaltatrice e di informarla sui rischi
specifici in materia di sicurezza e igiene del lavoro e sulle misure prevenzionali;
b) assegna a entrambi i datori di lavoro il compito di cooperare in materia di
sicurezza e igiene del lavoro e di coordinare gli interventi di protezione e
prevenzione; c) affida al datore di lavoro committente il compito di
promuovere la cooperazione e il coordinamento di cui alla lettera precedente,
salvo per quanto riguarda i rischi specifici propri dell’attività delle imprese
appaltatrici. Sulla base di questi obblighi si configura una corresponsabilità di
committente e appaltatore, al fine di rafforzare la tutela del bene della
sicurezza e dell’igiene sui luoghi di lavoro, corresponsabilità nella specie
esistente per il mancato adempimento da parte del Bucci a quanto stabilito
dalle predette lett. B) e C).
La circostanza che i mezzi che prelevavano le bottiglie vuote necessarie alla
attività del vicino stabilimento San Pellegrino, le c.d. navette rosse, fossero
guidati (come ha sostenuto Bucci) “da personale di un’altra ditta a cui il
servizio era stato appaltato”, e dunque non da dipendenti della San Pellegrino,
non fa venire meno i predetti obblighi di cooperazione il cui obiettivo è proprio
quello di assicurare, al di là dei rapporti giuridici esistenti tra i vari soggetti
interessanti (appalto,
lavoro subordinato,
prestazione d’opera) una
cooperazione effettiva in caso di contemporanea presenza su un luogo di
lavoro di più soggetti, al fine di rendere concreta la prevenzione degli infortuni
e assicurare la massima protezione possibile di chi in tale ambiente opera.
Né può sostenersi che si trattava di rischi specifici di Ambroveneta, essendosi
già chiarito (sez. IV 17.5.2005 n.31296 Rv.231658) che la limitazione di cui
al comma 3 u.p. dell’art. 7
(che esclude l’obbligo di cooperazione del
committente per i “rischi specifici delle attività delle imprese appaltatrici o dei
singoli lavoratori autonomi”) va riferita non alle generiche precauzioni da
adottarsi negli ambienti di lavoro per evitare il verificarsi di incidenti ma alle
regole che richiedono una specifica competenza tecnica settoriale,
generalmente mancante in chi opera in settori diversi, ovvero nella conoscenza
delle procedure da adottare nelle singole lavorazioni o nell’utilizzazione di
speciali tecniche o nell’uso di determinate macchine. Non può quindi
considerarsi rischio specifico quello derivante dalla generica necessità di
regolare il movimento di coloro (lavoratori o pedoni) che si trovavano ad
operare nello stesso spazio, al fine di evitare pericolose interferenze tra loro,
come di fatto nella specie verificatosi, essendo questo pericolo connesso alla
attività che si svolgeva nel magazzino-deposito in termini di assoluta
complementarità e collegamento, per quanto si è detto sopra, con quella dello
stabilimento e sussistendo dunque l’obbligo di committente e appaltatore di
cooperare nell’attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi.
Come risulta dalla sentenza impugnata, questo obbligo nella specie è stato
disatteso, dal momento che Bucci, pur avendo provveduto ad inserire tale
rischio nel piano di sicurezza (pag 11 della sentenza) non si è poi in alcun
modo preoccupato di accertarsi della concreta adozione delle necessarie misure

2.Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato con condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
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di sicurezza e ciò nonostante la piena conoscenza delle caratteristiche del
magazzino, in precedenza gestito da San Pellegrino, e del fatto che il
medesimo,’ in occasione del un sopraluogo da lui effettuato all’epoca della
stipula del contratto,aveva potuto rendersi conto che nel deposito mancava
del tutto la segnaletica orizzontale.
Con l’ultimo motivo di ricorso si sostiene il difetto di motivazione sugli artt. 40
e 41 e sulla sussistenza del nesso causale, lamentando che i giudici avrebbero
dovuto chiedersi se l’incidente si sarebbe verificato ugualmente in presenza
della segnaletica mancante, tenuto conto che l’infortunato non era un
semplice pedone ma l’autista del camion che stava scaricando; e avrebbero
dovuto valutare l’incidenza del comportamento assolutamente anomalo ed
imprevedibile del medesimo autista e della persona offesa nel determinare
l’incidente. Il motivo non ha pregio. L’obbligo di cooperare tra imprese
appaltante e appaltatrice, di cui sopra si è detto, riguarda l’attività lavorativa
svolta e obbliga alla tutela della sicurezza dei luoghi di lavoro al fine di
garantire sia i lavoratori dipendenti che eventuali terzi che abbiano accesso nei
luoghi di lavoro; la circostanza che l’autista non fosse un semplice pedone non
fa certo venir meno l’obbligo di sicurezza. Sicurezza che dalla presenza di una
opportuna segnaletica regolante le aree destinate alla sosta dei mezzi e quelle
destinate al transito dei carrelli e dalla più precisa regolamentazione delle
modalità di carico e scarico – nella specie assolutamente mancanti – avrebbe
trovato valido presidio creando le condizioni per evitare l’evento. E’ dunque
evidente la rilevanza causale della omissione contestata al Bucci, alla cui difesa
non giova neppure invocare la responsabilità dei due soggetti che hanno dato
vita all’incidente atteso che, a prescindere da eventuali responsabilità
concorrenti dei medesimi che non rilevano in questa sede, è del tutto evidente
che la loro imprudenza non può costituire esonero del comportamento colposo
del Bucci . Infatti il carente comportamento del medesimo ne fonda la colpa ed
esclude che possa eccepirsi l’interruzione del nesso di causalità per effetto del
comportamento dei lavoratori, dovendosi ribadire (sez. 4 23.3.2007 n. 21587
rv. 236721) che in materia di infortuni sul lavoro, la condotta colposa del
lavoratore infortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a
produrre l’evento quando sia comunque riconducibile all’area di rischio propria
della lavorazione svolta: in tal senso il datore di lavoro è esonerato da
responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore, e le sue
conseguenze, presentino i caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità,
dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive di
organizzazione ricevute, direttive di organizzazione da ritenersi nella specie,
per quanto si è detto, del tutto mancanti.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 3.10.2013.

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