Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44744 del 01/10/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 44744 Anno 2013
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: MONTAGNI ANDREA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CARTASSO ARMANDO N. IL 08/07/1935
avverso la sentenza n. 5597/2010 CORTE APPELLO di TORINO, del
22/02/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 01/10/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. 6 t’
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che ha concluso per

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Udito, pejÀ parte civile, l’Avv
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Data Udienza: 01/10/2013

Ritenuto in fatto
1. Il Tribunale di Asti, con sentenza in data 28 ottobre 2009, dichiarava
Cartasso Armando responsabile del reato di cui all’art. 449 cod. pen., per avere
dato fuoco a delle sterpaglie su un terreno incolto, senza tenere conto del vento, di
talché l’incendio si era propagato al terreno circostante, per una superficie di circa
500 mq.
2. La Corte di Appello di Torino, con sentenza resa in data 22 febbraio 2013,

Il Collegio rilevava che doveva essere disattesa la richiesta di parziale
rinnovazione del dibattimento, atteso che le pretese divergenze tra le dichiarazioni
rese di testi Marzano, Dessimone e Bussa apparivano come semplici discrepanze,
del tutto fisiologiche rispetto al tempo trascorso tra la data del fatto e quella del
giudizio. Ciò premesso, la Corte distrettuale rilevava che la decisione del Tribunale
non meritava censure, posto che il primo giudice aveva correttamente valutato le
risultanze processuali. Sul punto, il Collegio richiamava la deposizione resa dal teste
Marzano, responsabile della squadra dei Vigili del Fuoco di Asti, intervenuta sul
posto, il quale aveva riferito che al momento dell’arrivo aveva visto mezza collina
che stava bruciando; che le fiamme rischiavano di raggiungere un boschetto
esistente sulla sommità della collina; e che l’azione di spegnimento aveva richiesto
complessivamente una trentina di minuti.
La Corte territoriale considerava pertanto che il fuoco provocato dall’imputato
aveva tutte le caratteristiche, quanto alle proporzioni, alla tendenza a progredire ed
alle difficoltà di spegnimento, necessarie ad integrare l’ipotizzato reato di incendio
colposo. Rilevava che il fatto che l’imputato si fosse attivato per tentare di spegnere
il fuoco era stato adeguatamente valorizzato dal primo giudice attraverso la
concessione delle attenuanti generiche; e che non poteva essere riconosciuta
l’ulteriore attenuante di cui all’art. 62 n. 6, cod. pen., la quale presuppone che il
colpevole si adoperi spontaneamente ed efficacemente per elidere le conseguenze
del reato.
3. Avverso la richiamata sentenza della Corte di Appello di Torino ha proposto
ricorso per cassazione Cartasso Armando, a mezzo del difensore.
Con il primo motivo, la parte si duole della mancata assunzione di prove
decisive. L’esponente rileva che la Corte di Appello ha disatteso le istanze di
parziale rinnovo del dibattimento, benché ne sussistessero i presupposti. Osserva
che i testi Dessimone e Marzano hanno fornito una contrastante descrizione
dell’estensione del fuoco e sulle relative modalità di spegnimento, come pure sulla
presenza in loco dell’imputato. L’esponente assume che, nel caso, si sia verificato
un incendio di cosa propria, senza alcun pericolo per la pubblica incolumità; e che

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confermava la sentenza di primo grado.

sarebbero potuti emergere i presupposti per applicare l’attenuante di cui all’art. 62
n. 6 cod. pen.
Con il secondo motivo il ricorrente si duole della mancata assunzione di prova
decisiva, in riferimento all’accertamento delle condizioni meteorologiche della
frazione Accorneri di Viarigi, nel pomeriggio del 19.07.2006, in cui ebbe a verificarsi
il fatto, con specifico riferimento alla esistenza o meno di ventilazione. Osserva che
secondo l’imputato al momento dell’accensione del fuoco tale ventilazione era

deve qualificarsi come evento imprevedibile.
Con il terzo motivo, l’esponente deduce la carenza di motivazione, atteso che
la Corte di Appello ha omesso di esaminare la questione relativa all’accertamento
delle condizioni meteorologiche.
Con il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione di legge, in
riferimento alla affermazione di penale responsabilità dell’imputato. Osserva che la
Corte distrettuale ha omesso di considerare l’insussistenza di un pericolo concreto
reale ed effettivo per la pubblica incolumità. Rileva che la diffusione del fuoco è
stata in realtà minima e circoscritta al solo terreno dell’imputato.
Con il quinto motivo il deducente rileva il vizio motivazionale, in riferimento
alla affermazione di penale responsabilità dell’imputato, laddove la Corte ha
ritenuto accertato, ai fini della ascrivibilità colposa della condotta, che il fatto si sia
verificato in una giornata ventilata. Rileva che l’insorgenza di una leggera brezza è
evenienza assolutamente imprevedibile, di talché non sussiste alcun profilo di colpa
per imprudenza.
Con il sesto motivo il ricorrente lamenta la violazione di legge, atteso che la
Corte di Appello ha basato l’affermazione di penale responsabilità su mere
presunzioni, non considerando che nel caso sussisteva un ragionevole dubbio a
favore dell’imputato.
Con il settimo motivo l’esponente denuncia la violazione di legge in
riferimento all’art. 62, ultima parte, cod. pen. Osserva che ai sensi dell’art. 62, n. 6
cod. pen., rileva anche solo l’essersi adoperato per attenuare le conseguenze
dannose o pericolose del reato; e considera che nel caso di specie l’imputato ha
immediatamente avvertito il primo soggetto che ha incontrato ed ha personalmente
tentato di spegnere le fiamme. Il ricorrente rileva che erroneamente la Corte di
Appello ha escluso la sussistenza della invocata attenuante.
Con il settimo motivo viene dedotto il vizio motivazionale, in merito al
mancato riconoscimento dell’attenuante ex art. 62, n. 6 cod. pen. Osserva che la
Corte distrettuale non ha esaminato il profilo della attenuazione delle conseguenze
del reato, pure sollecitato nell’atto di appello.

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totalmente assente; ed assume che il refolo che ebbe successivamente a spirare

Considerato in diritto
4. Il ricorso in esame muove alle considerazioni che seguono.
4.1 Soffermandosi sulle censure affidate ai primi tre motivi di ricorso, che è
dato esaminare congiuntamente, si osserva che trattasi di doglianze
manifestamente infondate.
Con riferimento alla mancata assunzione di una prova decisiva, quale motivo
di impugnazione per cassazione, si osserva che questa Suprema Corte ha chiarito

stata chiesta l’ammissione a norma dell’art. 495, secondo comma, cod. proc. pen.
(cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4177 del 27.10.2003, dep. 04.02.2004, Rv.
227103). E, con riferimento alla doglianza afferente al mancato rinnovo
dell’istruttoria dibattimentale, deve rilevarsi che la giurisprudenza di legittimità ha
da tempo chiarito: che il vigente codice di rito penale pone una presunzione di
completezza dell’istruttoria dibattimentale svolta in primo grado; che la
rinnovazione, anche parziale, del dibattimento, in sede di appello, ha carattere
eccezionale e può essere disposta unicamente nel caso in cui il giudice ritenga di
non poter decidere allo stato degli atti.
Nell’alveo dell’orientamento interpretativo ora richiamato, la Suprema Corte
ha poi affermato che l’esercizio del potere di rinnovazione istruttoria si sottrae, per
la sua natura discrezionale, allo scrutinio di legittimità, nei limiti in cui la decisione
del giudice di appello presenti una struttura argomentativa che evidenzi – per il
caso di mancata rinnovazione – l’esistenza di fonti sufficienti per una compiuta e
logica valutazione in punto di responsabilità (cfr. Cass. Sez. 6, Sentenza n. 40496
del 21/05/2009, dep. 19/10/2009, Rv. 245009).
Orbene, le considerazioni svolte dalla Corte di Appello di Torino, la quale ha
rigettato la richiesta di rinnovo dell’istruttoria dibattimentale, stante la completezza
del quadro istruttorio rispetto al tema di prova, risulta immune dalle dedotte
censure. La Corte distrettuale, infatti, ha evidenziato che dalla espletata istruttoria
risultava inequivocamente accertato che le fiamme, al momento dell’arrivo dei Vigili
del Fuoco, rischiavano di raggiungere un vicino boschetto, di talché la prima azione
degli operanti fu quella di impedire che il fuoco raggiungesse la predetta area. Ciò
chiarito, il Collegio ha poi considerato che le operazioni di spegnimento si
protrassero per circa trenta minuti. In riferimento alle condizioni meteorologiche, la
Corte di Appello ha poi del tutto conferentemente rilevato che il teste Marzano
aveva evidenziato: che effettivamente si trattava di una giornata con un leggero
venticello, con temperatura elevata; e che, a causa del calore, si erano creati piccoli
vortici naturali e mulinelli, che avevano reso difficoltoso lo spegnimento del fuoco.
4.2 Introdotta in tali termini la disamina del quarto, del quinto e del sesto
motivo di ricorso, da effettuarsi congiuntamente, si rileva che la Corte di Appello ha
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che la doglianza può essere dedotta solo in relazione ai mezzi di prova di cui sia

chiarito, sviluppando un percorso logico argomentativo immune dalle dedotte
censure, che il fuoco che era stato provocato dall’imputato aveva la tendenza a
progredire e che i Vigili del Fuoco avevano riscontrato difficoltà nello spegnimento.
Oltre a ciò, la Corte di merito ha considerato che l’imputato versava certamente in
colpa, avendo imprudentemente dato fuoco a sacchi di carta, in una giornata calda
e leggermente ventilata, senza tenere conto del fatto che la zona era caratterizzata
dalla presenza di sterpaglie e da un vicino boschetto.

inammissibilità.
Come noto, esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una “rilettura”
degli elementi di fatto, posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è
riservato in via esclusiva al giudice di merito; e che non può integrare il vizio di
legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata,
valutazione delle risultanze processuali (Cass. Sez. U, Sentenza n. 6402 del
30.04.1997, dep. 02.07.1997, Rv. 207945). Sul punto, la Corte regolatrice ha
chiarito che anche dopo la modifica dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., per effetto
della legge 20 febbraio 2006 n. 46, resta immutata la natura del sindacato che la
Corte di Cassazione può esercitare sui vizi della motivazione, essendo rimasto
preclusa, per il giudice di legittimità, la pura e semplice rilettura degli elementi di
fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi
parametri di ricostruzione o valutazione dei fatti (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 17905
del 23.03.2006, dep. 23.05.2006, Rv. 234109).
Occorre poi rilevare che la decisione impugnata si colloca nell’alveo
dell’orientamento interpretativo ripetutamente espresso dalla Corte regolatrice, in
ordine alla nozione di incendio. Si è infatti da tempo chiarito che per la
configurabilità del reato di incendio colposo, occorre che sussista un fuoco
caratterizzato da vastità delle proporzioni, dalla tendenza a progredire e dalla
difficoltà di spegnimento (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 14592 del 16/11/1999,
dep. 23/12/1999, Rv. 216129). E, con specifico riferimento all’incendio colposo
della cosa propria, ex art. 423 e 449 cod. pen., la Corte regolatrice ha precisato che
il pericolo per la pubblica incolumità (oggetto specifico della tutela penale del
reato), può essere costituito non solo dalle fiamme, ma anche da quelle che sono le
loro dirette conseguenze (il calore, il fumo, la mancanza di ossigeno, l’eventuale
sprigionarsi di gas pericolosi dalle materie incendiate) che si pongono in rapporto di
causa ad effetto con l’incendio, senza soluzione di continuità (Cass. Sez. 4,
Sentenza n. 1034 del 16/10/1991, dep. 30/01/1992, Rv. 189042).
4.3 Le censure affidate al settimo ed all’ottavo motivo del ricorso, che
involgono il tema del mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 6
cod. pen., sono fondate.
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Deve allora rilevarsi che i motivi di ricorso in esame si pongono ai limiti della

Giova al riguardo considerare che la Corte regolatrice ha chiarito che l’art. 62
c.p., n. 6 contempla due distinte previsioni, la seconda delle quali – che viene in
rilievo nella fattispecie all’esame – ricollega il riconoscimento della circostanza
attenuante all’ipotesi in cui l’imputato si sia adoperato spontaneamente ed
efficacemente per elidere o “attenuare” le conseguenze dannose o pericolose del
reato (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2833 del 27/09/2012, dep. 18/01/2013, Rv.
254299, in motivazione). E la Corte di Cassazione ha pure chiarito che il

conseguenze, diverse dal pregiudizio economicamente risarcibile, che intimamente
ineriscono alla lesione o al pericolo di lesione del bene giuridico tutelato dalla norma
penale violata (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 27542 del 27/05/2010, dep. 15/07/2010,
Rv. 247710, in motivazione).
Nel caso di specie la Corte territoriale riferisce che Cartasso, al momento
dell’arrivo dei Vigili del Fuoco, appariva con evidenti segni di nero fumo e di
bruciature, che si era provocato nel tentativo di elidere le conseguenze del reato. A
fronte di tali evenienze, i giudici del gravame hanno ritenuto l’imputato non
meritevole della invocata attenuante, giacché le operazioni di spegnimento poste in
essere dall’imputato non erano risultate efficaci e non avevano eliso le conseguenze
del reato.
Orbene, sul punto di interesse, la sentenza impugnata risulta inficiata della
dedotta erronea applicazione della legge penale. Ed invero, l’art. 62, n. 6 cod. pen.,
annovera, tra le circostanze attenuanti comuni, il fatto che l’agente si sia
adoperato spontaneamente ed efficacemente, “per elidere o attenuare” le
conseguenze dannose o pericolose del reato. E, come sopra considerato, la norma
in esame, secondo diritto vivente, viene in rilievo anche nel caso in cui l’imputato si
sia adoperato per “attenuare” la lesione del bene giuridico tutelato dalla norma
penale incriminatrice. La Corte territoriale, di converso, ha del tutto omesso di
considerare, in riferimento al possibile riconoscimento della circostanza attenuante
di cui all’art. 62, n. 6, cod. pen., la condotta posta in essere dall’imputato, che
aveva tentato di attenuare le conseguenze del reato, ritenendo erroneamente che
la norma in commento si limitasse ad assegnare rilevanza alla elisione delle
conseguenze dannose del reato.
4.4 Si impone, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata,
limitatamente al diniego dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 6, cod. pen., con rinvio
alla Corte di Appello di Torino per nuovo esame. I restanti motivo di ricorso, per le
ragioni sopra esposte, devono essere rigettati. Si osserva che nel caso di specie,
essendo stata annullata la sentenza limitatamente alla valutazione relativa al
riconoscimento di una circostanza attenuante, si è verificata la formazione
progressiva del giudicato, con riguardo alla parte della sentenza che concerne
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ravvedimento operoso si collega al danno cosiddetto criminale, cioè alle

l’affermazione di responsabilità penale (cfr. Cass. Sez. 2, sentenza n. 12967 del
14.03.2007, Rv. 236462).
P.Q.M.
Annulla la impugnata sentenza limitatamente al diniego della attenuante di cui
all’art. 62 n. 6 cod. pen. e rinvia sul punto alla Corte di Appello di Torino.
Rigetta nel resto.

Così deciso in Roma in data 10 ottobre 2013.

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