Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44741 del 01/10/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 44741 Anno 2013
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: MARINELLI FELICETTA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE
DI VENEZIA
nei confronti di:
PEDROCCO MARCO N. IL 02/10/1967
avverso la sentenza n. 4320/2012 GIP TRIBUNALE di VENEZIA, del
02/10/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 01/10/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FELICETTA MARINELL1
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Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. 9) ee2t-4.
che ha concluso per

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Data Udienza: 01/10/2013

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Con sentenza del 2 ottobre 2012
il G.I.P. del Tribunale di
Venezia dichiarava non luogo a procedere nei confronti di
Pedrocco Marco in ordine al reato di cui all’articolo 73 commi
l e 1 bis del d.PR.309/90, in quanto riteneva che, non essendo
stata acquisita agli atti la relazione di analisi della
sostanza in sequestro, non poteva ritenersi con certezza la
qualità stupefacente della stessa. Avverso tale decisione ha
proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica
presso il Tribunale di Venezia, chiedendone l’annullamento, e
la censurava per i seguenti motivi:
l)
Violazione e falsa applicazione dell’art.73 comma 1 e l bis
del d.PR. 309/90
2)
Violazione e falsa applicazione dell’art.425 c.p.p.. Secondo
il Procuratore generale ricorrente il G.I.P. era pervenuto ad
un’errata interpretazione delle norme giuridiche. Al Pedrocco
era stato infatti contestato il delitto di coltivazione non
autorizzata di piante di cannabis indica e tale coltivazione
integra il delitto di cui all’art.73 comma l del d.PR.309/90
indipendentemente dai fini che l’imputato si proponeva.
L’eventuale analisi dei reperti non avrebbe avuto alcuna
rilevanza al fine di dimostrare la materialità del delitto
contestato. Dagli atti inoltre non emergeva che non si potesse
procedere all’analisi dei reperti sequestrati al fine di
determinare il principio attivo dello stupefacente descritto
nell’imputazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

I proposti motivi di ricorso non sono fondati.
La sentenza di non luogo a procedere, infatti, anche dopo le
modifiche subite dall’art. 425 cod. proc. pen. a seguito della
legge 16 dicembre 1999 n. 479, rimane prevalentemente una
sentenza di natura processuale e non di merito, finalizzata ad
evitare i dibattimenti inutili, e non ad accertare se
l’imputato sia colpevole o innocente. Ne deriva che il
parametro di valutazione del giudice, cui è imposto di adottare
la sentenza di non luogo a procedere ” anche quando gli
elementi acquisiti risultano insufficienti, contraddittori o
comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio” (articolo
425, comma 3, cod.proc.pen.), non è l’innocenza dell’imputato,
ma l’impossibilità di sostenere l’accusa in giudizio. Quindi,
poiché lo scopo dell’udienza preliminare è quello di evitare
dibattimenti inutili, e non quello di accertare la colpevolezza
o l’innocenza dell’imputato, l’insufficienza e la
contraddittorietà degli elementi devono avere caratteristiche
tali da non poter essere ragionevolmente considerate superabili
in giudizio, con la conseguenza che, a meno che ci si trovi in

RITENUTO IN FATTO

PQM

Rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma 1’1.10.2013

presenza di elementi palesemente insufficienti per sostenere
l’accusa in giudizio per l’esistenza di prove positive di
innocenza o per la manifesta inconsistenza di quelle di
colpevolezza, la sentenza di non luogo a procedere non è
consentita quando l’insufficienza e la contraddittorietà degli
elementi acquisiti siano superabili in dibattimento.
Tanto premesso, ritiene la Corte che il giudice abbia fatto
corretta applicazione di tali principi al caso in esame.
Il G.I.P. ha infatti osservato che non risultava acquisita agli
atti la relazione di analisi della sostanza, né vi era prova
che tali analisi fossero state effettuate, non potendosi
pertanto ritenere provata la natura stupefacente della sostanza
stessa. Rilevava altresì che le analisi eventualmente oggi
effettuate risulterebbero di scarsa utilità, atteso il lungo
tempo trascorso, oltre sei anni, dall’epoca dei fatti.
Pertanto, anche se la coltivazione di piante di cannabis indica
integra un reato di pericolo, purtuttavia all’epoca attuale
manca la possibilità di ritenere che le piante di cui al capo
di imputazione avessero potere stupefacente, attesa la loro
estrema varietà e il lungo tempo trascorso che impedisce di
rilevare il principio attivo con la necessaria certezza.
Il ricorso deve essere quindi rigettato.

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