Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44728 del 09/10/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 44728 Anno 2013
Presidente: GARRIBBA TITO
Relatore: PETRUZZELLIS ANNA

Data Udienza: 09/10/2013

SENTENZA
sui ricorsi proposti da
1. Ciro De Gregorio, nato a Napoli il 10/11/1980
2. Giuseppe De Gregorio, nato a Napoli 1’01/04/1970
avverso l’ordinanza del 07/05/2013 del Tribunale di Napoli
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Anna Petruzzellis;
udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Elisabetta Cesqui, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso di
Ciro De Gregorio e la dichiarazione di inammissibilità del ricorso di Giuseppe De
Gregorio;
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza del 07/05/2013 il Tribunale di Napoli ha accolto
parzialmente riesame proposto da Giuseppe e Ciro De Gregorio di relazione ad
alcuni reati loro contestati ed all’esclusione dell’aggravante di cui all’art. 7 di 13
maggio 1991 n. 152 confermando nel resto la custodia cautelare disposta dal gip
del Tribunale di Napoli con ordinanza del 8 aprile 2013 per ulteriori imputazioni
inerenti alla partecipazione all’associazione finalizzata al traffico di sostanze
stupefacenti nonché a numerosi episodi relativi a trattative di acquisto,
detenzione e cessione delle medesime per attività svoltisi fino al gennaio 2011.
La difesa ha proposto autonomi motivi di ricorso.
2.1. Nell’interesse di Ciro De Gregorio si deduce violazione di legge
processuale ed illogicità della motivazione quanto alla mancata applicazione della
disciplina di cui aVart. 297 comma 3 cod. proc. pen. rilevando che nella specie
ricorrevano, rispetto ai fatti contestati in due successive ordinanze, entrambi i
requisiti previsti dalla legge per consentire la retrodatazione della decorrenza

e

della seconda carcerazione dall’inizio dell’esecuzione della prima, individuabili
nella possibilità di ricavare i fatti contestati nella seconda ordinanza da dati
pregressi, già presenti al momento dell’emissione della prima, nonché dalla
connessione qualificata tra gli eventi. Per contro il provvedimento del riesame ha
escluso gli effetti dell’istituto invocato sulla base del mancato riconoscimento in
fatto della presenza di tali requisiti.

richiamando l’identità della natura delle condotte contestate, riguardanti sempre
la cessione di sostanze stupefacenti e l’impiego dei relativi profitti, oltre che il
contesto temporale nel quale sarebbero stati svolti i fatti, intercorrente tra
settembre e dicembre 2010, la circostanza che gli episodi risultano compiuti con
i medesimi concorrenti, che sono stati raggiunti dalle medesime contestazioni
per lo stesso periodo.
Per di più il Tribunale del riesame ha escluso la ricorrenza del medesimo
disegno criminoso rivisitando in peius la contestazione svolta dal Pm, e ritenuta
dal gip all’atto dell’emissione della misura, che avevano già riconosciuto tale
vincolo, esercitando un potere valutativo non rimesso alla fase cognizione del
riesame.
Sulla desumibilità degli indizi che sorreggono il secondo provvedimento
dagli atti preesistenti alla prima, la stessa ordinanza non esclude il dato storico,
valutando la rilevanza giuridica della data di trasmissione dell’informativa al P.m.
solo dopo il primo arresto del ricorrente. In senso opposto il ricorrente assume
l’irrilevanza della trasmissione della notizia di reato, posto che tutti gli atti
relativi alle intercettazioni erano già presenti nel fascicolo del procedimento.
Si sottolinea inoltre la cognizione diretta da parte del P.m. delle
intercettazioni, collegabili alla sua funzione di direzione delle indagini,
evidenziando che nella specie l’informativa valutata dal Tribunale aveva natura
meramente riassuntiva dell’indagine, lungo il corso della quale il P.m. aveva
acquisito informative intermedie, su cui era stata fondata la richiesta di proroga
delle intercettazioni. Si chiarisce inoltre che risulta per tabulas la conoscenza da
parte del P.m. dei fatti ascritti al ricorrente con il secondo provvedimento prima
dell’arresto, così che la conclusione in fatto raggiunta dal Tribunale risulta illogica
ed in contrasto con gli atti del procedimento.
Accedendo da ultimo, in chiave puramente teorica, alla tesi del Tribunale
si osserva che vi sarebbe stata una violazione da parte della polizia giudiziaria
dell’obbligo di riferire senza ritardo delle notizie di reato acquisite, la cui
verificazione non può andare a detrimento dell’indagato.

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Cassazione sezione VI penale, rg. 25800/2013

Si contesta quindi genericità ed inesatta valutazione sul punto

3.1. Nell’interesse di Giuseppe De Gregorio la difesa deduce con il primo
motivo violazione di legge processuale per mancanza di motivazione, nonché
contraddittorietà ed illogicità della stessa in ordine la sussistenza dei gravi indizi
di colpevolezza a carico del proprio assistito, in relazione al reato di cui al capo
k1) della contestazione, riguardante un episodio qualificato ai sensi dell’art. 73
d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309.
Si richiama la lettura dei gravi indizi fornita riguardo a tale episodio nella

memoria depositata a sostegno dei motivi del riesame, nella quale si evidenziava
che da un’intercettazione, della cui attendibilità non vi è alcuna certezza,
emergeva che il fratello Ciro conferiva all’odierno ricorrente l’incarico di
riconsegnare la droga a tale Ferrigno da cui l’aveva acquistata, poiché il suo
arresto non gli consentiva lo svolgimento dell’attività, ed era stato sottolineato
che non si poteva ricavare l’effettiva esecuzione dell’incarico, poiché risultava
che il venditore non aveva accettato in restituzione la sostanza, continuando a
pretenderne il prezzo, così che l’azione ascrivibile all’odierno ricorrente era
costituita esclusivamente da un incarico ricevuto e mai eseguito.
Il Tribunale ha illogicamente ritenuto che l’odierno ricorrente abbia gestito
in proprio questa trattativa, ove ha offerto di scomputare il debito attraverso la
restituzione di un quantitativo di sostanza del medesimo valore, ritenendo
irrilevante la circostanza che così facendo egli eseguisse le istruzioni ricevute dal
fratello. Si assume in senso opposto che la chiave di lettura offerta dal Tribunale
si fonda su una premessa di fatto erronea, secondo cui l’odierno ricorrente
avrebbe ancora dovuto procurarsi della sostanza stupefacente del medesimo
valore, invece nell’ordinanza di custodia cautelare si prospettava che
l’interessato avesse a disposizione la sostanza del fratello che il venditore non
accettava in restituzione.
Si ritiene quindi che la conclusione del Tribunale sia fondata su dati di
fatto del tutto opposti a quanto emerge concretamente, rilevando inoltre che non
era stata fornita alcuna risposta alle doglianze difensive in argomento.
3.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge processuale e
vizio di motivazione, nonché illogicità e contraddittorietà della stessa in ordine ai
gravi indizi di colpevolezza per i reati di cui al capo A) riguardanti la
contestazione associativa, richiamando sul punto quanto osservato in memoria
circa la mancanza di autonomia dell’attività dell’odierno ricorrente, la cui
comparizione sulla scena si deve collegare, senza alcun margine di autonomia,
esclusivamente all’arresto del fratello, evidenziando inoltre una serie di elementi
di fatto dai quali si doveva ricavare la sua estraneità all’ambiente, desumibile
anche dall’assenza di conversazioni telefoniche a lui riconducibili o di ulteriori

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o

elementi indiziari raccolti, osservazioni rispetto alle quali il Tribunale del riesame
non deduce alcunché di segno contrario, fornendo un’interpretazione delle
conversazioni tra l’odierno ricorrente ed il venditore a cui questi cercava di
riconsegnare la droga che denoterebbe una sua autonomia valutativa,
contraddetta dall’effettivo svolgersi dei fatti.
Inoltre nel provvedimento impugnato si individuano elementi di accusa a

contatti di questi con Vincenzo Capezzuto, mentre l’esame degli atti consente di
circoscrivere tali contatti a rapporti di natura meramente personale, correlati alla
comune detenzione dei due fratelli, e non connessi alla consumazione di illeciti in
materia di stupefacenti.
Analoga assenza di autonomia raggiunge anche l’episodio della richiesta
di pagamento formulategli da Francesco Giorgio, che aveva curato il trasporto
dalla Spagna della cocaina, per riottenere il compenso spettante, a fronte della
quale l’interessato si fa latore della richiesta presso il fratello, che gli dice di non
pagare, con ciò dimostrando la mancanza di autonomia della sua attività. Del
tutto irrilevante risulta poi la circostanza che egli fosse depositario degli assegni
che il venditore della sostanza aveva versato al fratello detenuto, poiché il
possesso di tutti i beni relativi al fratello e la loro custodia non era che una
conseguenza dello stato di detenzione del parente.
Da ultimo vengono ripetute le medesime considerazioni in merito alla
presunta estorsione subita da Antonio Bastone, svolte senza confrontarsi con le
osservazioni difensive, circostanza che ulteriormente vizia il provvedimento
impugnato, poiché non soddisfano il requisito della completezza della
motivazione.
3.3. Si deducono i medesimi vizi relazione alle esigenze cautelari, di cui è
stata valutata la presenza / sottovalutando la particolare condizione di
subordinazione di Giuseppe al fratello, l’intervento correlato solo la necessità di
favorire il congiunto, la mancanza di commissione di reati dopo l’arresto di Ciro,
la mancanza di precedenti a suo carico, l’estraneità ad ambienti delinquenziali, la
stabile attività lavorativa, il tenore di vita moderato, elementi tutti che
imponevano una valutazione nel senso dell’esclusione del pericolo di
reiterazione, mentre il provvedimento impugnato, a fronte di tali osservazioni si
limita parificare l’attività dei due fratelli, ignorando gli elementi di fatto offerti a
sostegno dell’istanza.

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carico di Giuseppe De Gregorio per l’imputazione associativa dalla presenza di

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso proposto nell’interesse di Ciro De Gregorio è infondato, e
quello nell’interesse di Giuseppe De Gregorio è inammissibile.
2. Sulla base dei principi fissati dalle S.U. di questa Corte (Sentenza n.
45246 del 19/07/2012, dep. 20/11/2012, imp. Polcino, Rv. 253549) al fine
dell’individuazione dei principi applicabili per individuare la corretta decorrenza
del termine massimo di custodia cautelare del provvedimento restrittivo avverso
deve preliminarmente escludersi

il quale è stato proposto riesame,

l’accertamento del vincolo della continuazione tra i fatti oggetto delle imputazioni
che hanno dato origine alle due ordinanze cautelari, oltre che l’identità del fatto,
attesa la limitazione del primo provvedimento ad una singola attività illecita, ed
il coinvolgimento dell’interessato, nella seconda indagine, nell’azione associativa
di plurime compagini volte alla commercializzazione di sostanze stupefacenti,
oltre che in ulteriori reati discendenti dall’illecita collocazione delle risorse
ricavate.
Il Tribunale ha escluso la possibilità di accertare la sussistenza del vincolo
della continuazione tra i due episodi, svolgendo un apprezzamento di merito, allo
stato degli atti, ed al riguardo la difesa ha operato un generico richiamo ad un
riconoscimento già esistente della connessione tra i reati oggetto della seconda
ordinanza, che in fatto è inidonea a dimostrare la preordinazione dello specifico
episodio contestato con il primo provvedimento nell’ambito della più vasta
attività associativa, rispetto alla cui verificazione concreta nulla è stato dedotto a
sostengo dalla difesa.
Esclusa la deduzione concreta di qualsiasi elemento suscettibile di
escludere la correttezza della valutazione negativa di merito operata in
argomento dal Tribunale, deve quindi accertarsi se gli episodi posti a base del
;
secondo provvedimento fossero conosciut i’ dall’autorità procedente già
all’emissione della prima. Lo svolgimento di tale valutazione muove, anche in
questo caso secondo principi consolidati, nel senso di ritenere presente la
condizione di fatto rilevante al fine invocato, solo nell’ipotesi in cui la notizia di
reato sia giunta al P.m. procedente e questi, concretamente, sia stato posto in
grado di valutarne la connessione con l’episodio per cui era in corso di emissione
la prima misura.
La sussistenza di tale concreto elemento di fatto non risulta dedotto
dall’interessato, che si limita a riferirsi al dato formale dell’astratta conoscibilità
delle indagini da parte del P.m. tenuto alla loro direzione, omettendo la
valutazione della complessità degli elementi provenienti dalle plurime
intercettazioni in corso, oltre che dalle indagini patrimoniali, che esigevano un

5

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fl

raccordo per condurre a comporre

imprescindibile momento di sintesi e

un’ipotesi d’accusa idonea a sorreggere un provvedimento restrittivo.
È del tutto pacifico in fatto che l’informativa di reato che poneva in
relazione le plurime attività di indagine in corso di accertamento sia giunta al
P.m. in epoca successiva all’emissione della prima ordinanza, e tale dato storico
impone di escludere la ricorrenza della condizione di fatto richiamata. Invero, per
la concreta applicazione del principio di diritto mutuato dalla sentenza della Corte

Costituzionale n. 408 del 2005, conformemente a quanto più volte affermato in
numerose pronunce di questa Corte, non va operata una parificazione del
concetto di desumibilità con quella di semplice “conoscenza” o “conoscibilità” di
determinate evenienze fattuali. La desumibilità, per essere rilevante ai fini
dell’applicazione dell’art. 297 comma 3 cod. proc. pen., deve essere individuata
nella possibilità di estrapolare, da un determinato compendio documentale o
dichiarativo, degli elementi relativi ad un determinato fatto-reato che abbiano
una specifica valenza processuale, circostanza che si realizza quando il pubblico
ministero procedente sia nella reale condizione di avvalersi di un quadro
sufficientemente compiuto ed esauriente del panorama indiziario, tale da
consentirgli di esprimere un meditato apprezzamento prognostico della univocità
e gravità delle fonti indiziarie, suscettibili di dare luogo – in presenza di concrete
esigenze cautelari – alla richiesta ed all’adozione di una misura cautelare (per
citare solo le più recenti, Sez. 6, Sentenza n. 11807 del 11/02/2013,
dep. 12/03/2013, imp. Paladini, Rv. 255722; Sez, 4, n. 15451 del 14/03/2012,
Di Paola, Rv. 253509).
Inoltre si è già chiarito, a completamento dell’illustrazione della uniformità
della chiave interpretativa qui ritenuta, che non giustifica di per sè la
retrodatazione la circostanza che l’ordinanza emessa nel secondo procedimento
si fondi su elementi già presenti nel primo, poiché essa non è indicativa di una
scelta indebita, in quanto gli elementi probatori possono non manifestare
immediatamente ed in modo evidente la loro rilevanza, e spesso devono essere
interpretati; conseguentemente il dato di fatto che essi fossero già in possesso
delle autorità titolari delle indagini non dimostra che queste ne avessero
individuato tutta la loro portata, sicché si deve escludere, in linea di massima,
che la separazione sia frutto di una scelta indebita del Pubblico Ministero quando
i procedimenti nascono da diverse notizie di reato (Sez. U, Sentenza n. 14535
del 19/12/2006, dep. 10/04/2007, imp. Librato, Rv. 235909).
Nella specie la deducibilità dagli atti è da escludere in radice, poiché
risulta pacificamente che l’informativa di reato conclusiva venne depositata
nell’ufficio del P.m. in epoca successiva alla prima ordinanza, ed in tal senso le
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È

generiche obiezioni svolte dal ricorrente, in merito alla direzione delle indagini
attribuita al P.m. non colgono nel segno. Il richiamato coordinamento non
comporta la piena cognizione di tutte le informazioni raccolte e soprattutto la
loro valutazione complessiva, utile al fine della formulazione di accuse
particolarmente articolate complesse, come nella specie, mentre la richiesta di
misura cautelare presuppone l’estrapolazione dai dati raccolti di indizi
caratterizzati dagli elementi di significatività richiamati dall’ad 273 cod. proc.

pen.
Tali condizioni, che risultano verificate nella specie, concretizzano
l’adeguata giustificazione della successione nel tempo della seconda richiesta
cautelare, che rendono legittima l’autonoma decorrenza del termine di fase.
3.1. Come risulta evidente dalla mera lettura della narrativa, inammissibile
è il primo motivo di ricorso proposto nell’interesse di Giuseppe De Gregorio, in
quanto, pur denunciandosi violazione di legge conseguente ad omessa
motivazione nello sviluppo argomentativo, si fornisce poi conto della non
condivisione delle argomentazioni espresse dal Tribunale così da un canto
evidenziando l’insussistenza della dedotta mancanza di motivazione, all’altro
denunciando la reale sollecitazione contenuta in ricorso, indirizzata ad ottenere
un’opzione interpretativa di merito da parte di questa Corte sulle opposte
valutazioni dei medesimi fatti provenienti dalla difesa, malgrado l’omessa
segnalazione di specifiche aporie o contraddizioni ricostruttive nel provvedimento
impugnato.
Per contro il Tribunale risulta pervenuto ad una valutazione di pieno
coinvolgimento di Giuseppe De Gregorio negli affari del fratello, all’indomani
della sottoposizione di quest’ultimo a misura cautelare, sulla base
dell’individuazione di elementi concreti ricavabili dagli atti, ed in particolare, in
forza della conoscenza approfondita dei rapporti economici pendenti, che risulta
aver gestito con piena cognizione di causa ed in totale autonomia, tale da
suggerire una delega preesistente, o un’immediata compenetrazione, con effetto
espansivo per il futuro. Il Tribunale concretizza tali specifici riferimenti con
richiamo ad episodi, quale la compensazione di un credito con Ferrigno,
nell’ambito del quale egli non si mostra a conoscenza degli sviluppi del rapporto
immediatamente antecedenti all’arresto del fratello, giungendo così ad escludere
la presenza di una delega di questi, che avrebbe imposto un aggiornamento del
delegato sugli ultimi sviluppi, o la pienezza dei legami intercorsi, sugli affari in
corso tra l’odierno ricorrente ed il fratello di Capezzuto Alessandro, Vincenzo,
anch’egli intervenuto all’indomani dell’arresto del fratello, evidenziando che i

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i

rapporti tra i due fratelli in libertà riguardano pienamente gli affari in corso, e
non quanto tratteggiato nel ricorso.
Il dato assume rilevanza anche in riferimento alla gravità indiziaria del reato
di cui al capo K1), in relazione al quale le aggregazioni difensive tendevano a
inquadrare l’attività di Giuseppe De Gregorio in quella del mero nuncius del
fratello, che, come sinteticamente, ma efficacemente dedotto dal Tribunale, si

complesso degli elementi acquisiti anche in riferimento alle ulteriori imputazioni.
3.2. Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi anche per quel che attiene
all’ipotesi associativa, in relazione alla quale la negazione della presenza di gravi
indizi si muove nella medesima ottica di svalutazione alternativa degli elementi
di fatto posti in evidenza dal Tribunale, di cui si assume l’illogicità semplicemente
in quanto giunge ad una determinazione difforme da quella prospettata dalla
difesa. In particolare, risulta smentito in fatto l’assunto in ragione del quale si
ritiene di giustificare la presenza di plurimi contatti del ricorrente con Capezzuto
Vincenzo, fratello del capo dell’organizzazione, quest’ultimo astretto in custodia
cautelare, soltanto in ragione della situazione di detenzione dei rispettivi
germani, poiché nell’ordinanza si dà conto del tenore delle conversazioni tra gli
stessi riguardanti i comuni affari illeciti e le pendenze economiche presso i vari
debitori ad esse correlate; il rilievo svolto al riguardo, conseguentemente,
appare del tutto sganciato dalla concreta situazione di fatto, come enucleata nel
provvedimento.
Del tutto infondato è poi il rilievo di mancata specifica motivazione sul
contestato episodio della estorsione subita dal coimputato Bastone, posto che nel
riesame proposto si prospetta una generica lettura alternativa dei fatti, non
idonea ad inficiare la ricostruzione contenuta nell’ordinanza di custodia cautelare,
alla quale si è richiamato il provvedimento impugnato, con motivazione che,
valutata alla luce della genericità delle deduzioni svolte, risulta completa e
coerente, avendo dato conto dell’immediata reazione dell’interessato alle illecite
pretese, che risulta elemento idoneo allo stato degli atti a denotare piena
consapevolezza dei rapporti di forza in gioco e delle dinamiche del gruppo.
4. I ricorrenti vanno condannati al pagamento delle spese processuali,
mentre Giuseppe De Gregorio è tenuto inoltre, in ragione dell’accertata
inammissibilità del ricorso, anche al pagamento della somma indicata in
dispositivo in favore della Cassa delle ammende, in applicazione dell’art. 616
cod. proc. pen.

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pone in contrasto con la sua piena compenetrazione negli affari desumibili dal

Lo stato di restrizione in struttura carceraria di Ciro De Gregorio impone alla
Cancelleria le comunicazioni di cui all’art. 94 comma 1 ter disp. att. cod. proc.
pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso di De Gregorio Ciro, che condanna al pagamento delle
spese processuali.

pagamento delle spese processuali e della somma di C 1.000 in favore della
Cassa delle ammende.
Manda alla Cancelleria per le comunicazioni di cui all’art. 94 comma 1 ter
disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 09/10/2013

Dichiara inammissibile il ricorso di De Gregorio Giuseppe, che condanna a

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