Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44706 del 09/10/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 44706 Anno 2013
Presidente: GARRIBBA TITO
Relatore: PETRUZZELLIS ANNA

SENTENZA
sui ricorsi proposti da
1. Teresa Tripodi, nata a Villa San Giovanni il 16/03/1936
2. Alberto Cafarelli, nato a Reggio Calabria il 10/05/1960
avverso la sentenza del 17/04/2012 della Corte d’appello di Reggio Calabria
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Anna Petruzzellis;
udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Elisabetta Cesqui, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 17/04/2012 la Corte d’appello di Reggio Calabria ha
confermato l’affermazione di responsabilità pronunciata nei confronti di Teresa
Tripodi ed Alberto Cafarelli dal Tribunale di quella città con provvedimento del 22
maggio 2005 in relazione al reato di falsa testimonianza resa escludendo
l’evasione di un loro congiunto verificatasi mentre era agli arresti domiciliari, la
cui presenza fuori di casa era stata invece rilevata dai carabinieri intervenuti.
2. Nell’interesse dei ricorrenti la difesa deduce violazione di legge penale,
mancanza ed illogicità della motivazione con riferimento, sotto il primo profilo,
alla mancata applicazione dell’esimente di cui all’art. 384 cod.pen. Quanto
all’ampiezza motivazionale, si rileva che la Corte territoriale si è limitata a
riprodurre la pronuncia di primo grado prestando adesione alla credibilità delle
forze dell’ordine e manifestando una preconcetta diffidenza riguardo alle opposte
dichiarazioni degli odierni ricorrenti, fondata sul rapporto di parentela di questi
con la persona favorita, con argomentazione generica e non esauriente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili.

Data Udienza: 09/10/2013

2.

Risulta pacificamente acquisito in giurisprudenza sulla base del

precedente cui fanno riferimento i ricorrenti nell’atto introduttivo (Sez. U,
Sentenza n. 7208 del 29/11/2007, dep. 14/02/2008, imp. Genovese, Rv.
238383) che in tema di falsa testimonianza, la causa di esclusione della
punibilità prevista per chi ha commesso la falsa testimonianza per essere stato
costretto dalla necessità di salvare sé o un prossimo congiunto da un grave e

testimone abbia deposto il falso pur essendo stato avvertito della facoltà di
astenersi, circostanza di fatto che si è verificata nel caso concreto. Rispetto a
tale interpretazione, seguita dalla costante giurisprudenza di questa Corte ( da
ultimo Sez. 6, Sentenza n. 37467 del 05/10/2010, dep. 19/10/2010, imp.
Fornasiero, Rv. 248525) i ricorrenti non sottopongono nuove valutazioni
suscettibili di condurre ad una difforme conclusione, ma si limitano a sollecitare
una diversa determinazione che esclude la rilevanza delle ammonizioni
ritualmente impartite e della volontà espressa dai ricoprenti in quella sede di
rendere testimonianza, accettando l’obbligo di dire la verità, con prospettazione
della dedotta violazione di legge, generica e quindi inammissibile.
3.

Analogamente deve concludersi con riguardo alla correttezza e

completezza della valutazione del quadro probatorio, che ha condotto a valutare
la falsità dell’assunto offerto dagli odierni ricorrenti in ordine alla permanenza in
casa del loro congiunto, in quanto contraddetta dall’avvistamento di questi,
mentre era fuori dall’abitazione, effettuato dal personale addetto al controllo. Le
dichiarazioni dei testi estranei non risultano in alcun modo suscettibili di
determinazione nel senso falsamente accusatorio, per i particolari richiamati
nella sentenza, riguardanti l’immediatezza del controllo nell’abitazione, in
continuità con l’avvistamento, ove l’arrestato domiciliare venne sorpreso mentre
indossava ancora il cappotto ed il cappello che era stato notato indossare fuori
dall’alloggio, e l’ulteriore mendacio formulato dal Tripodi, riguardante
l’abbigliamento dell’agente che svolse il controllo e del fratello in quel contesto,
risultato diverso da quanto decritto in sede di deposizione.
Le argomentazioni del giudicante, lungi dal muoversi sul piano di assoluta
inaffidabilità preconcetta delle testimonianze acquisite attraverso le dichiarazioni
dei ricorrenti, sono fondate sull’illustrazione ampia e coerente delle
determinazioni raggiunte, e si sottraggono quindi alle censure formulate, che
costituiscono la riproposizione di argomentazioni già espresse nel corso del
giudizio di merito e tendono a sollecitare in questa sede una non consentita
rivalutazione del materiale probatorio acquisito.

2

Cassazione sezione VI penale, rg. 43319/2012

inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore non opera nell’ipotesi in cui il

4. L’accertamento di inammissibilità dei ricorsi impone, ex art. 616 cod.
proc. pen. la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della
somma indicata in dispositivo, in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese processuali e ciascuno della somma di C 1.000 in favore della Cassa delle

Così deciso il 09/10/2013.

ammende.

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