Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44699 del 08/10/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 44699 Anno 2013
Presidente: GARRIBBA TITO
Relatore: PETRUZZELLIS ANNA

Data Udienza: 08/10/2013

SENTENZA
sul ricorso proposto da
1. Mario Gagliardini, nato a Caserta il 25/06/1983
2. Raffaele Granata, nato a Caserta il 19/12/1985
3. Carmine Natale, nato a Casa! di Principe il 02/03/1957
4. Salvatore Santoro, nato ad Aversa il 29/12/1987
5. Fabio Storto, nato a Napoli il 04/05/1988
6. Bartolomeo Vitiello, nato a Villaricca il 04/07/1982
avverso la sentenza del 18/10/2012 della Corte d’appello di Napoli;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Anna Petruzzellis;
udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Eduardo V. Scadaccione, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi
Gagliardini, Granata, Natale, Santoro e la dichiarazione di inammissibilità dei
ricorsi di Storto e Vitiello;
udito l’avv. Raffaele Bizzaro, in sostituzione dell’avv. Francesco Pizzuto per le
parti civili, che si è riportato alle conclusioni scritte;
uditi l’avv. Carmine D’Aniello per Gagliardini, l’avv. Graziano Sabato, in
sostituzione dell’avv. Paolo Trofino per Granata, l’avv. Angelo Straniscia per
Vitiello, che si sono riportati ai rispettivi ricorsi chiedendone l’accoglimento;
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 18/10/2012 la Corte d’appello di Napoli, in parziale
riforma della pronuncia del Gup del Tribunale di quella città dell’11/11/2011, ha
confermato l’affermazione di responsabilità di tutti gli appellanti, rideterminando
la sanzione solo nei confronti di Raffaele Granata, Carmine Natale, Salvatore

g

;

Santoro e Bartolomeo Vitiello, e respingendo l’appello proposto da Mario
Gagliardini e Fabio Storto.
Il procedimento riguarda l’imputazione di associazione per delinquere di
stampo camorristico aggravata, ove si individua l’apporto riconosciuto da
Gagliardini, Natale e Vitiello alla compagine territoriale dei cd. Casalesi, nonché i
singoli reati attribuiti agli imputati, secondo quanto verrà specificato

All’accertamento di responsabilità si è giunti sulla base di dichiarazioni dei
collaboratori di giustizia, delle indicazioni fornite dalle parti lese di reati di
estorsione, nonché delle risultanze delle intercettazioni telefoniche acquisite nel
corso delle indagini.
2.1.

La difesa di Mario Gagliardini, di cui è stata accertata la

responsabilità in relazione al reato associativo nonché al delitto di sequestro di
persona aggravato ai sensi dell’art. 7 dl. 13 maggio 1991 n. 152, contestato al
capo U), deduce violazione di legge e vizio di motivazione riguardante
l’accertamento di responsabilità dell’ipotesi associativa.
Si rileva in argomento che la responsabilità dell’interessato è stata
desunta dalla circostanza che egli versasse una quota parte dei guadagni da lui
ritratti nello spaccio di stupefacenti esercitato in quella zona in favore
dell’associazione illecita. Tale attività è stata interpretata come dimostrazione
della partecipazione al gruppo, in luogo che, come suggerito dalla difesa, come
tributo dovuto a titolo di tangente ad un gruppo territorialmente predominante,
la cui presenza impediva il libero svolgimento dell’attività illecita esercitata nella
stessa zona dal ricorrente da epoca pregressa, per evitare di esserne
estromesso.
La Corte fonda la sua decisione sulla ritenuta assenza di imposizioni o
sulla mancata dimostrazione di uno stato di necessità, individuando la causa del
versamento nell’adesione all’associazione, senza specificare sulla base di quali
elementi di fatto si era giunti a questa determinazione.
A conforto della tesi difensiva si richiama l’anteriorità temporale della
propria attività illecita rispetto all’intervento dell’associazione in quella zona, che
di fatto aveva privato l’interessato della possibilità di scelta.
2.2. Con il secondo motivo si deduce vizio di motivazione in relazione
all’accertamento di responsabilità per il delitto di sequestro di persona contestato
al capo U) dell’imputazione. Sul punto si richiamano le osservazioni svolte dalla
difesa in atto d’appello sull’insussistenza degli elementi di fatto ed in particolare
sulla mancata privazione della libertà della parte offesa, per un tempo
giuridicamente rilevante, deduzioni a fronte delle quali nulla viene osservato
2

Cassazione sezione VI, rg. 17591/2013

successivamente.

;

nella sentenza, ove si era anche sollecitato l’inquadramento dell’attività nel
differente reato di cui all’art. 393 cod. pen.
La sentenza su tali elementi di fatto si limita a richiamare i dati, eludendo
la sollecitazione all’argomentazione sulla qualificazione giuridica, su cui la
motivazione deve ritenersi assente.
3.1.

La difesa di Raffaele Granata, di cui è stata riconosciuta la

13 maggio 1991 n. 152, deduce violazione di legge penale e vizio di motivazione
in relazione alla mancata applicazione della formula individuata dall’art. 649
comma 2 cod. proc. pen.
Si richiama in argomento il giudicato formatosi sul medesimo fatto in altro
procedimento penale, in esito al quale l’odierno ricorrente è stato assolto
dall’imputazione associativa di cui all’art. 416 bis cod. pen. e condannato per
altro reato con giudizio non ancora definitivo in quanto pendente dinanzi a
questa Corte di legittimità, in conseguenza del ricorso proposto dalla difesa.
Si ritiene sul punto l’assoluta identità del materiale probatorio costituito
dalle medesime intercettazioni telefoniche, dall’identità del fatto storico, delle
modalità di tempo e di luogo, costituite da presunti episodi estorsivi camuffati da
vendite e fornitura di materiale pubblicitario, del tutto sovrapponibili a quelli
contestati nella specie. Richiamata anche l’identità dei concorrenti dell’imputato
non si ritiene corretta la valutazione della Corte, che si è limitata a far
riferimento, ai fini dell’applicazione della disciplina processuale invocata,
all’identità della sua qualificazione giuridica, ritenendola insussistente.
In senso contrario si rileva che la condotta associativa contestata era stata
desunta dalla pregressa attività estorsiva consumata, unico elemento di
manifestazione dell’azione associativa, per desumere la prova dell’adesione al
gruppo sicché l’assoluzione in quella sede esclude che possa esserci un nuovo

responsabilità per il reato di tentata estorsione aggravata ai sensi dell’art. 7 dl.

giudizio sul reato fine isu cui è già intervenuta una pronuncia di assoluzione.
4.1. La difesa di Carmine Natale, di cui è stata affermata la responsabilità
per il delitto associativo, deduce violazione di legge riferimento l’accertamento
di responsabilità, ritenendolo mancante di elementi caratterizzanti dai quali poter
desumere la sua adesione al gruppo illecito come confermato dalla circostanza
del suo coinvolgimento in un’unica attività illecita, ove egli ha dovuto farsi
tramite, per le pressanti richieste che gli venivano rivolte dagli associati, di
richieste estorsive da formulare ai danni di suoi cugini, esercenti dell’attività
commerciale. In argomento si richiamano gli elementi probatori che evidenziano
la coartazione della sua volontà nell’esecuzione dell’attività demandatagli dai capi
dell’organizzazione, alla quale non aveva possibilità di opporsi.
3

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b./

4.2. Si deduce inoltre violazione dei principi di cui all’art. 192 commi 3 e 4
cod. proc. pen. escludendo che dalle dichiarazioni fornite dai pretesi correi
richiamati in sentenza potesse trarsi un’indicazione accusatoria, proprio per le
modalità nelle quali l’azione realizzata da Natale gli venne demandata, azione cui
gli stessi dichiaranti non collegano la partecipazione all’attività del gruppo.
4.3. Si deduce da ultimo vizio di motivazione con riferimento all’ingiusta

partecipazione all’azione del gruppo da parte dell’interessato, conversazione che
invece si era svolta senza esplicitazione degli elementi rilevanti in proposito ed
esclusivamente sulla base di una valutazione di partecipazione al gruppo illecito
delle persone con le quali era entrato in contatto telefonico.
5.1. La difesa di Salvatore Santoro, ritenuto responsabile dei reati di
estorsione aggravata contestata ai capi B) e C), nonché di tentata estorsione
contestata al capo P), deduce inosservanza erronea applicazione degli artt. 63
comma 2 cod. pen, 64 commi 3 e 3 bis cod. proc. pen, 12 comma 1 lett.c), 371
comma 2 lett. b), 192 comma 3 e 4, 530 commi 1 e 2 cod. proc. pen. nonché
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riguardo
all’affermazione di responsabilità per i capi B) e C).
In particolare si deduce l’erroneità della valutazione di infondatezza
dell’eccezione di inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dalla parte offesa Luigi
Tamburrino, sia nel corso delle indagini preliminari che nel corso del
dibattimento, della ritenuta credibilità dei collaboratori di giustizia, della loro
attendibilità e conseguentemente della loro valutazione al fine di giungere
all’affermazione di responsabilità.
Richiamate le valutazioni giuridiche poste a base della determinazione di
inutilizzabilità delle dichiarazioni della parte offesa, si rileva che in atto d’appello
era stata operata una duplice censura, la prima fondata sulla circostanza che le
dichiarazioni rese dal Tamburrino nel corso delle indagini preliminari non fossero
state precedute dall’obbligatorio avvertimento di cui all’art. 64 comma 3 cod.
proc. pen., malgrado all’epoca egli rivestisse la qualità di indagato in
procedimento collegato, analogamente a quanto accadde successivamente
dinanzi alla Corte d’assise di Napoli ove, pur essendo stato sentito in presenza
del suo difensore, vennero omessi medesimi avvertimenti.
In ordine al primo rilievo si contesta la deduzione giuridica operata dalla
Corte territoriale in forza della quale l’inutilizzabilità da cui l’atto risulterebbe
affetto non sarebbe di natura patologica e ne consentirebbe l’utilizzazione nel
giudizio abbreviato, quale quello svolto nella specie, richiamando in senso
opposto, la difforme valutazione di reiterate pronunce di legittimità sul punto.
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valorizzazione attribuita dalla sentenza ad una telefonata, al fine di desumere la

;

Si ritiene contraddittoria e manifestamente illogica la motivazione sulla base
della quale si è giunti ad escludere un’ipotesi di connessione probatoria tra i fatti
oggetto di accertamento in questo procedimento e quelli nei quali Tamburrino ha
reso le sue dichiarazioni, poiché questi ha riportato condanna per il delitto di
concorso esterno in associazione camorristica denominata clan dei Casalesi in
arco temporale analogo a quello oggetto dei fatti a carico di Santoro.
In argomento la Corte, pur determinandosi nel senso contestato, omette

qualsiasi motivazione al riguardo, dichiarando di aderire alle valutazioni espresse
in proposito dal primo giudice che aveva fatto riferimento alla diversa
composizione personale della medesima compagine territoriale nel corso del
tempo, per effetto delle sopravvenuta esecuzione di ordinanze di custodia
cautelare a carico delle persone posta al vertice del gruppo. Tale valutazione è
contraddittoria in quanto l’affermazione di responsabilità di Tamburrino si
estende anche all’arco temporale successivo, ed è fondata sulla pretesa
mancanza di collegamento tra l’attività associativa e il reato di estorsione.
La Corte inoltre omette del tutto di considerare l’inutilizzabilità delle
dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari ritenuta dal Tribunale del
riesame che aveva espresso una valutazione difforme da quanto poi ritenuto dal
giudice del merito.
Si deduce poi l’errore di diritto in ordine all’eccezione di inutilizzabilità
sollevata anche con riferimento le dichiarazioni rese dalla parte offesa dinanzi
alla Corte d’assise, in quanto non precedute dagli avvertimenti obbligatori, sulla
natura patologica del vizio oltre che sul difetto di pertinenza delle osservazioni
svolte per giustificare il rigetto dell’eccezione, osservazioni fondate sulla
presenza del difensore di Santoro nel procedimento in cui venivano raccolte le
dichiarazioni, che in realtà non si è verificata.
Sul punto si rileva un difetto di motivazione anche sul merito delle
dichiarazioni poiché nell’atto d’appello era stata posta in dubbio la portata
accusatoria delle dichiarazioni rese in dibattimento che, secondo l’odierno
ricorrente, non consentivano di integrare il fatto inquadrato nella fattispecie di
estorsione, e su tale osservazione non è stata spesa alcuna motivazione di
contrasto.
Analogo vizio di omissione si deduce quanto alla contestazione contenuta in
appello sulla valenza limitata delle dichiarazioni di Tamburino, che avrebbero
necessitato di riscontri sul punto; la Corte aveva fatto richiamo alle dichiarazioni
di due collaboranti, ritenendone la credibilità, mentre nel ricorso si contesta la
compiutezza e completezza di tale valutazione, poiché risulta che né in primo
grado, né in atto d’appello, i giudicanti erano in possesso di tutte le dichiarazioni

(14
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;

rese e conseguentemente non erano in condizione di operare tale valutazione di
attendibilità.
Si deduce inoltre omessa motivazione riguardo alle ulteriori doglianze
difensive, che contestavano l’assenza di riscontri individualizzanti desumibili dalle
dichiarazioni dei collaboranti, oltre che la possibilità dell’individuazione di tali
elementi soltanto in relazione al capo 9dell’imputazione, deduzione sulla base

all’episodio richiamato non è stato argomentato quale fosse la collaborazione
prestata da Santoro al compimento dell’azione estorsiva, considerato che
pacificamente all’atto della richiesta di Setola questi non era presente e che,
nell’episodio sub C), pur presente, non rivolse alcuna richiesta specifica a
Ta m bu rri no.
5.2. Con ulteriore motivo si deduce violazione di legge penale processuale e
mancanza di motivazione in relazione alla mancata applicazione dell’attenuante
di cui all’art. 62 n. 6 cod.pen. invocata in atto d’appello, ove si era osservato
che, a tutto concedere, le seconde dichiarazioni rese dalla parte offesa
ridimensionavano l’oggetto della richiesta estorsiva e la gravità oggettiva della
condotta in concreto ascrivibile al Santoro, riducendone il disvalore al punto da
consentire l’adeguatezza dell’offerta reale di € 8000 operata rispetto al danno
economico patito dall’interessato. In argomento la Corte, rigettando la richiesta,
omette qualsiasi spiegazione.
5.3. La pronuncia impugnata viene censurata anche per inosservanza ed
erronea applicazione dell’art. 7 dl. 13 maggio 1991 n. 152, sulla cui sussistenza,
malgrado lo specifico rilievo contenuto del gravame di merito, nulla è stato
dedotto dalla Corte territoriale.
5.4. Si contesta l’intervenuto accertamento della duplice aggravante di cui
agli artt. 112 e 628 comma 3 cod. pen., malgrado l’evidente assorbimento
dell’una fattispecie nell’altra, eccepito in atto d’appello, sulla quale nulla si rileva.
5.5. Sull’aggravante di cui all’art. 628 comma 3 cod. pen. si richiamano le
deduzioni di fatto svolta in atto d’appello in merito all’applicazione in proposito
dei principi di cui agli artt. 59 e 118 cod. pen., quanto all’applicabilità delle
aggravanti solo al compartecipe che ne sia a conoscenza, argomentazione su cui
nulla è stata espresso nella sentenza.
5.6. In relazione al delitto di tentata estorsione di cui al capo P), per il quale
è stata riconosciuta la responsabilità di Santoro, si deduce violazione di legge
penale processuale e vizio di motivazione sulla qualificazione della natura
estorsiva del contatto commerciale attribuito al Santoro per la proposizione della
fornitura pubblicitaria, in assenza di prove sulle pressioni subite dalle parti offese
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della quale nulla era stato argomentato dalla Corte. In particolare, in relazione

che consentivano di ricondurre ad illecita causale il contatto commerciale
realizzato dall’interessato. Tale deduzione di fatto contenuta in atto d’appello non
era stata adeguatamente contrastata nella sentenza, ove si è ritenuta ininfluente
la mancata individuazione dei commercianti estorti o l’individuazione
dell’effettiva causale dei contratti proposti, quando tali circostanze al contrario,
individuano elementi essenziali dell’attività illecita attribuita.
5.7. In relazione al medesimo delitto di tentata estorsione si ravvisa

violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla mancata individuazione
nella fattispecie dei diversi minori reati di cui agli artt. 513 e 513 bis cod. pen.
indicati in atto d’appello ed in relazione alla cui esclusione, con specifico
riferimento ad argomentazioni in esso contenuti, nulla ha argomentato la Corte
di merito.
5.8. Analogo difetto argomentativo viene eccepito quanto alla ritenuta
applicazione dell’aggravante di cui all’art. 7 dl. 13 maggio 1991 n. 152, di cui si
era contestata la sussistenza con argomentazioni in diritto nel grado di merito a
cui non è stata fornita risposta.
5.9.

La medesima deduzione viene formulata quanto alla mancata

esclusione dell’aggravante di cui all’art. 628 comma 3 cod. pen. contestata al
capo P), senza dar conto della consapevolezza dei motivi a delinquere da parte
dell’interessato.
5.10. In relazione a tutti delitti contestati si rileva violazione di legge penale
e processuale e vizio di motivazione con riferimento al mancato riconoscimento
delle attenuanti generiche con giudizio di prevalenza, all’erroneo calcolo
dell’aumento di pena in presenza di più circostanze aggravanti, determinato in
violazione dei principi di cui all’art. 63 comma 4 cod. pen., dall’omessa
indicazione della pena nel minimo edittale anche con riferimento all’aumento per
la continuazione.
In particolare, con riferimento all’errore di calcolo operato per la
determinazione dell’aumento delle aggravanti ad effetto speciale, si ritiene che la
Corte avrebbe dovuto applicare l’aumento di pena stabilita per la circostanza più
grave ed operare un unico aumento discrezionale mentre nel concreto è stato
operato un doppio aumento per le ulteriori aggravanti.
Risulta inoltre esclusa l’applicazione delle attenuanti generiche con
argomentazioni analoghe per tutti gli imputati, omettendo la valutazione delle
deduzioni specifiche formulate nell’interesse di Santoro.
6. Nell’interesse di Fabio Storto, di cui è stata affermata la responsabilità
per il delitto di detenzione porto di arma comune da sparo, la difesa deduce
violazione di legge per omessa applicazione delle invocate attenuanti generiche,
7

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i

che avrebbero consentito l’applicazione di un trattamento sanzionatorio più
adeguato al fatto ed alla personalità del ricorrente.
7.1.

La difesa di Bartolomeo Vitiello, ritenuto responsabile del reato

associativo di cui al capo A), nonché dell’estorsione di cui al capo O) e della
tentata estorsione di cui al capo P), deduce violazione di legge e vizio di
motivazione con riferimento all’accertamento di responsabilità per il reato di cui
al capo A), in relazione al quale si lamenta anche la mancata confutazione degli

argomenti difensivi contenuti in atto d’appello, nonché violazione di norma
processuale, con riferimento alla mancata applicazione della regola di giudizio di
cui all’art. 192 comma 3 cod. proc. pen., per aver desunto elementi di prova
dalle dichiarazioni dei collaboratori, in assenza di riscontri esterni.
In particolare, sotto quest’ultimo profilo, si richiamano le dichiarazioni di due
collaboratori, Di Caterino e Spagnulo,„ così come esaminate nella sentenza,
segnalando preliminarmente la mancata valutazione di credibilità generale degli
stessi, che doveva escludersi sulla base della circostanza che, per l’ulteriore
accusa formulata dal primo nei confronti dell’odierno ricorrente, era stata
pronunciata l’assoluzione, mentre per le dichiarazioni di Spagnulo vi era solo
l’attribuzione generica all’odierno ricorrente di un legame a tale Giovanni Mola.
Con riguardo alle dichiarazioni rese da quest’ultimo si richiamano i contrasti
insorti tra i due, cui lo stesso dichiarante ha fatto riferimento, oltre che la
sostanziale inattendibilità attribuita allo stesso in conseguenza della pronuncia
assolutoria di primo grado con riferimento alle accuse di cui ai capi J) ed M), a
conferma dell’assenza di sua credibilità.
7.2. In riferimento all’estorsione consumata di cui al capo O) si deduce
violazione di legge e vizio di motivazione conseguente all’errore in fatto ed in
diritto operato nella valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia ed
in particolare alla ritenuta credibilità di Giovanni Mola e dalla mancanza di
consistenza delle dichiarazioni offerte, come già evidenziato dalle richiamate
assoluzioni sulle altre accuse.
Si deduce che erroneamente le dichiarazioni di Mola sarebbero state ritenute
riscontrate da quelle dell’altro collaboratore Di Caterino, il quale aveva precisato
di essere stato esonerato dalla gestione dell’estorsione, circostanza che lo
rendeva inidoneo a riferire gli sviluppi di un’azione alla quale sicuramente non
aveva partecipato, oltre che per le imprecisioni riferite in ordine alle modalità
esecutive dell’azione in danno del titolare dell’esercizio Free Time.
I riscontri che la Corte trae dalle intercettazioni telefoniche, relativi alla
pretesa riscossione da parte del ricorrente di due assegni versatigli dal titolare
del locale contrastano con quanto riferito dal Mola circa la riscossione personale
8

Cassazione sezione VI, rg. 17591/2013

p2-

del denaro contante; si deduce inoltre contraddittorietà della motivazione nella
parte in cui si giustifica il mancato riconoscimento del ricorrente a cura della
parte lesa con la paura di ritorsioni, omettendo di considerare che questi non ha
avuto alcuna difficoltà a riconoscere il coimputato Mola r elementi tutti che
denotano il mancato esercizio della regola di diritto contenuta nell’art. 546
comma 1 lett. e) cod proc. pen. della sottoposizione a comparazione delle ipotesi

processuale.
7.3. In relazione all’accusa di cui al capo P) si deducono i medesimi vizi,
osservando che la prova di responsabilità è stata tratta, in anche in questo caso,
dalla convergenza delle dichiarazioni rese da Mola e Di Caterino; la Corte ha
segnalato la mancanza di intercettazioni telefoniche di conferma, mentre ha
sottovalutato le risultanze di conversazioni immediatamente susseguenti
all’arresto di Mola, intercorse tra le persone interessate a recuperare documenti
relativi al reato, nei quali è dato apprezzare il mancato coinvolgimento del
Vitiello, a conferma della sua estraneità ai fatti.
7.4. Si deduce da ultimo violazione di legge e difetto di motivazione, quanto
alla determinazione della sanzione nel minimo ed al mancato riconoscimento
delle attenuanti generiche, deduzioni sulle quali la Corte ha omesso qualsiasi
motivazione, malgrado il trattamento invocato fosse giustificato dall’assenza di
precedenti carico dell’interessato nonché dalla natura marginale della sua
I
partecipazione ai fatti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi di Gagliardini, Granata, Storto e Vitiello sono inammissibili,
mentre quello proposto da Santoro è infondato.
2.1.

L’eccezione formulata dalla difesa di Gagliardini con riferimento

all’erronea identificazione degli elementi caratterizzanti il reato associativo
contestato ignorano parte della motivazione che, oltre a richiamare i plurimi
elementi di fatto che attestano una regolare contribuzione economica
dell’interessato alla compagine associativa territoriale, segnala che questi ha
garantito anche ulteriore collaborazione al gruppo, con condotte di estrema
significatività, che escludono la possibilità di inquadramento alternativo dei fatti
come contribuzione coartata dalla necessità di garantirsi lo smercio della
sostanza stupefacente nella zona di influenza del gruppo illecito.
Si ricava infatti dal chiaro tenore delle pronunce di merito che lo stesso
interessato non ha evocato una condotta di concreta pressione svolta dal gruppo
per ottenere i pagamenti di parte dei proventi dell’illecito spaccio; nelle sentenze

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antagoniste, senza forzature degli elementi di fatto per raggiungere la certezza

:

sono inoltre segnalate le plurime convergenze di conferma della concreta
adesione di Gagliardini alla compagine illecita, ricavabili dalle dichiarazioni del
collaborante Di Caterino, dal riscontro all’attività di aiuto svolta da Gagliardini in
favore del richiamato collaborante, all’epoca della sua latitanza, dai frequenti
contatti intrattenuti con persone che svolgevano l’azione di raccordo nelle
comunicazioni tra Gagliardini e Di Caterino, quali il Ruocco. Ad ulteriore

quali proprio Gagliardini si qualifica parte del gruppo del Casale.
Le argomentazioni riferite sono semplicemente ignorate nel ricorso, ove si
ripropongono le medesime argomentazioni difensive espresse nel gravame di
merito a parziale smentita dell’analisi probatoria, ignorando il complesso sviluppo
argomentativo contenuto nelle sentenze, attività inidonea a fondare la
prospettata carenza di motivazione, in quanto a sua volta carente di
confutazione, mentre la violazione di legge risulta esclusivamente dedotta, ma
non illustrata nel suo contenuto.
2.2. Ad analoga conclusione deve pervenirsi anche in ordine all’ulteriore
motivo con il quale si contesta la sussistenza del reato di sequestro di persona,
sulla base di presupposti di fatto -l’irrilevanza temporale della limitazione
imposta alla libertà della vittima- che oltre a non essere dirimenti in diritto (per
tutte Sez. 5, Sentenza n. 28509 del 13/04/2010, dep. 20/07/2010, imp. D.S.,
Rv. 247884), risulta ampiamente contraddetta in fatto dalla compiuta descrizione
delle modalità dell’azione riportate nella sentenza di primo grado, cui quella
d’appello fa specifico richiamo.
Analogamente completa è la confutazione dell’argomentazione fondata sulla
inquadrabilità delle condotte di violenza privata nell’esercizio arbitrario delle
proprie ragioni, posto che nell’appello, in luogo che opporre nuovi argomenti di
fatto, risultano reiterate deduzioni già confutate dal giudice di primo grado con
argomentazione ampia e giuridicamente corretta, cui il giudice d’appello ha fatto
richiamo, così permettendo di escludere il vuoto motivazionale dedotto in
argomento.
In particolare è stato ricordato sul punto che la figura giuridica minore
invocata presuppone lo svolgimento di un’attività in tutto pari a quella che
sarebbe possibile ottenere con l’intervento del giudice, che non deve trasmodare
nella coartazione della volontà del terzo, integrando in tal caso la condotta il
diverso reato di violenza privata, correttamente ritenuta nella specie.
Le deduzioni del primo giudice, espressamente richiamate per relationem
nella pronuncia di secondo grado, in ragione della mancanza di nuove
argomentazioni difensive di contrasto specifico sul punto, denotano la
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conferma di tali risultanze sono citate le captazioni telefoniche, nel corso delle

completezza, anche sotto il profilo contestato, della pronuncia impugnata e la
manifesta infondatezza anche dell’ulteriore motivo di ricorso.
3. Anche nell’interesse di Granata vengono proposti motivi di ricorso fondati
sulla reiterazione di argomentazioni che hanno già costituito oggetto delle
pronunce di merito, senza segnalare specifiche violazioni di legge o dell’onere di
motivazione.

l’autonomia dell’accertamento dei singoli reati fine rispetto alla condotta
associativa (in proposito Sez. 5, Sentenza n. 15 del 04/01/2000,
dep. 09/03/2000 imp. Luparello, Rv. 215977 ed ancora più recentemente Sez. 2,
Sentenza n. 6482 del 13/01/2011, dep. 22/02/2011, imp. Buonincontri, Rv.
249467)
Nella specie risulta indubbia l’intervenuta assoluzione dal delitto associativo,
in procedimento che ha analizzato le medesime prove poste a fondamento di
questo giudizio, ma l’oggetto dell’accertamento, per la differente natura dei
reati, non può che differire radicalmente, in quanto la verifica di responsabilità
del delitto associativo, al di là della specifica riconducibilità agli agenti delle
condotte dimostrative di tale attività, richiede l’accertamento della cosciente e
volontaria iscrizione di tali azioni nel più ampio disegno del gruppo illecito, di cui
da parte dell’agente si deve conoscere la presenza e struttura e del quale egli
deve condividere, in maniera stabile, le finalità.
Nel caso in esame invece, al fine di dimostrare la sussistenza del reato di
estorsione, è sufficiente accertare la partecipazione dell’interessato alle singole
condotte esecutive, attività la cui esecuzione non risulta neppure contestata
dall’interessato, sicché il dato è sufficiente da solo ad escludere la fondatezza
dell’eccezione svolta.

Il divieto di cui all’art. 649Cod. poc. pen. attiene alla identità del fatto reato contestato, nei suoi elementi costitutivi della condotta, dell’evento e
del rapporto di causalità caratterizzanti l’ipotesi delittuosa, oltre che degli
elementi spazio temporali e personali dell’episodio associativo, e non si
estende necessariamente alla valutazione di esso come elemento probatorio
di altro reato, i cui dati costitutivi siano ontologicamente e giuridicamente
diversi. Il tenore generico del rilievo svolto, non permette di valutare la
presenza di un accertamento definitivo sull’omessa partecipazione materiale
di Granata all’azione estorsiva, che in verità non risulta neppure tratteggiata
nel ricorso, fondato solo sull’incompatibilità formale degli opposti
accertamenti.

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Deve ricordarsi in via preliminare che è stata ripetutamente affermata

Superato il rilievo processuale in punto di fatto, si osserva che la
sentenza di primo grado ha fornito una compiuta disamina degli elementi di
responsabilità specifici in relazione all’intervenuta consumazione del reato di
estorsione, richiamando le chiamate in correità del collaborante Mola, che
risultano riscontate dalle conversazioni intercettate che coinvolgono l’odierno
ricorrente, analisi rispetto alla quali, con appello generico, risulta dedotta
solo l’eccezione del ne bis in idem, che in questa sede viene riproposta negli

esatti termini già esposti nella fase di merito, con deduzione che
conseguentemente si rivela inammissibile.
4.1. Analoghe considerazioni in ordine alla sostanziale riproposizione
delle deduzioni già esposte in sede di appello, senza critiche concrete dirette
alla pronuncia impugnata può formulasi con riferimento ai motivi proposti
nell’interesse di Carmine Natale, poiché a contrastare la deduzione di un suo
coinvolgimento coartato in attività estorsive in danno di suoi parenti,
risultano utilmente richiamate in sentenza sia le dichiarazioni dei collaboranti
che lo indicano come correo, che le intercettazioni telefoniche, elementi
entrambi desumibili dalla pronuncia di secondo grado, con il cui contenuto
specifico il ricorso non si confronta.
4.2. Priva di specificità risulta la contestazione riguardante la violazione
del criterio di valutazione delle chiamate di correo di cui all’art. 192 commi 2
e 3 cod. proc. pen. in ordine all’assenza di riscontri alle dichiarazioni dei
collaboranti, poiché nella pronuncia si richiama il contenuto di una
intercettazione dalla quale è dato ricavare la piena disponibilità che Natale
offre ai suoi mandanti, ed il contenuto dei pizzini rinvenuti, tramite i quali
Setola, posto a capo della compagine, annotava le attività demandate
all’odierno ricorrente, così dimostrando di poterne disporre a piacimento. I
richiamati riscontri, pur specificamente indicati nella sentenza, risultano
ignorati in ricorso, che in tal senso rivela la mancanza di pertinenza tra
quanto dedotto, ed effettivamente argomentato nella pronuncia oggetto di
impugnazione.
4.3. Analogo vizio attinge il rilievo di difetto di motivazione riferito alla
scarsa significatività dell’intercettazione valutata quale riscontro; ancora una
volta nel ricorso si analizzano solo una parte delle risultanze valutate
indicative dell’azione attribuita all’interessato, omettendo la considerazione
dei già richiamati compiti attribuiti dal capo della compagine al Natale.
L’argomentazione espressa sul punto esclude la fondatezza di qualsiasi

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Cassazione sezione VI, rg. 17591/2013

di,

censura, sia in punto di completezza della motivazione, che della sua logicità,
peraltro non contestata, e si risolve in una censura tendente a sollecitare una
difforme valutazione di merito, estranea a questa fase.
5.1. L’eccezione di inutilizzabilità formulata dalla difesa di Santoro, con
riferimento alle dichiarazioni di Tamburrino, parte lesa del delitto di
estorsione, non è fondata nel merito.
Preliminare al suo accertamento è infatti la verifica della qualificabilità

della sua posizione processuale del teste quale imputato di reato connesso o
collegato, situazione che i giudici di merito hanno escluso, con valutazione
che risulta logica e corretta, e può essere confermata in questa sede. Deve
infatti ricordarsi che Tamburrino è stato escusso con riferimento ad azioni
estorsive subite, la cui esplicitazione è stata preceduta da attentato esplosivo
in danno del suo esercizio commerciale, richieste volte ad ottenere, in favore
del gruppo illecito territoriale, mezzi di locomozione a titolo gratuito, per il
ritiro e la regolarizzazione dei cui acquisti avrebbe agito Santoro.
La circostanza di fatto, evocata dal ricorrente, che nel corso delle
indagini Tamburrino risultasse indagato per partecipazione all’attività
associativa illecita che si svolgeva nel medesimo territorio, non concretizza
per ciò solo la situazione di collegamento probatorio o funzionale tra i due
reati, poiché, come chiaramente risulta dedotto in atti, diversi erano i tempi
di esecuzione delle due azioni e diversa la composizione personale della
compagine, a seguito di interventi coercitivi dell’autorità giudiziaria, tanto
che proprio il mutamento dei rapporti di forza all’interno del gruppo illecito,
e la sopraggiunta estraneità di Tamburrino rispetto al nuovo gruppo di
comando, lo aveva individuato come bersaglio idoneo alla formulazione di
richieste di pagamento, prima mai sottopostegli.
A fronte di tale specifico approfondimento svolto nel corso del giudizio
primo grado, e riproposto negli esatti termini grado d’appello dall’odierno
ricorrente, si obietta la non corretta ricostruzione della vicenda nei termini
indicati, per effetto della presenza di una contestazione del reato associativo
in danno di Tamburrino, con condotta perdurante fino alla sentenza di primo
grado, sopraggiunta agli episodi estorsivi, così confondendo una ricostruzione
giuridica connessa alla difficoltà di individuare il momento finale della
partecipazione, e che, nei reati permanenti induce a fissare
convenzionalmente il temine finale dell’azione all’atto dell’accertamento
giudiziale ove non sussista in quel procedimento la prova dell’interruzione del

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Cassazione sezione VI, rg. 17591/2013

P

vincolo, e quanto nel concreto riscontrato nel diverso procedimento che ci
occupa, sulla base della logica della successione degli accadimenti.
Peraltro, l’estorsione che si ritiene consumata in danno di Tamburrino,
non può logicamente considerarsi compiuta per eseguire il complessivo
disegno dell’associazione camorristica di cui egli stesso sarebbe risultato
concorrente esterno, non foss’altro che per la sporadicità dell’intervento di
tale figura di concorrente e dell’ontologica contraddizione di un’adesione

estensibile ad un reato contro sé stesso, né per occultarne la verificazione;
conseguentemente del tutto destituita di fondamento risulta l’eccezione di
inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da questi, in quanto non precedute
dagli avvertimenti di cui agli artt. 63 e 64 cod. proc. pen. non applicabili al
caso di specie.
Per l’effetto non può ravvisarsi, sulla base degli elementi di fatto concreti
descritti nelle pronunce di merito, né la lamentata violazione di legge in
materia di inutilizzabilità delle dichiarazioni, né la dedotta contraddittorietà
ed illogicità della motivazione, la cui deduzione è fondata su presupposti
erronei in diritto.
Analogamente non può assumere valore vincolante la difforme
valutazione operata in argomento dal Tribunale del riesame, il cui ambito di
cognizione è fisiologicamente limitato alla fase cautelare, e ad una
valutazione allo stato degli atti, la cui portata è pertanto necessariamente
recessiva rispetto all’approfondimento svolto nel merito, in ragione delle
maggiori acquisizioni riservate a quella fase (principio pacifico; da ultimo
Sez. 5, Sentenza n. 16285 del 16/03/2010, dep. 26/04/2010, imp. Baldissin,
Rv. 247265). In ragione di quanto esposto qualsiasi omissione
argomentativa al riguardo, non essendo fondata su un rilievo di fatto di
natura dirimente, ma, a quel che è dato ricavare dal ricorso, dalla mera
circostanza della mancata argomentazione riguardo al preteso contrasto
valutativo, non avendo fondamento dogmatico l’assunto della vincolatività,
non riveste rilievo decisivo.
Del tutto generica, e comunque irrilevante sulla base di quanto sopra
argomentato, è la deduzione della mancanza di coincidenza tra le
dichiarazioni offerte dalla parte lesa dinanzi alla p.g. e quelle rese nel corso
della sua deposizione dinanzi alla Corte d’assise. Al di là della piena
utilizzabilità delle prime dichiarazioni, per quanto sopra esposto, la genericità
del rilievo discende dall’omessa deduzione degli atti contenenti le pretese

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IP/

contraddizioni, contrariamente a quanto ripetutamente fissato in tema di
specificità della deduzione di travisamento della prova nel ricorso di
legittimità; la mancanza di contraddizione tra le risultanze dei due atti è
invece valutata nella sentenza di primo grado, che riferisce di
sovrapponibilità delle dichiarazioni, superando in fatto la generica allegazione
difensiva di segno opposto.

pretesa assenza di motivazione in ordine alla congruità dell’offerta reale
eseguita nel corso del giudizio che, secondo la tesi difensiva, legittimerebbe
l’applicazione dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen., la cui
esclusione, secondo il difensore, non sarebbe sorretta da adeguata
motivazione. Non risultando possibile circoscrivere il danno economico subito
dalla parte, poiché tale assunto in fatto è connesso alla pretesa limitazione
delle deduzioni al riguardo formulate dinanzi alla Corte d’assise, non è dato
riscontrare in argomento il denunciato vuoto motivazionale.

5.3-5.7. I motivi di ricorso indicati in narrativa riguardano poi difetto di
motivazione su tutte le deduzioni operate con riferimento alle aggravanti
contestate ed alla loro individuabilità, compatibilità ed operatività al fine di
incidere sulla determinazione della sanzione, deduzioni che risultano
ingiustificate. Bisogna in proposito rimarcare che non può dirsi mancante la
motivazione, solo per effetto di una omessa specifica argomentazione sui
singoli punti ove la logica esclusione di fondatezza dei rilievi difensivi sia
ricavabile dal complesso delle argomentazioni svolte, sicché la trattazione
separata ed analitica se può costituire un metodo di lavoro dell’estensore,
non è in alcun modo richiesta ove il sostegno della decisione possa emergere
dal complesso argomentativo.
Nella specie, in particolare, la ricostruzione posta a base della decisione,
che ha visto collocare Santoro nell’attività estorsiva, in piena sinergia con le
determinazione del capo clan Setola, sulla base sia delle dichiarazioni di un
chiamante in correità ritenuto attendibile che delle convergenti ricostruzioni
offerte dalla parte lesa, non richiedeva alcuna specifica motivazione per
affermare la sussistenza dell’aggravante contestata esattamente nel senso di
aver agito avvalendosi della forza intimidatoria del sodalizio, elemento di
fatto rispetto al quale, a fronte delle prove valutate rilevanti, nulla era
necessario aggiungere; la dedotta mancata motivazione è conseguentemente
insussistente.

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Cassazione sezione VI, rg. 17591/2013

5.2. Il difetto di specificità della deduzione riverbera i suoi effetti sulla

Del tutto destituiti di fondamento è il dedotto difetto di motivazione che
avrebbe colpito l’illegittima duplicazione degli effetti dell’aggravante del
numero delle persone, contestata sia con riguardo all’art. 112 cod. pen. che
con riferimento all’ipotesi di cui all’art. 628 comma 3 n. 1 cod. pen. L’assunto
è infondato in fatto, sotto un duplice profilo, poiché non era stata svolta
alcuna specifica censura sul punto in atto d’appello, ed in quanto la semplice

generale si riferisce al numero delle persone, mentre quella speciale riguarda
l’essersi avvalsi nell’esecuzione della condotta di persone armate, come è
risultato evidente dai colpi di arma da fuoco con i quali venne raggiunta la
sede della ditta di Tamburrino.
In atto d’appello l’eccezione riguardante l’inapplicabilità delle aggravanti
è svolta solo con riferimento alla pretesa ignoranza dell’interessato delle sue
condizioni applicative. Pur mancando uno specifico contrasto a tale assunto,
la ricostruzione di fatto operata in sentenza, in maniera argomentata sulle
specifiche prove esaminate, denota ifrferes- l’incompatibilità della dedotta
ignoranza, stante la piena funzionalità di Santoro alla compagine, con
responsabilità nel territorio ove insisteva esercizio di Tamburrino, della cui
vicenda non ha gestito solo la fase della riscossione, a più riprese, ma anche
quella della convocazione ed accompagnamento della vittima presso Setola,
dimostrando così una intraneità agli scopi del gruppo sul territorio,
inconciliabili con la mancata conoscenza delle sue modalità operative, che
danno conto dell’argomentazione implicita della decisione di rigetto della
richiesta difensiva, in quanto non fondata su elementi di fatto evincibili dagli
atti, ingiustamente trascurati dal giudicante.
Anche in ordine all’accusa di cui al capo P) l’eccezione di difetto di
motivazione sull’affermazione di responsabilità ignora i richiami contenuti in
sentenza alle dichiarazioni dei collaboranti sul complesso dell’attività
impositiva e sulla partecipazione di Santoro, di cui le intercettazioni
forniscono ampio risconto, con deduzione argomentativa del tutto sufficiente
e non contraddittoria.
Analogamente insussistente è il vizio di motivazione con riguardo
all’ipotesi di inquadramento della fattispecie delittuosa nel minore reato di cui
all’art. 513. 513 bis cod. pen. incompatibile sia con la ricostruzione offerta da
chi ha partecipato agli eventi descritti, che giuridicamente, in forza delle
pronunce sul punto di questa Corte, espressamente richiamate nel

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Cassazione sezione VI, rg. 17591/2013

lettura del capo di imputazione consente di verificare che l’aggravante

provvedimento impugnato, illustrazione la cui presenza esclude il dedotto
vuoto motivazionale. Non è dato ravvisare il vuoto motivazionale neppure in
riferimento all’aggravante di cui all’art. 7 di. cit. nonché a quella dell’art.
628 comma 3 cod. ppin, poiché a fronte della specifica deduzione attinente
all’inserimento di Santoro nell’organico sviluppo dell’azione estorsiva in
corso, riconducibile al gruppo illecito territoriale, le generiche deduzioni

da parte di un concorrente in più episodi dello stesso genere nella zona di
influenza, con contatti diretti con il capo, sulla base di circostanze che si
ricavano dalle prove assunte nel giudizio di merito e richiamate nella
sentenza impugnata, l’ignoranza della partecipazione dei complici ad
un’organizzazione camorristica.
Del tutto infondata è l’eccezione di erronea determinazione della pena
per violazione della disposizione di cui all’ad 63 comma 4 cod.pen. in quanto,
contrariamente all’assunto la Corte ha provveduto alla correzione dell’errore
et~ in cui è incorso sul punto il primo giudice provvedendo al calcolo
della pena in forma corretta.
Le deduzioni con le quali si contesta la decisione di escludere
l’applicazione delle attenuanti generiche, e la determinazione dell’aumento
per la continuazione in misura superiore al minimo contestano l’esercizio
della discrezionalità del giudice di merito, insindacabile ove sorretta da
argomentazione giustificativa come nella specie. In particolare, sulla
decisione di escludere le attenuanti generiche ha influito l’oggettiva gravità
dei fatti e la mancanza di comportamenti valutabili al fine di desumere una
dissociazione dalle proprie condotte devianti, elementi concreti rispetto ai
quali la difesa non deduce la presenza di ulteriori elementi favorevoli,
rappresentati al giudicante e da questi erroneamente non valutati al fine
della riduzione della sanzione, mentre in ordine all’aumento per la
continuazione la difesa sollecita, ma non giustifica, una determinazione nel
minimo, a fronte della ripetizione di condotte illecite di pari gravità.
6. Del tutto inammissibile è il ricorso proposto nell’interesse di Fabio Storto,
ove, ignorando le argomentazioni svolte in argomento dal giudice di merito, e
conseguentemente omettendo nel concreto la deduzione dei vizi rilevabili in
questo grado, come tratteggiati dall’art. 606 comma 1 lett e) cod. proc. pen. si
sollecita a questa Corte una nuova valutazione di merito in ordine alla

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Cassazione sezione VI, rg. 17591/2013

difensive al riguardo risultano superate in fatto, non potendosi prospettare

concessione delle attenuanti generiche, demandandole una determinazione di
merito estranea all’ambito del giudizio di legittimità.
7. Inammissibile per tardività è il ricorso proposto da Bartolomeo Vitiello.
Come si è accertato in camera di consiglio, anche alla luce delle produzioni
difensive svolte all’odierna udienza, l’atto di impugnazione, che in forza della
dicitura in calce risulterebbe composto dall’interessato nella Casa Circondariale di
Teramo in cui era astretto all’epoca, non è stato consegnato all’ufficio matricola,

e da quest’ufficio trasmesso alla Corte di merito, ma depositato dall’avv.
Arcangelo D’Alessio, che apparirebbe destinatario di una procura speciale in tal
senso; direttamente presso la Corte d’appello il 16/04/2013, ben oltre il termine
di 45 giorni decorrenti dal 16/01/2013 che individuava il tempo utile per il
deposito della motivazione, che risulta rispettato dal giudice estensore.
Nel corso dell’odierna udienza la difesa ha prodotto un atto depositato
presso la Casa Circondariale di Teramo, che t secondo l’esposizione orale /avrebbe
dovuto dimostrare la presentazione dell’atto di impugnazione a quell’ufficio nel
termine di legge.
In realtà, come si è avuto modo di verificare, prendendone lettura in camera
di consiglio, il ricorso presenta esclusivamente un’attestazione di autenticità della
firma ivi apposta, per di più intervenuta solo il 29/09/2013, che non conferisce
alcun dato nuovo e diverso in ordine alla contestata tempestività, per di più
consentendo di sollevare dubbi sulla riconducibilità del ricorso tardivo alla
sottoscrizione dell’interessato, stante la difformità del segno, e la sua
interpolazione, posto che nella copia non autenticata, che risulta l’unica
depositata nell’ufficio del giudice a quo, compare a penna una procura speciale al
deposito assente nell’altra copia.
Quel che rileva nel concreto è che, da un canto, la difesa non ha dimostrato
il tempestivo deposito dell’atto di impugnazione presso l’ufficio matricola della
casa circondariale, unico adempimento che consente di datare a quel momento
la valida proposizione dell’impugnazione ai sensi dell’art. 123 cod. proc. pen., e
ciò comporta che la prima data in cui risulta esercitato il diritto all’impugnazione,
al di là della sua ritualità, è quello attestato dal deposito dell’atto da parte
dell’avvocato in cancelleria, data in cui era inesorabilmente risulta spirato il
termine utile a tal fine.
8. Il rigetto del ricorso di Santoro comporta la sua condanna al pagamento
delle spese processuali del grado, mentre l’accertamento di inammissibilità degli
ulteriori ricorsi impone di condannare Gagliardini, Granata, Natale, Storto e
Vitiello, oltre che a tali spese, anche al versamento della somma indicata in

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Cessazione sezione VI, rg. 17591/2013

P

dispositivo, in favore della Cassa delle ammende, in applicazione dell’art. 616
cod. proc. pen.
I ricorrenti sono inoltre tenuti alla rifusione del spese di rappresentanza
della parte civile in questo grado, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso di Santoro Salvatore che condanna al pagamento delle

Dichiara inammissibili i ricorsi di Gagliardini, Granata, Natale, Storto e
Vitiello, che condanna al pagamento delle spese processuali e Cascun.§ della
somma di euro 1.000 ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
Condanna infine i ricorrenti alla rifusione in solido delle spese sostenute
dalle parti civili che liquida in complessive euro 3.500 ciascuna, oltre IVA e CPA.
Così deciso il 08/10/2013.

spese processuali.

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