Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44695 del 16/10/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 44695 Anno 2013
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: PRESTIPINO ANTONIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Ercolano Mario n. il 7.1.1976
avverso l’ORDINANZA del Tribunale della Libertà di Catania
del 22.11.2010
udita la relazione del consigliere dr. Antonio Prestipino
sentito il Procuratore Generale, in persona del dr. Luigi Riello, che ha concluso per il rigetto del
ricorso sollecitando la trasmissione degli atti al proprio ufficio per eventuali iniziative disciplinari.

Data Udienza: 16/10/2013

Ritenuto in fatto
1.Con l’ordinanza in epigrafe, il Tribunale della Libertà di Catania ha rigettato l’istanza di
riesame proposta da Ercolano Mario avverso l’ordinanza applicativa della misura cautelare
della custodia in carcere emessa nei suoi confronti dal gip dello stesso Tribunale il
22.10.20102 per il reato di estorsione consumata ai danni di Galeazzi Alberto, aggravato ex
art. 7 dl 152/1991.
2. Secondo l’accusa l’Ercolano, agendo in concorso con Marsiglione Francesco, Mirabile
Alfio e altro soggetto non identificato, aveva costretto la persona offesa, amministratore
della IRA Costruzioni generali s.p.a., a non partecipare ai lavori per la realizzazione del
parco commerciale “La Tenutella” secondo l’intesa contrattuale già raggiunta dalla stessa
IRA con la s.r.l. S.I.R.A.
3. Ad avviso dei giudici territoriali il fatto addebitato all’Ercolano non potrebbe ritenersi
identico a quello coperto dal giudicato di assoluzione formatosi nei confronti dell’indagato
in altro procedimento (c.d “Dionisio Hermes”) per analoghi fatti estorsivi, essendo stato
contestato nel giudizio già concluso (all’esito del quale, peraltro, l’Ercolano aveva riportato
condanna per il reato di cui all’art. 416 bis c.p.) il semplice tentativo, e diversa essendo la
data del commesso reato individuata nell’imputazione cautelare rispetto a quella indicata nel
capo di imputazione del processo definito. Ciò pur dovendosi dare atto che le conversazioni
intercettate nel proc “Dionisio” costituirebbero la premessa dell’indagine, a partire
dall’accertamento dei contrasti tra gruppi mafiosi rivali sulla gestione dell’affare della
“Tenutella”.
3.1. A quelle prime indicazioni di prova sarebbero seguite poi le indagini svolte nel presente
procedimento, approdate ad una positiva verifica della gravità indiziaria grazie alle concordi
dichiarazioni testimoniali “dirette” del Galeazzi e di un dirigente dell’IRA, Miceli Vincenzo,
e alle dichiarazioni de relato del vice-presidente dell’IRA e del teste Orlando Pietro, dalle
quali risulterebbe che tre persone (tra le quali l’Ercolano, identificato anche per il
riferimento di un teste alla sua attività commerciale nel settore della distribuzione
alimentare) si erano recate negli uffici dell’IRA per conferire con il Galeazzi, intimandogli
con tracotanza di non occuparsi più dell’affare. Un servizio di osservazione dei ROS del
5.6.2003, avrebbe poi confermato i rapporti di natura sospetta tra l’Ercolano e gli altri
protagonisti della vicenda, sorpresi insieme e dileguatisi al sopraggiungere di un’auto della
polizia.
4. In punto di esigenze cautelali, il Tribunale sottolinea anzitutto la presunzione di
pericolosità qualificata legata al titolo del reato ai sensi dell’ari, 275 co 3 c.p.p., ma rileva
anche in concreto l’ intensità delle esigenze social preventive per l’estrema gravità del fatto
e per la personalità dell’imputato, titolare di numerosi precedenti giudiziari e inserito con
ruolo di primo piano in una cosca mafiosa.
5. Ricorre il difensore dell’indagato, deducendo il vizio di violazione di legge in relazione
all’art. 649 c.p.p. e il difetto di motivazione del provvedimento in ordine al mancato
riconoscimento del ne bis in idem. I fatti oggetto dell’imputazione cautelare sarebbero infatti
incontestabilmente identici a quelli oggetto del giudicato di assoluzione, a dispetto della
artificiosa riformulazione della contestazione in termini parzialmente diversi; e identiche le
fonti di prova, consistenti nelle stesse dichiarazioni testimoniali richiamate dal giudice del
riesame, assunte anche nel dibattimento del proc. “Dioniso” ma ritenute insufficienti a
confermare l’ipotesi del concorso nei fatti del ricorrente al pari del contenuto delle
intercettazioni ambientali.
5.1. Gli altri motivi fanno riferimento al difetto di motivazione sull’aggravante mafiosa e
sulla sussistenza delle esigenze cautelari, soprattutto in considerazione del lungo periodo di
tempo trascorso dai fatti, commessi nel 2004.
Considerato in diritto

Il ricorso è infondato.
1.Contrariamente a quanto deduce il ricorrente, la ricognizione del fascicolo processuale
consente in effetti di ritenere la diversità dei fatti contestati all’indagato nel presente
procedimento, rispetto a quelli giudicati con la sentenza di cui si invoca l’effetto preclusivo.
Risulta infatti che nel procedimento approdato al giudizio dibattimentale, era stato
addebitato all’Ercolano di avere tentato di estorcere al Galeazzi una somma di denaro, senza
che il ricorrente riuscisse nel proprio intento; nel presente procedimento, invece, si contesta
al ricorrente di avere costretto il Galeazzi a non partecipare ai lavori di costruzione di un
parco commerciale. E’ corretta quindi l’affermazione della diversità dei fatti da parte del
Tribunale del riesame, sia quanto alla loro materialità che al titolo giuridico (forma tentata;
forma consumata; vedi al riguardo, il parere del pubblico Ministero in data 11.11.2010
sull’istanza de libertate presentata dall’Ercolano proprio sul presupposto della regiudicata).
2. La preponderante insistenza sulla questione della regiudicata ha indotto per il resto la
difesa a deduzioni alquanto generiche sulle valutazioni dei giudici territoriali in merito al
quadro cautelare, valutazioni che appaiono comunque esenti da vizi logico giuridici tanto
in ordine alla gravità indiziaria, affermata con l’indicazione di specifiche fonti di prova e
con una ricostruzione dei fatti coerente anche con l’apprezzamento della sussistenza
dell’aggravante di cui all’art. 7 dl 152/1991; che alle esigenze cautelari, congruamente
ritenute anche in termini concreti con riferimento sia al complessivo contesto criminale in
cui il ricorrente risulta avere operato, che alla condanna per il reato di associazione
mafiosa, con la qualifica di capo pur sempre riportata dall’Ercolano all’esito del
procedimento pretesamente “pregiudiziale” rispetto all’imputazione estorsiva; elementi a
fronte dei quali si rivela alquanto debole la sola considerazione del dato temporale.
3. Il ritardo nel deposito del provvedimento, aspramente censurato dalla difesa, non
influisce sulle valutazioni del caso, ma è certamente rilevante sotto il profilo disciplinare,
dovendosi quindi aderire alla richiesta di trasmissione degli atti formulata dal PG di udienza
per le conseguenti iniziative del suo ufficio.
Il ricorso va pertanto rigettato, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali. La cancelleria dovrà provvedere agli adempimenti di cui all’art. 94 disp. Att.
C.p.p.. Va infine ordinata la trasmissione degli atti al PG in sede.
P .Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese proces unii; si provveda
a norma dell’art. 94 disp. Att. C.p.p. Dispone trasmettersi gli atti alla rocura Generale
presso la Corte di Cassazione per quanto di competenza in ordine al ritarde nel deposito del
provvedimento impugnato.
Così d s in Roma, nella camera di consiglio, il 16.10.2013.

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