Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44694 del 16/10/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 44694 Anno 2013
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: PRESTIPINO ANTONIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Pavone Lorenzo n. il 2.6.1970
awerso l’ORDINANZA del Tribunale della Libertà di Catania
del 28.3.2013
udita la relazione del consigliere dr. Antonio Prestipino
sentito il Procuratore Generale, in persona del dr. Luigi Riello che ha concluso per il rigetto del
ricorso.

Data Udienza: 16/10/2013

Ritenuto in fatto
1.Con ordinanza del 28.3.2013, il Tribunale della Libertà di Catania, rigettava l’istanza di riesame
proposta da Pavone Lorenzo avverso l’ordinanza applicativa della misura cautelare della custodia in
carcere emessa nei suoi confronti dal gip dello stesso Tribunale il 10.3.2013, per il reato di
estorsione ai danni di Reitano Carmelo, aggravato ai sensi dell’art. 7 dl 152/1991..
2.Rileva il tribunale come fonte privilegiata dell’assunto accusatorio siano le dichiarazioni della
persona offesa, Reitano Carmelo, amministratore della Sicula Appalti e Costruzioni s.r.1.,
riscontrate dall’esito di riconoscimenti fotografici, da accertamenti sui periodi di detenzione degli
indagati, da annotazioni di servizio su controlli di polizia e dall’acquisizione delle denunce di furti e
danneggiamenti subiti in cantiere dalla persona offesa. Il Reitano, secondo la ricostruzione dei fatti
operata dal Tribunale, era stato aggredito con scopi estorsivi il 4.3.2013 dall’indelicato e dal Puglisi,
e aveva sollecitato l’intervento dei carabinieri con una drammatica telefonata al 113; accompagnato
dai militari in ospedale, gli erano state riscontrate lesioni personali; aveva quindi denunciato le
pressioni estorsive subite, ricevendo durante la formalizzazione della denuncia una telefonata da
parte dell’Indelicato. L’aggressione sarebbe stata il culmine di un lungo periodo di assoggettamento
del Reitano alle pretese estorsive sopportate per anni dalla persona offesa ad opera del clan mafioso
degli Assinnata, dominante nella citta di Paternò, città natale del Reitano e collegato al gruppo dei
“Picanello”, di cui avrebbe fatto parte uno degli aggressori, l’Indelicato. La persona offesa, sentita
successivamente in incidente probatorio il 20.3.2012, aveva confermato le accuse, secondo il
Tribunale in modo coerente con le prime dichiarazioni e con l’aggiunta di significativi particolari.
2.1.1 giudici del riesame confutano quindi le obiezioni difensive dirette a dimostrare che il Reitano
fosse un imprenditore in realtà colluso con la mafia, alla quale avrebbe versato nel tempo somme di
denaro in occasione di alcune festività come corrispettivo di un vero e proprio patto di protezione
concluso con l’organizzazione criminale; e confutano altresì le conseguenti deduzioni difensive
volte non solo a dedurre dal presunto rapporto di contiguità della persona offesa con l’associazione
mafiosa, decisivi dubbi sulla sua attendibilità, ma anche e soprattutto ad inferire in radice
l’inutilizzabilità delle sue dichiarazioni. La questione è dettagliatamente esaminata alle pagg 5 e ss
del provvedimento.
2.2. In coerenza con le dichiarazioni del Reitano si porrebbero le propalazioni del collaborante
Pappalardo Filippo, già componente del clan Assinnata, che tra l’altro aveva parlato di imprenditori
“amici” del clan senza fare il nome della persona offesa,
3.Quanto alla specifica responsabilità del Pavone per il reato di estorsione di cui al capo D),
ricordano i giudici territoriali che il Reitano aveva riferito di avere ricevuto nel Novembre del 2012,
mentre si trovava nei pressi del cantiere aperto in via Borrello, la visita dell’Indelicato, il quale in
sostanza gli avrebbe suggerito di pagare una tangente estorsiva a dei “soggetti della zona”,
offrendogli la propria mediazione per ottenere uno sconto. L’indelicato aveva quindi accompagnato
il Reitano presso l’esercizio di un barbiere, dove poco dopo era sopraggiunto a bordo di una
bicicletta elettrica un certo Salvatore (poi identificato proprio in Salvatore Scuderi), e dove tutti
avevano atteso un terzo soggetto, giunto ben presto a bordo di una moto BMW, presentato al
Reitano come il “referente di Picanello” e indicatogli con il nome di battesimo di “Lorenzo”. In
occasione di quell’incontro erano stati stabiliti i termini della pretesa estorsiva degli interlocutori
del Reitano, con la personale, attiva partecipazione dello Scuderi, che aveva infine “chiuso” la
trattativa con l’indicazione di una somma forfetaria di 2.000,00 euro. La persona offesa aveva
quindi iniziato i pagamenti, sempre effettuati nelle mani dello Scuderi„ che si recava sul luogo
degli appuntamenti utilizzando, in alternativa alla bici elettrica, un’autovettura Renault “Twingo”.
Lo stesso Scuderi aveva ammesso i suoi rapporti con la persona offesa, sia pure per ragioni del tutto
diverse da quelle indicate dal Reitano, ma ritenute dal Tribunale assolutamente indimostrate.
3.1.11 tribunale, nella ritenuta, piena attendibilità della persona offesa, ha quindi ritenuto
positivamente verificata la gravità indiziaria, anche in relazione all’aggravante di cui all’art. 7 dl

152/1991, rilevando a quest’ultimo riguardo, che in tutta la vicenda narrata dalla persona offesa
sarebbe immanente l’evocazione intimidatoria di contesti di criminalità organizzata.
3.2. Sotto il profilo delle esigenze cautelari, infine, il Tribunale richiama la presunzione di
pericolosità qualificata operante in relazione al titolo del reato ai sensi dell’art. 275 co 3 c.p.p., ma
sottolinea anche la la gravità del reato anche in relazione all’arco temporale della sua consumazione
e la negativa personalità dell’imputato rivelata dai modi del suo coinvolgimento nei fatti.
4. Ricorrono i difensori del Pavone, eccependo anzitutto il vizio di violazione di legge ai sensi
dell’art. 606 lett. c) c.p.p., in relazione agli artt. 63 e 191 c.p.p., per la ritenuta utilizzabilità delle
dichiarazioni della persona offesa. La figura del Reitano corrisponderebbe infatti a quella
dell’imprenditore colluso con l’organizzazione mafiosa, avendo lo stesso ammesso, nel corso delle
dichiarazioni verbalizzate il 5.3.2013, di avere assunto l’iniziativa di cercare contatti con la
“famiglia” Assirmata”, in quanto consapevole di certe presenze criminali sul territorio di Paternò,
effettuando poi, nel tempo, spontaneamente, dei regali agli esponenti della stessa famiglia.
4.1. Secondo la difesa, da tali dichiarazioni sarebbero emergersi indizi di reità a carico della
persona offesa, e i verbalizzanti avrebbero dovuto interrompere l’esame ai sensi dell’art. 63 c.p.p.
La violazione della norma, renderebbe inutilizzabili tutte le dichiarazioni della persona offesa.
4.2. Con il secondo motivo, deducono il vizio di inosservanza ed erronea applicazione della legge
penale e il difetto di motivazione in ordine alla gravità indiziaria. Il Tribunale non avrebbe
considerato la genericità e la scarsa chiarezza delle dichiarazioni della persona offesa nella
ricostruzione della vicenda estorsiva, l’illogicità dell’attribuzione di un ruolo defilato al Pavone
nelle trattive per la quantificazione del Pizzo, e della mancata assunzione di qualunque iniziativa da
parte dei presunti estortori, per i mancati pagamenti;
4.3. Analoghe censure di legittimità sono svolte in ricorso riguardo alla valutazione delle esigenze
cautelari anche in ordine all’esclusiva adeguatezza della più severa misura custodiale. In sostanza,
le conclusioni del Tribunale sarebbero appiattite sulla presunzione di pericolosità qualificata
stabilita dall’art. 275 co 3 c.p.p., senza tener conto della diversa lettura della norma imposta dalla
recente sentenza della Corte Costituzionale n. 57 del 29.3.2013. La valutazione degli indici concreti
della pericolosità dell’indagato, sarebbe stata in realtà effettuata dal tribunale con considerazioni
vaghe ed astratte.
Considerato in diritto
1.In conformità alle corrette conclusioni del tribunale va senz’altro disattesa, anzitutto, l’eccezione
di inutilizzabilità delle dichiarazioni del Reitano, perché dai brani delle dichiarazioni rese dalla
persona offesa il 5.6.2013, riportati in ricorso, non è dato in alcun modo evincere indizi di reità a
carico del dichiarante (parrebbe per il reato di cui all’art. 416 bis c.p., nella forma della
partecipazione piena o del concorso esterno, ma la difesa non si avventura ulteriormente sul terreno
delle qualificazioni giuridiche). Se è vero, infatti, che “imprenditore colluso” è quello che è entrato
in rapporto sinallagmatico con la cosca tale da produrre vantaggi per entrambi i contraenti,
consistenti per l’imprenditore nell’imporsi nel territorio in posizione dominante e per il sodalizio
criminoso nell’ottenere risorse, servizi o utilità; mentre va definito “imprenditore vittima” quello
che soggiogato dall’intimidazione non tenta di venire a patti col sodalizio, ma cede all’imposizione e
subisce il relativo danno ingiusto, limitandosi a perseguire un’intesa volta a limitare tale danno (Sez.
1, Sentenza n. 46552 del 11/10/2005 D’Orio), non si comprende quale rapporto sinallagmatico tra il
Reitano e gli Assannita possa desumersi dalle dichiarazioni sottolineate dalla difesa, e in quali
termini il Reitano avrebbe rivolto a proprio profitto l’essere venuto in relazione col sodalizio
mafioso. Non ne risulta infatti che la persona offesa abbia agito per ottenere una posizione
dominante sul territorio; né che abbia conseguito vantaggi “concorrenziali” da qualificati rapporti
con l’organizzazione mafiosa; il rapporto si è mantenuto nella sfera di soggezione dell’imprenditore
all’imposizione mafiosa, nei termini esclusivamente “difensivi” supposti dall’offerta di regali o altre
utilità ad esponenti mafiosi, da parte della persona offesa, allo scopo di evitare aggressioni
criminali all’attività della sua impresa. L’unica circostanza concreta citata dalla difesa a sostegno
della tesi della “corrispettività” dei rapporti tra la persona offesa e l’organizzazione mafiosa, è

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al
versamento alla Cassa delle ammende della somma di euro 1000,00; si provved norma dell’art.
94 disp. Att. C.p.p.
Così dect in Roma, nella camera di consiglio, il 16.10.2013.

quella relativa al presunto “debito” nei confronti di tale Motta, che il Reitano avrebbe ottenuto di
non pagare grazie all’interessamento degli Assirmata, ma non solo si tratterebbe di un fatto troppo
isolato per trame le conseguenze volute dalla difesa, ma il supposto “debito” si riferiva in realtà a
pressioni estorsive, non a pretese legittime, come risulta evidente dalla ricostruzione dei fatti
contenuta in ricorso. Non un “vantaggio” avrebbe lucrato quindi il Reitano, ma l’affrancamento da
un’ennesima imposizione criminale.
1.1.L’unico dato che dovrebbe in via residuale sorreggere le deduzioni difensive è quindi la
circostanza che l’iniziativa del contatto con l’organizzazione criminale sia partita dalla stessa
vittima, ma un intento “difensivo” può essere perseguito anche in modo “preventivo”, trattandosi
quindi di un aspetto del tutto irrilevante ai fini della valutazione del rapporto del Reitano con
l’organizzazione mafiosa, come lo è la consapevolezza del Reitano della presenza di organizzazioni
criminali sul territorio, corrispondente ad un patrimonio conoscitivo pressoché comune, e
comunque ancor più facilmente accessibile da parte di un imprenditore che eserciti attività
professionali strettamente legate al territorio.
2. I motivi in punto di gravità indiziaria sono alquanto generici, contaminati da accentuate
connotazioni di merito, riferibili a particolari assai poco significativi o manifestamente illogici.
Non si comprende perché dovrebbe ritenersi inverosimile che il Pavone abbia lasciato condurre le
trattative sul “pizzo” allo Scuderi e quanto alla presunta assenza di ritorsioni per gli
“inadempimenti” del Reitano, la difesa dimentica tra l’altro che la vicenda processuale è nata
proprio da una pesante aggressione fisica ai danni della persona offesa riconducibile alla vicenda
estorsiva.
2.1. Le circostanze della vicenda estorsiva non lasciano poi dubbi sulla correttezza delle valutazioni
del tribunale in ordine alla sussistenza dell’aggravante mafiosa, peraltro non oggetto di specifiche
notazioni difensive.
3. Manifestamente infondate sono infine le deduzioni difensive in punto di esigenze cautelari. A
prescindere dal richiamo all’art. 275 co 3 c.p.p., norma che va in effetti interpretata anche alla luce
del recente arresto della giurisprudenza costituzionale citato in ricorso, il giudizio sulla gravità dei
fatti e sulla personalità dell’imputato, nelle valutazioni del tribunale afferenti alla pericolosità “in
concreto” del ricorrente, è sostanziato dalla complessiva ricostruzione del fatto, specie con
riferimento all’articolazione nel tempo delle pretese estorsive e al pervicace accanimento sulla
vittima, senza che la difesa abbia potuto indicare elementi specifici capaci di escludere o attenuare il
giudizio di pericolosità anche nella direzione della scelta di misure cautelari meno afflittive. .
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende della somma di euro 1000,00,
commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di
inammissibilità. La cancelleria dovrà provvedere agli adempimenti di cui all’art. 94 disp. Att.
C.p.p.

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