Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44666 del 21/10/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 44666 Anno 2015
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: RAGO GEPPINO

SENTENZA
su ricorso proposto da:
NIKOLOVSKI DZANI nato il 25/07/1979, avverso la sentenza del 22/05/2015
della Corte di Appello di Milano;
Visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita la relazione fatta dal Consigliere dott. Geppino Rago;
udito il Procuratore Generale in persona del dott. Mario Pinelli che ha concluso
per l’inammissibilità;
udito il difensore avv.to Antonio Veropalumbo che ha concluso per l’accoglimento
FATTO
1. Con sentenza del 22/05/2015, la Corte di Appello di Milano confermava
la sentenza con la quale, in data 27/03/2012, il Tribunale della medesima città
aveva ritenuto NIKOLOVSKI Dzani colpevole del reato di truffa aggravata a
danno di Massimo Domenicangelo.

2. Contro la suddetta sentenza, l’imputato, a mezzo del proprio difensore,
ha proposto ricorso per cassazione deducendo i seguenti motivi:
2.1.

ERRATA QUALIFICAZIONE DEL FATTO:

ad

avviso

del difensore, nella

fattispecie in esame, non sarebbe configurabile il reato di truffa ma quello di
appropriazione indebita in quanto gli artifizi e raggiri sarebbero stati commessi
dopo l’appropriazione e cioè per nascondere il suddetto reato;

Data Udienza: 21/10/2015

2.2.

VIOLAZIONE DELL’ART.

189

COD. PROC. PEN.

per avere la Corte ritenuto

prova idonea l’individuazione fotografica che, però, per le modalità con le quali si
era svolta, doveva ritenersi inattendibile;
2.3.

VIOLAZIONE DELL’ART.

606

LETT. E) COD. PROC. PEN.

per avere la Corte

ritenuto attendibile la parte offesa nonostante le contraddizioni in cui era caduta
e le diverse versioni dei fatti che aveva reso.
DIRITTO
censura è manifestamente infondata.

Dalla sentenza impugnata, risulta, in punto di fatto che «L’ imputato ha
carpito la fiducia della parte offesa con l’inganno – presentandosi sotto falso
nome e come uomo d’ affari interessato ad investimenti – ed ha così ottenuto la
consegna della somma di 400.000,00 franchi svizzeri (senza dare nulla in
cambio) con proprio profitto ed altrui danno»: questo essendo il fatto, corretta è
la conclusione giuridica alla quale la Corte è pervenuta in quanto gli artifizi e
raggiri furono commessi proprio al fine di carpire la buona fede della parte lesa
e, quindi, di ottenere la somma di denaro che non sarebbe mai più stata
restituita;

2. Manifestamente infondati sono anche i motivi illustrati supra ai §§ 2.2.2.3. della presente parte narrativa.
Si tratta, infatti, delle medesime censure dedotte davanti alla Corte
territoriale (cfr pag. 4-5 sentenza impugnata) che, però, la Corte, sebbene in
modo sintetico, ha confutato e disatteso efficacemente alla stregua di puntuali
elementi di natura fattuale e logica.
Pertanto, non essendo ravvisabile alcuna delle lamentate incongruità,
carenze o contraddittorietà motivazionali, le censure, essendo incentrate
entrambe su una nuova ed alternativa rivalutazione di elementi fattuali e, quindi,
di mero merito, vanno dichiarate inammissibili.
Non sono ravvisabili, infatti, vizi di alcun genere nella valutazione della
prova in quanto la Corte ha spiegato che la parte offesa doveva ritenersi
attendibile quando aveva identificato (anche nel dibattimento) nel “Parisi”,
l’imputato, in quanto, essendo stato suo interlocutore, aveva avuto modo di
osservarlo nel corso dello svolgimento della vicenda.
La Corte, infine, quanto alle pretese difformità fra le dichiarazioni rese in
dibattimento dalla parte offesa e quanto da questi affermato nella querela, ha
chiarito che «la non perfetta coincidenza concerne circostanze e non il nucleo
essenziale della vicenda rimasto sempre fermo».

2

1. ERRATA QUALIFICAZIONE DEL FATTO: la

In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi inammissibile a norma
dell’art. 606/3 c.p.p, per manifesta infondatezza: alla relativa declaratoria
consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali, nonché al versamento in favore della Cassa
delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti
dal ricorso, si determina equitativamente in C 1.000,00.
P.Q.M.
DICHIARA

CONDANNA
il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 1.000,00 in
favore della Cassa delle Ammende.
Roma 21/10/2015
IL PRESIDENTE
(D tt. Franco Fiandanese)

inammissibile il ricorso e

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