Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44643 del 02/10/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 44643 Anno 2013
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: LOMBARDI ALFREDO MARIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Pellegrini Marco, nato a Milano il 08/04/1978
Pellegrini Michele, nato a Messina il 07/04/1954

avverso la sentenza in data 15/11/2012 della Corte di appello di Milano

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alfredo Maria Lombardi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Nicola
Lettieri, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito per l’imputato l’avv. Paolo Pesciarelli, che ha concluso chiedendo
raccoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 15/11/2012 la Corte di appello di Milano, in
accoglimento dell’impugnazione del P.G. avverso la sentenza del Tribunale di
Milano in data 13/03/2009, ha affermato la colpevolezza di Pellegrini Marco e
Pellegrini Michele in ordine al reato di cui agli art. 110, 56 e 515 c.p., loro
ascritto perché, in qualità di titolari di un esercizio per la somministrazione di cibi

Data Udienza: 02/10/2013

e bevande, denominato “Osteria Ilios”, compivano atti idonei univocamente
diretti a consegnare agli acquirenti sostanze alimentari diverse da quelle indicate
nelle lista delle vivande ed, in particolare, cibi congelati, benché detta qualità
non fosse indicata nella predetta lista, condannandoli alla pena di mesi due di
reclusione ciascuno.
In sintesi, il giudice di primo grado aveva escluso che la mera detenzione
all’interno di un frigorifero di merce congelata e la mancata indicazione nella lista
delle vivande di detta qualità integrasse la fattispecie degli atti idonei diretti in

La Corte territoriale ha, invece, affermato che la descritta condotta integra
l’ipotesi del tentativo di frode in commercio, osservando che l’inserimento degli
alimenti congelati nel menù, senza la menzione della indicata qualità, costituisce
un’offerta al pubblico, in quanto tale non revocabile, con la conseguente idoneità
della stessa a determinare il conseguimento del risultato illecito.

2. Avverso la sentenza hanno proposto ricorso personalmente gli imputati,
che la denunciano per vizi di motivazione e violazione di legge.
2.1 Mancanza e manifesta illogicità della motivazione con riferimento a
quanto emerso dall’esame testimoniale all’esito del procedimento di primo grado.
In sintesi, si deduce, citando, oltre alle dichiarazioni dell’imputato Pellegrini
Michele, le deposizioni di alcuni testi, tra i quali lo stesso verbalizzante, che
dall’istruzione dibattimentale non era affatto emerso con certezza che gli alimenti
citati in imputazione fossero congelati.
2.2 Errata applicazione degli art. 56 e 515 c.p..
La Corte territoriale ha erroneamente affermato che la indicazione nel menù
di determinati alimenti costituisca un’offerta al pubblico non revocabile. Può,
infatti, verificarsi che una determinata pietanza, anche se indicata nel menù, non
sia di fatto disponibile con la conseguenza che il ristoratore non è obbligato a
servirla. In tal caso in pratica si verserebbe in un’ipotesi di reato impossibile.
Inoltre, la condotta descritta nell’imputazione, in assenza di un inizio di
contrattazione, non integra la fattispecie del tentativo di frode in commercio.
Peraltro, l’ispezione è stata effettuata in orario di chiusura del locale e non è
neppure certo che il menù si riferisse alle pietanze disponibili al momento
dell’accertamento.
2.3.4.5 Si denuncia, infine, violazione di legge e vizi di motivazione della
sentenza in ordine al diniego delle attenuanti generiche, all’applicazione della
pena detentiva, invece di quella pecuniaria, e alla mancata concessione del
beneficio della sospensione della stessa.

CONSIDERATO IN DIRITTO

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modo non equivoco alla vendita fraudolenta.

1. Il ricorso non è fondato.
2.

Stante il carattere pregiudiziale della questione di diritto occorre

esaminare preliminarmente il secondo motivo di gravame.
Il contrasto interpretativo in ordine alla configurabilità del tentativo di frode
in commercio nella fattispecie in esame, peraltro risalente nel tempo (cfr. per la
tesi opposta: sez. 3, sentenza n. 37569 del 25/09/2002, RV 222556), risulta
definitivamente superato dalla giurisprudenza più recente, ma ormai consolidata,

alimenti surgelati, non indicati come tali nel menu, nelle cucina di un ristorante,
configura il tentativo di frode in commercio, indipendentemente dall’inizio di una
concreta contrattazione con il singolo avventore”. (sez. 3, sentenza n. 6885 del
18/11/2008, Chen, Rv. 242736; sentenze precedenti conformi: n. 10145 del
2002 Rv. 221461, n. 19395 del 2002 Rv. 221958, n. 14806 del 2004 Rv.
227964, n. 24190 del 2005 Rv. 231946, n. 23099 del 2007 Rv. 237067)
Il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi dal più recente indirizzo
interpretativo, in quanto lo stesso risulta conforme ai principi di diritto enunciati
dalle Sezioni Unite di questa Corte in materia di tentativo del reato di cui all’art.
515 c.p., sia pure con riferimento fattispecie concreta diversa (cfr. Sez. Un.
sentenza n. 28 del 25/10/2000, Morici, RV 217295).
In materia, inoltre, la questione civilistica della cosiddetta offerta al
pubblico, non revocabile se non con le medesime forme, di cui trattano la
sentenza impugnata ed il ricorso per contestarne le affermazioni, non appare
affatto dirimente, né rilevante, ai fini della configurabilità del tentativo.
La questione della revocabilità dell’offerta contenuta nel menu, infatti, può
assumere rilevanza solo ai fini della configurabilità della desistenza, atta ad
escludere il reato nell’ipotesi in cui il ristoratore, a seguito della richiesta del
cliente di una determinata pietanza, rifiuti di consegnare l’aliud pro alio, ma non
incide sul perfezionamento della fattispecie del tentativo, che si consuma con la
mancata indicazione nel menu della qualità degli alimenti surgelati o congelati.
3. Gli ulteriori motivi di ricorso sono infondati o manifestamente infondati.
Il primo motivo si risolve nella richiesta di rilettura del materiale probatorio
e di una diversa valutazione dello stesso, inammissibile in sede di legittimità.
E’ noto sul punto che, secondo l’ormai consolidato indirizzo interpretativo di
questa Corte, anche a seguito della modifica dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen.
per effetto della legge n. 46 del 2006, al giudice di legittimità restano precluse la
pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione o l’autonoma adozione di diversi parametri di ricostruzione dei fatti e il
riferimento, contenuto nel nuovo testo dalla norma citata, agli “altri atti del
processo specificamente indicati nei motivi di gravame” non vale a mutare la

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di questa Suprema Corte, secondo la quale “anche la mera disponibilità di

natura del giudizio di legittimità, il cui controllo rimane limitato alla struttura del
discorso giustificativo del provvedimento impugnato e non può comportare una
diversa lettura del materiale probatorio, anche se plausibile. (sez. V, 22.3.2006
n. 19855, Blandino, RV 234095) (sez. III, 27.9.2006 n. 37006, Piras, RV
235508; sez. VI, 3.10.2006 n. 36546, Bruzzese, RV 235510).
Quanto alla determinazione della pena ed al diniego di benefici, infine, la
sentenza risulta adeguatamente motivata mediante il riferimento ai parametri di
cui all’art. 133 c.p. ed, in particolare, ai precedenti penali degli imputati.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 02/10/2013

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato con le conseguenze di legge.

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