Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44635 del 31/10/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 44635 Anno 2013
Presidente: DI VIRGINIO ADOLFO
Relatore: APRILE ERCOLE

SENTENZA

sul ricorso presentato da
Rizzo Giuseppe, nato a Messina il 30/06/1972

avverso la sentenza del 13/02/2013 della Corte di appello di Messina;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Ercole Aprile;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Mario
Fraticelli, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Messina confermava la
pronuncia di primo grado del 18/11/2008 con la quale il Tribunale della stessa
città aveva condannato Giuseppe Rizzo alla pena di giustizia in relazione al reato
di all’art. 328 cod. pen., per avere, il 03/05/2006, nella sua qualità di agente del
corpo di polizia municipale di Saponara, indebitamente rifiutato un atto del
proprio ufficio che avrebbe dovuto compiere senza ritardo, per ragioni di ordine

Data Udienza: 31/10/2013

pubblico, omettendo di recarsi immediatamente, come gli era stato
reiteratamente richiesto da altri colleghi, sul luogo dove si era verificato un
incidente stradale con feriti e che per il traffico aveva provocato l’intasamento
della via Nazionale in Saponara.
Rilevava la Corte di appello come le emergenze processuali avessero
dimostrato la colpevolezza dell’imputato in ordine al delitto contestatigli, in
quanto, a fronte di una situazione di obiettiva emergenza e di un ordine
impartitogli dal suo superiore gerarchico, il Rizzo si era rifiutato nel luogo

autorizzato, per potersi allontanare dall’ufficio, da funzionari competente del
comune; e come l’imputato non fosse meritevole del riconoscimento delle
circostanze attenuante generiche in ragione della obiettiva gravità della condotta
e dell’elevata intensità del dolo manifestato.

2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso il Rizzo, con atto sottoscritto dal
suo difensore avv. Laura Autru Riolo, il quale ha dedotto i seguenti quattro
motivi.
2.1. Violazione di legge, in relazione all’art. 328 cod. pen., per avere la Corte
territoriale confermato la condanna di primo grado sostenendo che “ragioni di
buon senso” avrebbero imposto all’imputato di eseguire l’ordine impartitogli dal
collega, laddove la normativa concernente le attività di polizia municipale ed il
collegato regolamento approvato dall’amministrazione comunale di Saponara,
stabiliscono che l’agente privo di uniforme può svolgere attività strettamente
necessaria e solo previ autorizzazione.
2.2. Vizio di motivazione, per mancanza o manifesta illogicità, per avere la
Corte di appello erroneamente ritenuto che fosse inaccettabile la scusa addotta
dal Rizzo per non recarsi sul luogo del segnalato sinistro stradale, laddove lo
stesso aveva fatto riferimento alla necessità di non chiudere l’ufficio di polizia
municipale dove in quel momento si trovava da solo.
2.3. Carenza di motivazione, per avere la Corte distrettuale omesso di spiegare
quali fossero i concreti elementi fattuali cui ancorare l’affermazione dell’esistenza
della consapevolezza di agire in violazione dei doveri imposti, benché l’imputato
avesse dato una spiegazione plausibile delle ragioni per le quali non si era
allontanato dal suo ufficio.
2.4. Vizio di motivazione, per avere la Corte di merito negato il riconoscimento
delle circostanze attenuanti generiche omettendo di considerare una serie di dati
informativi che erano stati segnalati dalla difesa dell’imputato.

3. Ritiene la Corte che il ricorso sia inammissibile.
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indicato sostenendo di non avere la divisa e di dover essere appositamente

3.1. Con il primo motivo il ricorrente ha sostenuto che l’elemento oggettivo del
reato addebitatogli non sarebbe, nella specie, configurabile in quanto la
normativa primaria e secondaria concernente l’attività della polizia municipale fa
divieto al relativo personale di espletare l’attività di servizio in abiti civili, salvo
che non risulti strettamente necessario e l’attività non sia previamente
autorizzata: di talché il rifiuto manifestato dall’imputato, il quale aveva risposto
al suo superiore di non avere indosso la divisa e che non era stato autorizzato a

Si tratta di motivo manifestamente infondato, in quanto la norma di cui all’art.
4 della richiamata legge n. 65 del 1986, nello stabilire che

i regolamenti

comunali del servizio di polizia municipale devono prevedere che le attività del
personale vengano svolte, di regola, in uniforme e non in abiti civili, è
chiaramente una disposizione finalizzata a salvaguardare il decoro di coloro che
siano chiamati, in via ordinaria, a svolgere quelle attività dell’ufficio, mentre,
ammettendo espressamente una deroga in ipotesi di necessità e di
autorizzazione, non legittimano affatto il rifiuto di adempiere ad uno specifico
ordine che sia rivolto ad un agente di polizia municipale per fare fronte ad una
situazione di emergenza, quale quella verificatasi nel caso oggetto del presente
processo.
Nessuna violazione di legge è, pertanto, configurabile nella decisione della
Corte di appello di Messina di confermare la sentenza di condanna di primo grado
emessa nei confronti del Rizzo, autore di un indebito rifiuto di un atto del proprio
ufficio da compiere senza ritardo per ragioni di ordine pubblico, tenuto conto che
l’ordine di intervenire gli era rivolto da un superiore gerarchico, dunque
conteneva implicitamente l’autorizzazione ad operare sia pure in abiti civili, e che
l’esigenza rappresentata, in relazione alla quale era stato sollecitato un suo
immediato intervento, aveva riguardato una situazione di assoluta urgenza – tale
da escludere la sussistenza di alcuna buona fede nell’interessato – connessa ad
un incidente stradale, verificatosi nell’abitato di Saponara, che aveva causato
una pluralità di feriti ed un blocco del traffico automobilistico.

3.2. Il secondo ed il terzo motivo del ricorso sono inammissibili perché
formulati per fare valere ragioni diverse da quelle consentite dalla legge.
La sentenza impugnata ricostruisce in fatto la vicenda con motivazione
esaustiva, immune da vizi logici e strettamente ancorata alle emergenze
processuali, può ritenersi acclarato come la determinazione antigiuridica assunta
dall’imputato nel rifiutare il compimento dell’attività che gli era stata ordinata di
svolgere, si era caratterizzata in termini di rara intensità, dato che il Rizzo, che

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svolgere il servizio richiesto in abiti civili, non poteva essere considerato indebito.

aveva maturato verso i suoi superiori un sentimento di ostilità a causa di un
trasferimento ad altro ufficio che egli aveva interpretato come una iniziativa
pregiudizievole, anziché precipitarsi, come gli era stato richiesto, sul luogo ove si
era verificato un grave incidente stradale con feriti, aveva accampato come
giustificazione del suo sostanziale rifiuto l’esigenza di non chiudere l’ufficio
comunale nel quale, in quel momento, era l’unico dipendente presente, pur
prospettando la possibilità di recarsi presso la sede del comune per chiedere
chiarimenti su quanto sarebbe stato meglio per lui fare (v. pag. 2 sent.

I rilievi formulati al riguardo dal ricorrente si muovono nella prospettiva di
accreditare una diversa lettura delle risultanze istruttorie e si risolvono, quindi, in
non consentite censure in fatto all’iter argomentativo seguito dalla sentenza di
merito, nella quale, per altro, v’è puntuale risposta a detti rilievi, in tutto
sovrapponibili a quelli già sottoposti all’attenzione della Corte territoriale.
D’altra parte, la decisione della Corte messinese, nell’escludere che l’imputato
avesse rifiutato in buona fede il compimento dell’atto di ufficio, ha fatto buon
governo della regola di diritto per la quale, per la configurabilità del reato di cui
all’art. 328 cod. pen. si richiede, sotto il profilo psicologico, il solo dolo generico,
cioè, la volontà cosciente da parte del pubblico ufficiale di rifiutare, ritardare od
omettere l’atto da lui dovuto, atteso che l’avverbio “indebitamente” inserito nel
dettato legislativo, non comporta l’esigenza di un dolo specifico, ma sottolinea la
necessità della consapevolezza di agire in violazione dei doveri imposti (così, tra
le altre, Sez. 6, n. 2301/86 del 20/11/1985, Rizza, Rv. 172196).

3.3. Il quarto ed ultimo motivo del ricorso è manifestamente infondato.
Il ricorrente pretende che in questa sede si proceda ad una rinnovata
valutazione delle modalità mediante le quali il giudice di merito ha esercitato il
potere discrezionale a lui concesso dall’ordinamento ai fini del riconoscimento
delle circostanze attenuanti generiche: esercizio che deve essere motivato nei
soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero del giudice in ordine
all’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato ed alla
personalità del reo.
Nella specie, del tutto legittimamente la Corte di appello di Messina ha ritenuto
irrilevante lo stato di formale incensuratezza dell’imputato ed ostativo al
riconoscimento delle attenuanti generiche la gravità obiettiva della condotta
tenuta dall’imputato e l’eccezionale intensità del dolo dallo stesso dimostrato:
parametri considerati dall’art. 133 cod. pen., applicabile anche ai fini della
definizione dell’operatività dell’art. 62 bis cod. pen.

4

impugn.).

4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art.
616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento in favore dell’erario
delle spese del presente procedimento e al pagamento in favore della cassa delle
ammende di una somma che si stima equo fissare nell’importo indicato nel
dispositivo che segue.

P.Q.M.

spese processuali e della somma di euro 1.500,00 in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso il 31/10/2013

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle

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