Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44631 del 31/10/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 44631 Anno 2013
Presidente: DI VIRGINIO ADOLFO
Relatore: APRILE ERCOLE

SENTENZA

sul ricorso presentato da
Precerutti Roberta Rosalia, nata a Milano il 06/01/1959

avverso la sentenza del 10/05/2012 della Corte di appello di Milano;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Ercole Aprile;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Mario
Fraticelli, che ha concluso chiedendoil rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Milano confermava la
pronuncia di primo grado del 16/09/2009 con la quale il Tribunale della stessa
città aveva condannato Roberta Rosalia Precerutti alla pena di giustizia in
relazione al reato di all’art. 348 cod. pen., per non avere, in Senago in epoca
anteriore e prossima al 29/04/2008, quale direttore sanitario dello studio

Data Udienza: 31/10/2013

dentistico “Dental Due A s.n.c.”, impedito che ivi esercitasse abusivamente
l’attività di dentista odontotecnico Antonio Aquiliano, mero odontotecnico.
Rilevava la Corte di appello come le emergenze processuali, in specie le
dichiarazioni rese dai testi Faletti ed Aliprandi, avessero dimostrato la
colpevolezza della imputata in ordine al delitto contestatole: deposizioni la cui
valenza dimostrativa non era stata inficiata dalle indicazioni provenienti dal
coimputato Aquilano e dalla teste Baroni, sulla base delle cui dichiarazioni la
Precerutti aveva tentato di far credere che l’attività svolta dall’Aquilano nel nuovo

informata che, chiuso il precedente studio di Garbagnate, la nuova struttura
fosse all’epoca già operativa.

2.

Avverso tale sentenza ha presentato ricorso la Precerutti, con atto

sottoscritto dal suo difensore avv. Salvatore Frattallone, la quale ha dedotto i
seguenti due motivi.
2.1. Violazione di legge, in relazione all’art. 40 cod. pen., per avere la Corte
territoriale erroneamente ritenuto che l’imputata, quale direttore sanitario della
citata azienda provata, fosse titolare di una posizione di garanzia che
comportasse anche un obbligo di attivarsi, oltre ad un mero obbligo di
sorveglianza, e che dunque potesse rispondere a titolo omissivo del reato
commesso da uno dei soci dell’impresa.
2.2. Vizio di motivazione, per avere la Corte distrettuale omesso di spiegare
quale fosse stato il nesso di causalità tra la condotta omissiva della imputata e
l’evento antigiuridico di cui all’imputazione, ovvero quale fosse stato il contributo
causale della prevenuta nella causazione del reato materialmente ascrivibile ad
altro soggetto.

3. Ritiene la Corte che il ricorso sia inammissibile.

3.1. Il primo motivo del ricorso è inammissibile perché avente ad oggetto
un’asserita violazione di legge non dedotta con l’atto di appello, con il quale
l’imputata si era doluto solamente della mancata dimostrazione del dolo
necessario per la configurabilità di una sua responsabilità in ordine alla condotta
materialmente posta in essere dall’Aquilano, giudicato separatamente.
L’art. 606, comma 3, cod. proc. pen. prevede, infatti, espressamente come
causa speciale di inammissibilità la deduzione con il ricorso per cassazione di
questioni non prospettate nei motivi di appello: situazione, questa, con la quale
si è inteso evitare il rischio di un annullamento, in sede di legittimità, del

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studio dentistico di Senago fosse avvenuta a sua insaputa, non essendo stata

provvedimento impugnato in relazione ad un punto intenzionalmente sottratto
alla cognizione del giudice di appello.

3.2. Il secondo motivo del ricorso è stato presentato per fare valer ragioni
diverse da quelle consentite dalla legge.
La ricorrente solo formalmente ha indicato, come motivo della sua
impugnazione, il vizio della motivazione della decisione gravata, non avendo
prospettato alcuna reale contraddizione logica, intesa come implausibilità delle

manifesto ed insanabile contrasto tra quelle premesse e le conclusioni; né
essendo stata lamentata una incompleta descrizione degli elementi di prova
rilevanti per la decisione, intesa come incompletezza dei dati informativi
desumibili dalle carte del procedimento.
La ricorrente, invero, si è limitata a criticare il significato che la Corte di
appello di Milano aveva dato al contenuto delle emergenze acquisite durante
l’istruttoria dibattimentale di primo grado. E tuttavia, bisogna rilevare come il
ricorso, lungi dal proporre una reale lacuna della motivazione o un ‘travisamento
delle prove’, vale a dire una incompatibilità tra l’apparato motivazionale del
provvedimento impugnato ed il contenuto degli atti del procedimento, tale da
disarticolare la coerenza logica dell’intera motivazione, è stato presentato per
sostenere, in pratica, una ipotesi di ‘travisamento dei fatti’ oggetto di analisi,
sollecitando un’inammissibile rivalutazione dell’intero materiale d’indagine,
rispetto al quale è stata proposta dalla difesa una spiegazione alternativa alla
semantica privilegiata dalla Corte territoriale nell’ambito di un sistema
motivazionale logicamente completo ed esauriente.
Questa Corte, pertanto, non ha ragione di discostarsi dal consolidato principio
di diritto secondo il quale, a seguito delle modifiche dell’art. 606, comma 1, lett.
e), cod. proc. pen., ad opera dell’art. 8 della legge 20 febbraio 2006, n. 46,
mentre è consentito dedurre con il ricorso per cassazione il vizio di ‘travisamento
della prova’, che ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il
proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova
obiettivamente ed incontestabilmente diverso da quello reale, non è affatto
permesso dedurre il vizio del ‘travisamento del fatto’, stante la preclusione per il
giudice di legittimità a sovrapporre la propria valutazione delle risultanze
processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, e considerato che,
in tal caso, si domanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione
estranea al giudizio di legittimità, qual è quella di reinterpretazione degli
elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (così, tra le

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premesse dell’argomentazione, irrazionalità delle regole di inferenza, ovvero

tante, Sez. 3, n. 39729 del 18/06/2009, Belluccia, Rv. 244623; Sez. 5, n. 39048
del 25/09/2007, Casavola, Rv. 238215).
La motivazione contenuta nella sentenza impugnata possiede una stringente e
completa capacità persuasiva, nella quale non sono riconoscibili vizi di manifesta
illogicità, avendo la Corte lombarda analiticamente spiegato come la Precerutti medico dentista che dello studio de quo era stata nominata direttore sanitario
dall’Aquilano, mero odontotecnico ma amministratore della società di gestione
della relativa struttura sanitaria – fosse ben a conoscenza che l’Aquilano

quella di nuova apertura di Senago, esercizio abusivo delle professione medica
che era avvenuto proprio con la compiacenza della Precerutti; ed avendo
implicitamente confermato come quest’ultima, proprio per la sua veste di
direttore sanitario, avrebbe dovuto impedire il mancato rispetto del riparto di
competenze professionali tra i vari componenti dello studio, avendo così violato
quegli obblighi di attivazione della cui affermazione di esistenza
significativamente l’imputata, con l’atto di appello, non si era neppure doluta,
rendendo non necessario un particolare impegno argomentativo da parte della
Corte territoriale (v. pagg. 3-5 sent. impugn.).

4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art.
616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento in favore
dell’erario delle spese del presente procedimento e al pagamento in favore della
cassa delle ammende di una somma che si stima equo fissare nell’importo
indicato nel dispositivo che segue.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso il 31/10/2013

effettuava prestazioni dentistiche abusive già nella sede di Garbagnate e poi in

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