Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44600 del 23/07/2013


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Penale Sent. Sez. F Num. 44600 Anno 2013
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: SANTALUCIA GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GUGLIETTA GIUSEPPE N. IL 22/12/1964
avverso la sentenza n. 918/2012 CORTE APPELLO di ROMA, del
17/01/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 23/07/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIUSEPPE SANTALUCIA
Udito il Procuratore G nerale in p ona del pott.
che ha concluso per
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Udito, per la parte civile, l’Avv7
Udit i difensor Avv.

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Data Udienza: 23/07/2013

RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale di Latina dell’8
maggio 2008, nella parte relativa alla condanna di Giuseppe Guglietta per il reato di cui all’art.
337 c.p., per aver usato violenza nei confronti del m.11o Santoro e dell’app.to CC. Pommella,
violenza consistita nel dimenarsi sgomitando e gesticolando , al fine di impedire che i predetti
pubblici ufficiali, nell’esercizio delle loro funzioni, procedessero alla perquisizione nei suoi
confronti, in Aprilia il 25 gennaio 2006.
La Corte di appello ha innanzitutto rigettato l’eccezione di nullità della notifica del

dichiarato dall’imputato. L’agente postale, pertanto, legittimamente consegnò l’atto, nel
domicilio dichiarato, a persona qualificatasi come moglie convivente, che in tale qualità appose
la sottoscrizione sull’avviso di ricevimento della relativa raccomandata. Il fatto che l’imputato
fosse anagraficamente residente altrove e che fosse legalmente separato dalla moglie fin dal
2002 non è sufficiente a dimostrare che, all’atto della notifica, questa non fosse con lui
convivente. L’imputato avrebbe dovuto fornire una prova precisa e rigorosa dell’insussistenza
della situazione di convivenza, rappresentata invece dalla moglie.
La Corte di appello ha poi rigettato la richiesta di rinnovazione istruttoria, non avendo
l’imputato provato la riconducibilità della sua mancata comparizione a caso fortuito o forza
maggiore o alla mancata incolpevole conoscenza del decreto di citazione e apparendo
significativa la condizione stessa di contumacia protratta in secondo grado dell’intento
meramente dilatorio sotteso alla richiesta di rinnovazione, che peraltro non è stata valutata
assolutamente necessaria ai fini della decisione.
Nel merito della vicenda, la Corte di appello ha valutato la ricorrenza delle prove di
colpevolezza nelle dichiarazioni delle persone offese, Santoro e Pemmella, che ebbero a
confermare i fatti. Sì come descritti nel capo di imputazione, e cioè che l’imputato si era
dimenato sgomitando e gesticolando, al fine di impedire che i predetti procedessero alla
perquisizione.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso, per mezzo del difensore avv.to Stefano
Giorgio, Giuseppe Guglietta, deducendo:
– violazione di legge e difetto di motivazione. Il decreto di citazione a giudizio fu
notificato con consegna nelle mani di persona non convivente, neanche
temporaneamente, con il ricorrente. La sig.ra Emilia Di Sante, definita moglie
nell’avviso di ricevimento del plico raccomandato a\r, all’epoca della notificazione
non conviveva da ben cinque anni e mezzo con il ricorrente, da cui era ed è
legalmente separata. La motivazione con cui la Corte di appello ha rigettato
l’eccezione di nullità del decreto di citazione a giudizio è inadeguata e incongrua.
– Violazione di legge e difetto di motivazione in riferimento alla mancata rinnovazione
dell’istruzione dibattimentale. Una volta disposta la restituzione nel termine per la

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decreto di citazione a giudizio, ponendo in evidenza che la notifica fu fatta al domicilio

proposizione dell’appello, la Corte territoriale avrebbe dovuto disporre la
rinnovazione dell’istruzione dibattimentale.
Violazione di legge e difetto di motivazione. La Corte di appello ha fatto propri gli
apprezzamenti operati dal Tribunale ed ha pertanto confermato l’error in iudicando
da questi commesso per la parte in cui ha ritenuto la sussistenza dell’elemento
oggettivo della resistenza a pubblico ufficiale, in realtà del tutto carente. In
particolare, non ha considerato che le testimonianze degli operanti Santoro e
Pommella sono state assunte in violazione del divieto di domande suggestive. In

estrinsecatasi in una condotta di semplice, iniziale inottemperanza all’invito a
sottoposti a perquisizione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato, per le ragioni di seguito esposte.
In ordine al primo motivo si osserva che la Corte di appello ha opportunamente messo
in evidenza che la notificazione della citazione per il giudizio fu fatta al domicilio dichiarato dal
ricorrente, ove peraltro in precedenza era stato notificato con buon esito l’avviso di conclusione
delle indagini. L’agente postale procedette quindi legittimamente a consegnare copia dell’atto
alla persona, presente in quel domicilio, che si qualificò come convivente.
Del pari correttamente la Corte di appello ha rilevato che, trattandosi di domicilio
dichiarato, non può ora assumere rilievo che il ricorrente fosse anagraficamente residente
altrove, sì come non ha particolare significato che fosse legalmente separato dalla persona
che, ricevendo l’atto, si qualificò come moglie convivente.
Deve a tal proposito ricordarsi che «in materia di notificazione all’imputato non
detenuto, ai fini dell’applicazione dell’art. 157 cod. proc. pen., per familiari conviventi devono
intendersi non soltanto le persone che vivono stabilmente con il destinatario dell’atto e che
anagraficamente facciano parte della sua famiglia, ma anche quelle che, per altri motivi, si
trovino al momento della notificazione nella casa di abitazione del medesimo, purché le stesse,
per la qualifica declinata all’ufficiale giudiziario, rappresentino a quest’ultimo una situazione di
convivenza, sia pure di carattere meramente temporaneo, che legittima nell’agente notificatore
il ragionevole affidamento che l’atto perverrà all’interessato» – Sez. 4, n. 9499 del 5/2/2013
(dep. 27/2/2013), Petronelli, Rv. 254758 -.
E per quel che specificamente attiene al caso ora in esame, va soprattutto rammentato
il principio di diritto in forza del quale «nella notificazione col mezzo della posta di atti diretti
all’imputato, l’addetto alla consegna del plico non ha l’onere di verificare se la dichiarazione di
convivenza tra il soggetto cui la notifica è destinata e quello al quale è stata consegnata la
copia dell’atto corrisponda alla situazione reale, essendo sufficiente ed idonea, ai fini della
notifica, la dichiarazione resa dalla persona rinvenuta nel domicilio dell’interessato; d’altra
parte, la certificazione anagrafica, da cui risulti una diversa situazione, non può prevalere
sull’attestazione del pubblico ufficiale, in quanto ha un valore meramente indiziario della
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verità, dall’istruttoria dibattimentale è emersa soltanto una mera resistenza passiva,

residenza effettiva, potendo comunque verificarsi che il rapporto di convivenza dichiarato abbia
carattere temporaneo, tale da non essere incompatibile con una diversa residenza anagrafica»
– Sez. 5, n. 28617 del 15/6/2004 (dep. 28/6/2004), El Hadda, Rv. 229314 -.
Il secondo motivo è stato prospettato in modo generico ed è pertanto inammissibile.
Il ricorrente fu restituito nel termine per l’appello, con ordinanza della Corte territoriale
del 24 novembre 2011, e su questa premessa ha lamentato la mancata rinnovazione istruttoria
in appello, secondo il disposto di cui all’art. 603 comma 4 c.p.p. Non ha però indicato quali
prove intendesse assumere per mezzo della richiesta istruttoria. Si è limitato a censurare

ciò a tacer del fatto che la mancata conoscenza del decreto di citazione, prospettata dal
ricorrente, fu conseguente alla negligente omissione della comunicazione del mutamento del
domicilio dichiarato.
Si consideri a tal proposito quanto già statuito nella giurisprudenza di questa Corte, e
cioè che «l’ipotesi di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello disciplinata dall’art.
603 comma 4 cod. proc. pen. non esclude che il giudice debba effettuare le opportune
valutazioni, nel contraddittorio delle parti, in relazione alla rilevanza ed ammissibilità delle
prove richieste e, pertanto, presuppone una indicazione specifica da parte dell’imputato delle
prove che si vogliono assumere». – Sez. 7, n. 14052 del 10/1/2003 (dep. 27/3/2003), Saulle,
Rv. 223821 -.
Il terzo motivo, infine, è infondato. La Corte di appello ha dato logica ed adeguata
motivazione in punto di affermazione di responsabilità, esplicitando le ragioni per le quali ha
ritenuto che le dichiarazioni delle persone offese abbiano dato corpo ad un idoneo fondamento
probatorio (fl. 8 e 9); ha inoltre spiegato, con sufficienza di argomentazioni, le ragioni che
hanno indotto a ritenere non plausibile la lettura difensiva del complesso probatorio in termini
di una condotta di mera resistenza passiva (fl.
Il rilievo poi della suggestività delle domande formulate dal pubblico ministero in corso
di esame delle persone offese non ha pregio alcuno, non avendo peraltro il ricorrente addotto
l’avvenuta proposizione dell’opposizione ad opera della difesa tecnica. Si è già infatti statuito
che «in tema di prova testimoniale, l’eccezione circa la proposizione di domande suggestive
deve essere proposta al giudice innanzi al quale si forma la prova, essendo rimessa al giudice
dei successivi gradi di giudizio soltanto la valutazione in ordine alla motivazione del
provvedimento di accoglimento o di rigetto della eccezione stessa». – Sez. 3, n. 47084 del
23/10/2008 (dep. 19/12/2008), Perricone e altri, Rv. 242255 -. E ciò non senza considerare
che «la violazione del divieto di porre domande non pertinenti o suggestive, da un lato, non
determina l’inutilizzabilità della testimonianza, in quanto tale sanzione riguarda le prove vietate
dal codice di rito e non la regolarità dell’assunzione di quelle consentite, dall’altro, non è
sanzionata da nullità in virtù del principio di tassatività». – Sez. 3, n. 35910 del 25/6/2008
(dep. 19/9/2008), Ouertatani, Rv. 241090 -.
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l’omessa rinnovazione, ma non ha dato contenuto di concretezza e specificità alla doglianza, e

Il ricorso deve pertanto essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 23 luglio 2013.

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