Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44557 del 03/10/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 44557 Anno 2014
Presidente: CASUCCI GIULIANO
Relatore: DI MARZIO FABRIZIO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da Palma Claudio, nato il 22 aprile 1968; Mastrogiovanni
Giuliano, nato il 15 settembre 1266; Castaldo Luigi, nato il 22 agosto 1968,
avverso la sentenza della Corte di appello di Catania del 3 dicembre 2013.
Sentita la relazione della causa fatta dal consigliere Fabrizio Di Marzio; udite
le conclusioni del sostituto procuratore generale Elisabetta Cesqui
sull’inammissibilità dei ricorsi; udito il difensore della parte civile Platania
Giuseppa, Carmelo Calì, sull’inammissibilità dei ricorsi; udito il difensore degli
imputati Domenico Chianese, che ha chiesto accogliersi i ricorsi.
Ritenuto in fatto
Con la sentenza oggi impugnata la corte di appello di Catania, riqualificato il
fatto di reato, inizialmente contestato sensi dell’art. 640 cod. pen., ai sensi
dell’art. 646 cod. pen., ha confermato nel resto la sentenza del tribunale della
medesima città in data 23 ottobre 2011, di condanna degli odierni ricorrenti
per aver indebitamente trattenuto gioielli di proprietà della persona offesa da 1

Data Udienza: 03/10/2014

quest’ultima depositati al banco dei pegni. In particolare, i giudici di merito
hanno accertato che tra la persona offesa, debitrice degli odierni imputati, e
questi ultimi, era intercorso un accordo transattivo in esecuzione del quale la
persona offesa consegnò agli imputati delle polizze per svincolare i gioielli in
questione dietro l’accordo – concluso a voce (ma non trascritto nel documento
contrattuale) – poi non rispettato dagli imputati, della restituzione dei gioielli
per il valore eccedente al debito di euro 27.000 che con quest’operazione la

Palma Claudio, Mastrogiovanni Giuliano e Castaldo Luigi, presentano tre
separati ma identici ricorsi in proprio, contestando violazione di legge di
motivazione:
1.

per violazione del diritto di difesa a seguito della riqualificazione del
fatto da truffa ad appropriazione indebita. Si lamenta che in tal modo
sarebbe stato compresso il diritto di difesa degli imputati, sia con
riguardo alla prova di taluni elementi di fattispecie (quali la
sproporzione tra il valore dei beni oggetto di polizza e il debito della
persona offesa verso gli imputati, da cui emergerebbe l’oggetto della
appropriazione

indebita

medesima)

sia

con

riguardo alla

commisurazione della pena, stabilita dal primo giudice circa il più grave
delitto di truffa e semplicemente confermata in sede di appello
nonostante l’intervenuta riqualificazione del fatto secondo una
fattispecie di minore gravità;
2.

per insussistenza della prova dell’appropriazione indebita in parola,
non risultando dal contratto scritto tra le parti l’obbligo di restituzione
vantato dalla persona offesa e asseritamente concluso per via orale;

3.

per l’acritica adesione del giudice di merito alla versione dei fatti
narrata dalla parte offesa (costituitasi parte civile e perciò portatrice di
interessi

e rivendicazioni patrimoniali) e non riscontrate dal

documento contrattuale depositata in atti;
4.

per omessa motivazione circa la sussistenza dell’aggravante
dell’ingente danno patrimoniale;

5.

per omessa motivazione sulla questione, sollevata articolatamente
negli atti difensivi, della tardività della querela presentata dalla
persona offesa;

6.

per l’erroneità della motivazione confermativa dei danni civili;

7.

per l’erroneità e la mancanza di motivazione circa la dosimetria della
pena;

persona offesa pagava agli imputati.

8. per la mancata dichiarazione di estinzione del reato per intervenuta
prescrizione.
Nel ricorso del Palma si lamenta inoltre violazione di legge e vizio di
motivazione per omessa raccolta di una prova decisiva, e illegittima revoca di
tale prova già ammessa: nella specie, della testimonianza di Nanni Elio circa il
valore effettivo degli oggetti preziosi dedotti nelle polizze consegnate dalla
persona offesa gli imputati.

presentato nell’interesse di Mastrogiovanni Giuliano e Castaldo Luigi, in cui
pure si ribadisce la lamentela circa la mancata prova dell’ingiusto profitto
relativo alla transazione intercorsa tra la persona offesa e gli imputati; la
mancata prova circa l’effettivo contenuto di detto accordo (attesa anche la
inattendibilità della persona offesa le cui dichiarazioni si sono rivelate prive di
riscontri estrinseci); la violazione del diritto di difesa anche sensi dell’art. 6
CEDU giacché a seguito della mancata assunzione del teste Nani a discarico
degli imputati questi ultimi non sarebbero stati messi in condizione di
contraddire sui requisiti oggettivo e soggettivo richiesti dell’art. 646 cod. pen.
per la integrazione del delitto di appropriazione indebita
Considerato in diritto
I ricorsi sono infondati giacché il fatto non sussiste.
Nel quarto foglio della sentenza impugnata così la corte territoriale descrive la
fattispecie concreta dando credito al racconto della parte civile: al fine di
estinguere il debito che aveva verso gli imputati, quest’ultima giunse ad un
accordo in virtù del quale ella avrebbe ceduto e consegnato loro le polizze
necessarie per svincolare i gioielli detenuti presso il banco dei pegni; in
cambio le sarebbero stati restituiti alcuni assegni emessi ma rimasti privi di
copertura. A tal riguardo, fu sottoscritto (ed è depositato in atti) un contratto
redatto proprio in questi termini. Aggiunge tuttavia la parte civile che
l’accordo verbale intercorso con gli imputati comprendeva una ulteriore
clausola, che li obbligava a restituire alla parte civile una parte dei gioielli
riscattati: precisamente, non i gioielli acquistati dagli imputati bensì i gioielli di
famiglia depositati insieme agli altri al banco dei pegni. Puntualizza, inoltre, la
parte civile che tale clausola aggiuntiva non fu inserita nel contratto giacché le
parti si accordarono per effettuare questa integrazione in un secondo
momento. Invece, gli imputati si sottrassero sempre a questo incombente.
Da questa stessa narrazione, totalmente accreditata nella sentenza impugnata
nella ricostruzione della fattispecie concreta, qualificata dalla corte d’appello ai

Questo doglianza è invece ampiamente argomentata nell’ulteriore ricorso

sensi dell’art. 646 cod. pen., si evince che le parti giunsero alla sottoscrizione
di un accordo, a tal punto fonte di obbligazione tra le stesse, impegnandosi
ulteriormente ad integrarlo con una clausola che invece non fu mai aggiunta.
Cosicché, impregiudicata ogni ulteriore questione in tema di responsabilità
civile per il mancato adempimento di questo ulteriore impegno, fonte di
obbligazione tra le parti resta il contratto, validamente stipulato ed
esattamente eseguito dagli imputati ; nessun obbligo giuridico gravava, in

riferiti a polizze che la parte civile aveva trasferito, in esecuzione del contratto
in esame, agli imputati.
In particolare, non potrebbe sostenersi che i gioielli ritirati presso il banco dei
pegni in forza dei titoli rappresentativi lecitamente acquistati, fossero cosa
altrui, ossia beni appartenenti alla parte civile. Poiché l’appropriazione
indebita si verifica nel momento in cui il detentore attua la cosiddetta
interversione del possesso, che consiste nell’attuare sul bene di proprietà
altrui atti di disposizione uti dominus e, quindi, nell’intenzione di convertire il
possesso in proprietà, e poiché non potrebbe nel caso in esame sostenersi
che, concluso il contratto scritto, i beni dedotti nelle polizze cedute agli
imputati permanessero ancora nella proprietà della persona offesa (essendo
stati acquistati, per essere oggetto delle polizze in parola, in forza della regola
dell’art. 1376 cod. civ., nel patrimonio degli imputati), la fattispecie
appropriativa non si è storicamente realizzata.
Ne discende l’annullamento della sentenza impugnata senza rinvio perché il
fatto non sussiste.
PQM
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.

Così deliberato il 3.10.2014

capo agli stessi, in ordine alla restituzione di parte dei gioielli i quali erano

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