Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44554 del 25/05/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 44554 Anno 2015
Presidente: ZAZA CARLO
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Laquaglia Gianpietro, nato a Foggia il 23/07/1972

avverso la sentenza emessa il 17/01/2014 dalla Corte di appello di Bari

visti gli atti, la sentenza impugnata ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Eugenio Selvaggi, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito per il ricorrente l’Avv. Umberto Richiello, il quale ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso, e l’annullamento della sentenza impugnata

RITENUTO IN FATTO

Gianpietro Laquaglia ricorre personalmente avverso la pronuncia indicata in
epigrafe, recante la conferma della sentenza emessa nei suoi confronti, in data
14/02/2013, dal Gup del Tribunale di Bari; l’imputato risulta essere stato

Data Udienza: 25/05/2015

condannato a pena ritenuta di giustizia in ordine a reati (consumati ed in parte
tentati) ex artt. 81 cpv., 110 e 453 cod. pen., oltre a un addebito di ricettazione.
Il ricorrente lamenta che la Corte di appello avrebbe fondato la propria
decisione – in punto di determinazione del trattamento sanzionatorio sull’erroneo presupposto che gli fosse stata contestata la recidiva specifica,
reiterata ed infraquinquennale, quando invece lo stesso Laquaglia era gravato
soltanto da due precedenti per reati eterogenei, risalenti al 1991 ed al 1994. Ne
deriva un profilo di violazione dell’art. 99 cod. pen., ed un correlato vizio di
motivazione, visto che nella sentenza impugnata si dà per obbligatoria
l’applicazione della recidiva qualificata sopra descritta (in realtà insussistente),
con divieto ex lege di un’eventuale prevalenza delle circostanze attenuanti
generiche.
Gli stessi argomenti vengono ribaditi in un atto contenente motivi nuovi di
ricorso, depositato dal difensore di ufficio del Laquaglia; nello scritto difensivo si
rappresenta che l’erronea valutazione dei precedenti penali dell’imputato rileva
quale ipotesi di travisamento del fatto, sindacabile ex art. 606, comma 1, lett. e)
del codice di rito.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non può trovare accoglimento.
Dal certificato penale del Laquaglia, risulta che egli aveva riportato
condanna:

nel 1993, per danneggiamento (reato commesso nel 1991), alla pena di
mesi 1 di reclusione, con il beneficio della sospensione condizionale;

nel 1994, per rissa (reato commesso in quello stesso anno), alla pena di
lire 300.000 di multa;

nel 2001, per una contravvenzione ex art. 650 cod. pen.
Esclusa la rilevanza dell’ultima pronuncia, data la natura del reato ivi

contestato, appare comunque corretta la dicitura riportata in rubrica, secondo cui
l’imputato doveva intendersi gravato da recidiva “reiterata”. E’ invece frutto di
errore l’attribuzione al prevenuto, come parrebbe leggersi nella motivazione della
sentenza della Corte di appello, di una più grave recidiva (oltre che reiterata,
anche specifica ed infraquinquennale), tale da precludere un giudizio di
prevalenza delle pur concesse attenuanti generiche; tuttavia, ai fini della
conferma della pena irrogata dal Gup, i giudici di secondo grado non si limitano a
prendere atto del presunto – ed inapplicabile al caso di specie – divieto
normativo, ma precisano comunque che il fatto ascritto al Laquaglia era stato

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%

realizzato con modalità allarmanti, indicative di «non comune disinvoltura e
professionalità» e tali da manifestare, anche alla luce dei precedenti
dell’imputato, una maggiore pericolosità della condotta criminosa.
Valutazione, questa, congruamente espressa con riferimento alle peculiarità
del caso di specie, in cui il Laquaglia si assumeva avere concorso – quale
“ideatore ed organizzatore” – in un’attività di contraffazione e detenzione di
banconote aventi corso legale nello Stato, per un valore apparente di poco meno
di 130.000,00 euro. Deve peraltro ricordarsi come le Sezioni Unite di questa
Corte abbiano puntualizzato che le statuizioni relative al giudizio di comparazione
tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del
giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di
mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente
motivazione, tale dovendo ritenersi quella che – per giustificare la soluzione
dell’equivalenza – si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare
l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. U, 25/02/2010 n. 10713,
Contaldo, Rv 245931).

2. Il rigetto del ricorso comporta la condanna del Laquaglia al pagamento
delle spese del presente giudizio di legittimità.

P. Q. M.
Rigetta il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 25/05/2015.

g

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