Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44553 del 25/05/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 44553 Anno 2015
Presidente: ZAZA CARLO
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di
Vidori Vincenzo, nato a Belluno il 27/12/1956

avverso la sentenza emessa il 22/05/2014 dalla Corte di appello di Torino

visti gli atti, la sentenza impugnata ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Eugenio Selvaggi, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito per il ricorrente l’Avv. Guido Fracchia, il quale ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso, e l’annullamento della sentenza impugnata

RITENUTO IN FATTO

1. Con la pronuncia indicata in epigrafe, la Corte di appello di Torino
riformava parzialmente la sentenza emessa dal Gup del Tribunale di Tortona, in
data 03/07/2009, nei confronti di Vincenzo Vidori, il quale era stato condannato

Data Udienza: 25/05/2015

a pena ritenuta di giustizia in ordine ad ipotesi di bancarotta fraudolenta per
distrazione e bancarotta semplice, che si assumevano commesse nell’ambito
della gestione della Agrim s.r.I., società dichiarata fallita nel gennaio 2004, e
della quale l’imputato era stato amministratore unico. La Corte territoriale
dichiarava l’estinzione del meno grave reato di cui agli artt. 217 e 224 legge fall.,
per intervenuta prescrizione, rigettando nel resto l’appello proposto nell’interesse
dell’imputato.
L’addebito di bancarotta patrimoniale, secondo la rubrica, riguardava la
distrazione della somma di lire 162.729.746 corrispondente a costi di pubblicità,

per la sponsorizzazione da parte della Agrim di auto riferibili alla Castello Corse
s.r.l. ed alla Autoren Sport s.r.I., in realtà mai sostenuti; ad avviso della Corte di
appello, la condotta era stata realizzata nella forma dell’esposizione di passività
inesistenti, ma – sul presupposto che non vi fosse stata sostanziale immutazione
– veniva rigettata un’eccezione difensiva fondata sul difetto di correlazione tra il
fatto contestato e quello ritenuto in sentenza.

2. Propone ricorso per cassazione, articolato in tre motivi, il difensore del
Vidori.
2.1 Con il primo, la difesa lamenta inosservanza dell’art. 521 cod. proc.
pen., osservando che «la condotta di distrazione implica che l’imputato abbia
estromesso un bene dal patrimonio e lo abbia destinato ad uno scopo differente
rispetto a quello doveroso», mentre «l’esposizione di passività inesistenti si
concreta in una tipologia di falso ideologico, consistente nella predisposizione di
atti o dichiarazioni volti a indurre in errore gli organi fallimentari sull’esistenza di
voci passive inesistenti; le consistenze patrimoniali pertanto rimangono nel
patrimonio dell’impresa, senza transitare altrove».
Nel capo d’imputazione, secondo il ricorrente, non si rinviene la descrizione
di un fatto di esposizione fraudolenta di passività inesistenti, e la Corte
territoriale non avrebbe neppure motivato le ragioni della ritenuta infondatezza
dell’eccezione proposta.
2.2 Nell’interesse del Vidori si deduce altresì mancanza, contraddittorietà e
manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata in ordine al
giudizio di responsabilità penale del ricorrente: giudizio che sarebbe stato
confermato con osservazioni contenute in una ventina di righe, senza
pronunciarsi sulle ragioni esposte nei motivi di appello al fine di dimostrare
l’effettività delle sponsorizzazioni ritenute fittizie. Fra l’altro, la Corte torinese
non avrebbe formulato rilievi sulla doglianza della difesa secondo cui, avendo il
giudice di primo grado posto l’accento sulla mancanza di un riscontro
documentale ai presunti contratti sottesi alle sponsorizzazioni

de quibus, era
,

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necessario prendere atto che le società beneficiarie erano a loro volta
riconducibili all’imputato: non era dunque necessario che, in caso di
inadempimento, una delle parti invocasse la forma scritta dell’accordo.
2.3 Con il terzo motivo, il difensore dell’imputato censura la sentenza in
epigrafe per inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 216, comma primo, n.
1, legge fall.
Nel ricorso, oltre a ribadire il problema dell’anzidetta riqualificazione giuridica
anche ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., si lamenta che l’esposizione

arrecare danno ai creditori, onde sottrarre agli stessi la necessaria garanzia
patrimoniale: elemento non rinvenibile nella fattispecie concreta, visto che la
società risultava fallita per una somma particolarmente modesta ed a causa della
momentanea impossibilità del ricorrente di occuparsi degli affari sociali (perché
impegnato ad affrontare gravi problemi familiari).

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non può trovare accoglimento.
Indubbiamente, ed in linea di principio generale, una condotta di distrazione
deve intendersi eterogenea rispetto ad una esposizione di passività inesistenti;
laddove la diminuzione patrimoniale non trovi causa nella fisiologica attività
imprenditoriale, infatti, già una risalente giurisprudenza afferma che «in tema di
bancarotta fraudolenta, per distrazione, nel senso voluto dal legislatore all’art.
216, n. 1, legge fall., deve intendersi qualunque fatto diverso dall’occultamento,
dissimulazione, distruzione, dissipazione di beni e dalla fraudolenta esposizione
di passività inesistenti, mediante il quale l’imprenditore faccia coscientemente
uscire dal proprio patrimonio più beni al fine di impedirne l’apprensione da parte
degli organi del fallimento» (Cass., Sez. V, n. 8755 del 23/03/1988, Fabbri, Rv
179047).
Altrettanto innegabile è che «per la sussistenza del delitto di bancarotta
fraudolenta mediante esposizione o riconoscimento di passività insussistenti, di
cui all’art. 216, comma primo, n. 1 legge fall. è richiesta la presenza del dolo
specifico, rappresentato dallo scopo di recare pregiudizio ai creditori» (Cass.,
Sez. V, n. 45431 del 26/10/2004, Di Trapani, Rv 230353); nelle ipotesi di
distrazione, occultamento, dissimulazione, distruzione e dissipazione di beni è
invece sufficiente il dolo generico (v., per una efficace distinzione delle diverse
forme di dolo anche con riguardo alle fattispecie di bancarotta documentale, ed a

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fraudolenta di passività dovrebbe richiedere la sussistenza del dolo specifico di

riprova di un giammai discusso orientamento interpretativo, Cass., Sez. V, n.
6148 del 19/12/1986, Bevilacqua, Rv 175959).
Tuttavia, deve rilevarsi che nella vicenda oggi sub judice la Corte territoriale
ha impropriamente ritenuto ravvisabile una «intenzionale esposizione
fraudolenta di passività inesistenti»: il fatto per cui era intervenuta la
declaratoria di penale responsabilità del Vidori, con riguardo al capo A) della
rubrica, era infatti descritto in termini di bancarotta per distrazione, e così era
stato ritenuto dal giudice di primo grado, senza che potesse riscontrarsi alcun

Nella sentenza del Gup, in vero, si legge che «secondo l’ipotesi accusatoria
[…], la società non aveva mai sostenuto i costi per la pubblicità indicati nelle
fatture rinvenute e, in effetti, si ritiene che il reato contestato sia stato integrato,
dal momento che le somme di cui alle fatture sopraindicate furono versate a
società facenti capo a Vidori, senza che l’attività di sponsorizzazione fosse mai
stata svolta, come dimostrano sia l’omesso rinvenimento dei relativi contratti,
che necessariamente, trattandosi di importi considerevoli, dovevano essere
predisposti, sia dalla mancanza di qualsiasi indicazione relativa al pagamento
delle fatture». La condotta di rilievo penale, in definitiva, fu quella del
versamento delle somme ad altre società riferibili all’imputato, versamento che
avvenne sine titulo perché fu mascherato attraverso l’indicazione di contratti di
sponsorizzazione, ma che pur sempre ebbe la consistenza di una distrazione di
risorse, di cui il Vidori fu comunque il beneficiario finale proprio in quanto
dominus (anche) delle presunte società sponsorizzate.
Del tutto inconsistente, peraltro, si rivela l’osservazione difensiva secondo la
quale la riferibilità all’imputato di tutte le società coinvolte giustificava l’adozione
di una piena libertà di forme: il rilievo non può comunque valere a superare il
dato, pacificamente accertato dalla polizia giudiziaria e riportato nella sentenza
di primo grado, che «nelle fotografie scattate nel periodo 1993/2001 presso le
corse automobilistiche disputate nelle province di Alessandria, Pavia, Genova e
Piacenza, sulle autovetture non compariva nessuna scritta pubblicitaria recante il
marchio Agrim s.r.I.».
Nelle scritture contabili della società fallita venne solo dato atto
dell’esistenza di una ragione giustificativa di quelle uscite, operazione che
tuttavia non incise in alcun modo sulla effettività delle uscite medesime,
costituendone semmai un artificio conseguente: la distinzione concettuale può
agevolmente ricavarsi da un ulteriore precedente della giurisprudenza di questa
Corte, dove si precisa che «in tema di reati fallimentari, l’esposizione fraudolenta
di passività di cui all’art. 216, comma primo, n. 1, seconda parte, legge fall., e
l’esposizione di costi fittizi dissimulante la diversa destinazione data alle

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profilo di difetto di correlazione ex art. 521 del codice di rito.

corrispondenti attività non si risolvono nella falsificazione idonea ad integrare
l’ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale, ex art. 216, comma primo, n. 2,
legge fall. né l’ipotesi di falso in bilancio, a norma degli articoli 223, comma
secondo, n. 1, legge fall. e 2621-2622 cod. civ.; al contrario, ciascuna di queste
ultime previsioni può concorrere sia con la bancarotta patrimoniale costituita
dall’esposizione di passività inesistenti sia con la bancarotta patrimoniale
costituita da attività distrattive mascherate attraverso l’esposizione di costi

2. Il rigetto del ricorso comporta la condanna del Vidori al pagamento delle
spese del presente giudizio di legittimità.

P. Q. M.
Rigetta il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 25/05/2015.

inesistenti» (Cass., Sez. V, n. 29336 del 20/04/2007, Di Salvo, Rv 237255).

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