Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44546 del 16/04/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 44546 Anno 2015
Presidente: FUMO MAURIZIO
Relatore: PEZZULLO ROSA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LO IACONO SALVATORE N. IL 07/05/1949
avverso la sentenza n. 2542/2013 CORTE APPELLO di PALERMO,
del 24/02/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 16/04/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ROSA PEZZULLO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 16/04/2015

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale, Dott. Oscar Cedrangolo, che ha concluso per l’inammissibilità
del ricorso;
udito, per il ricorrente, l’avvocato Giuseppe Buscaino, che si è riportato
ai motivi di ricorso, insistendo per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza emessa in data 24.2.2014 la Corte d’Appello di Palermo
riduceva la pena inflitta dal Tribunale di Trapani con sentenza del
2.11.2012 a Lo Iacono Salvatore a mesi quattro di reclusione, con le

al reato (capo A) di cui agli artt. 81 cpv. e 612, secondo comma, c.p.
perché, dopo aver chiesto a Cusenza Armando, gestore dell’omonimo bar,
la somministrazione di bevande alcooliche, al diniego dello stesso,
motivato dallo stato di manifesta ubriachezza del richiedente, lo
minacciava di un ingiusto, grave danno, proferendo al suo indirizzo frasi
dei tipo: «Stai attento a quello che fai! Ricordati che sono figlio di un
mafioso, potrai pagana amaramente!», nonché al reato (capo B) di cui
agli artt. 81 cpv. e 610 c.p., anche in relazione all’art. 339 c.p., perché,
con minaccia consistita nel rivolgersi a Pizzimenti Natale, gestore del bar
La Sirenetta, con le parole: «Per venti anni ho fatto il macellaio: se non
mi dai da bere, ti taglio a pezzii! Ti spacco il culo!», nell’invitarlo al di fuori
del locale per percuoterlo e nel prospettargli che gli avrebbe spaccato una
bottiglia in testa se non fosse stato servito, con minaccia simbolica
consistita nell’esibire a Como Antonio, gestore del bar Europa, sito in
Piazza Marinella, n. 8, documentazione intestata a Carabinieri, Polizia di
Stato e Tribunali in modo da lasciare intendere di essere un pregiudicato,
e con minaccia consistita nel rivolgersi ad Aiuto Pietro, gestore dei bar
denominato Blue Marine, con le parole:

«Qui comando io! Non

rompetemi i coglioni! Se non mi date da mangiare e bere, vi brucio
tutto!»,

li costringeva a somministrargli bevande alcoliche ed altre

consumazioni, allorché si presentava in manifesto stato di ebbrezza, con
la recidiva reiterata specifica infraquinquennale ex art. 99, quarto comma,
c.p.p..
2. Avverso tale sentenza l’imputato a mezzo del difensore di fiducia ha
proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, lamentando:
-con il primo motivo, il vizio di cui all’art. 606, primo comma, lett. b)
c.p.p., per violazione degli artt. 1 e 69 c.p., atteso che, tale ultima
norma, disciplinando il concorso di circostanze eterogenee, stabilisce che,
in caso di giudizio di equivalenza fra circostanze aggravanti e attenuanti,
1

attenuanti generiche equivalenti all’aggravante e alla recidiva, in relazione

il giudice debba applicare la pena che sarebbe inflitta se non concorresse
alcuna di dette circostanze, sicchè nel caso di specie, concesse le
circostanze attenuanti generiche e ritenute le stesse equivalenti alle
contestate aggravanti, i giudici d’appello avrebbero dovuto applicare
in continuazione, ai sensi dell’art. 81 c.p., la sola pena pecuniaria prevista
dall’art. 612 c.p., nell’ipotesi non aggravata di cui al comma primo del
predetto articolo, piuttosto che aumentare di un mese la pena detentiva
applicata per il reato base più grave ) individuato in quello contemplato dal
capo b) della rubrica;

c.p.p., per violazione dell’ art. 81 c.p. e del principio del favor rei, atteso
che la norma in questione è diretta espressione del principio del favor rei,
essendo volta a contenere la pena tutte le volte in cui l’imputato, in
esecuzione di un medesimo disegno criminoso, con più azioni od omissioni
(frutto però di unitaria deliberazione) violi norme diverse del codice
penale – ovvero, si renda responsabile della reiterata trasgressione della
medesima norma, sicchè corollario di tale principio è la necessità di
scindere il reato continuato tutte le volte in cui l’applicazione della
disciplina si risolvesse in un sostanziale pregiudizio per l’imputato; la
necessità di scindere il reato continuato ai fini dell’individuazione dei
singoli reati, in relazione ai quali il giudice abbia inteso concedere le
circostanze attenuanti generiche, gli impone di indicare in modo espresso
le imputazioni in riferimento alle quali tali attenuanti sono state
riconosciute e qualora tale obbligo non venga assolto, la concessione deve
intendersi riferita a tutti i reati contestati, sia per la mancanza di
un’indicazione specifica in senso contrario, sia per la natura di tali
circostanze, basate su considerazioni attinenti alla personalità
dell’imputato e, quindi, riferibili a tutti i fatti addebitategli – tanto per il
principio del favor rei/che deve ritenersi applicabile non solo nel giudizio di
responsabilità – ma in ogni valutazione riguardante l’imputato stesso ; le
considerazioni espresse dalla Corte d’Appello 4ella motivazione della
sentenza rivelano la inequivoca volontà dei giudicanti di concedere le
attenuanti ex art. 62 bis c.p. ad entrambe le fattispecie di reato
contestate al Lo Iacono.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Entrambi i motivi di ricorso sono manifestamente infondati, non
meritando censure il ragionamento della Corte territoriale in ordine alla
quantificazione della pena nei confronti di Lo Iacono Salvatore.

2

-con il secondo motivo, il vizio di cui all’art. 606, primo comma, lett. b)

Ed infatti, i giudici d’appello hanno fatto corretta applicazione dei
principi più volte affermati da questa Corte, secondo cui, ai fini del
trattamento sanzionatorio del reato continuato occorre applicare la sola
/
pena, dello stesso genere e della stessa specie, di quella del reato più
grave, con il limite di cui all’art. 81 comma secondo, cod. pen., secondo
cui la pena per la violazione più grave non deve superare l’aumento del
triplo oltre il quale la stessa diverrebbe illegale. Sicchè deve ritenersi del
tutto legittimo l’aumento con la pena della reclusione, a titolo di
continuazione, anche quando il reato satellite risulti punito solo con la

3.

La

giurisprudenza

di

legittimità

a

partire

da

Sez. U, n. 6300 del 26/05/1984, ha evidenziato come la continuazione,
quale istituto di carattere generale, è applicabile in ogni caso in cui più
reati siano stati commessi in esecuzione del medesimo disegno criminoso,
anche quando si tratti di reati appartenenti a diverse categorie e puniti
con pene eterogenee o di specie diversa. Invero, il testo dell’art. 81 cod.
pen. consente la compatibilità del concorso di reati eterogenei nella
continuazione e la punibilità di ciascuno dei reati satelliti con un aumento
della stessa sanzione applicabile per il reato di maggior gravità: il
principio di legalità della pena, cui il giudice deve attenersi in tal caso, è
quello stesso fissato dal disposto del primo comma del medesimo art. 81
cod. pen.,

con la sola limitazione prescritta dall’ultimo comma del

predetto articolo. Nell’ipotesi in questione il giudice deve individuare il
trattamento sanzionatorio per la violazione più grave ed aumentarlo per
effetto della continuazione, restando in tale aumento sostituite le pene,
anche di specie diversa, originariamente previste per i reati meno gravi
(Sez. 3, n. 5645 del 22/04/1985 e Sez. 5, n. 9186 del 08/05/1986).
4. Nel caso di continuazione eterogenea ex art. 81 cod. pen., per
consentire la massima estensione applicativa della norma, la pena
complessiva va determinata operando un aumento quantitativo della pena
fissata per il reato più grave, talché le pene che conseguono ai reati
concorrenti si convertono in aumento della pena base, anche se di specie
diversa rispetto a quella comminata per ciascun reato concorrente.
Tale criterio non contrasta, ne’ con il principio di legalità della pena- in
quanto pena legale è anche la pena unica progressiva applicabile, ai sensi
della predetta disposizione di legge e non soltanto quella comminata dalle
singole fattispecie penali- ne’ con il principio di favore che ispira l’istituto
della continuazione, il quale, invece, si concretizza nel cumulo giuridico
delle pene, il cui risultato quantificatorio finale non deve mai superare

3

pena della multa.

quello raggiungibile tramite il sistema del cumulo materiale, secondo la
norma di sbarramento di cui all’ultimo comma del predetto art. 81 cod.
pen. (Sez. 1, n. 7700 del 03/12/1987, rv. 178763).
5. Nel caso di specie, dunque è immune da vizi la determinazione della
pena effettuata dalla Corte territoriale, alla stregua dei predetti principi,
in base alla quale la pena base di mesi tre di reclusione, per il reato più
grave di cui al capo b), va aumentata ai sensi dell’art. 81 c.p. con il reato
di minaccia, di un mese di reclusione, atteso che, pur essendo tale ultimo

la pena della multa, ciononostante occorre guardare, comunque, alla pena
del reato più grave, non comportando l’aumento di essa, come detto, la
violazione del principio di favore che ispira l’istituto della continuazione, il
quale, invece, si concretizza nel cumulo giuridico delle pene.
6. Alla declaratoria di inammissibilità segue, per legge, la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, al versamento,
a favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e
congruo determinare in Euro 1000,00.
p.q.m.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della
Cassa delle Ammende.

reato satellite, per effetto della concessione delle attenuanti, punibile con

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