Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44497 del 17/10/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 44497 Anno 2013
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
De Rosa Carlo n. il 20.10.1965
nei confronti di:
Ministero dell’Economia e delle Finanze
avverso l’ordinanza n. 40/2011 pronunciata dalla Corte d’appello di
Roma il 6.10.2011;
sentita nella camera di consiglio del 17.10.2013 la relazione fatta dal
Cons. dott. Marco Dell’Utri;
lette le conclusioni del Procuratore Generale, in persona della
dott.ssa M. G. Fodaroni, che ha richiesto il rigetto del ricorso.

Data Udienza: 17/10/2013

Ritenuto in fatto
i. – Con decisione resa in data 6/10.10.2011, la Corte d’appello
di Roma ha rigettato l’istanza di riparazione avanzata da Carlo De
Rosa per l’asserita ingiusta detenzione dallo stesso subita dal
3.5.2001 al 10.1.2002 (in regime di arresti domiciliari dal 23.6.2001),
in relazione alle imputazioni di cui agli artt. 73 e 79 d.p.r. n. 309/90
(detenzione a fini di spaccio e spaccio di sostanza stupefacente e adibizione di locali a luogo di abituale convegno per il relativo consumo), da cui il ricorrente era stato prosciolto nel merito.
Avverso tale decisione ha interposto ricorso per cassazione il
difensore del De Rosa, dolendosi che il provvedimento impugnato
avesse erroneamente riconosciuto la colpa grave dell’istante nel dar
causa (o concorrere a dar causa) alla detenzione cautelare allo stesso
imposta, per il solo fatto di aver provveduto (nell’esclusivo esercizio
delle relative mansioni lavorative) alla pulizia dei locali dove il proprio datore di lavoro era solito consumare sostanze stupefacenti unitamente ad altri soggetti, in tal modo attribuendo improprie valenze
colpose al lecito esercizio della propria attività lavorativa.
Sulla base di tali argomentazioni, il ricorrente ha invocato
l’annullamento della decisione impugnata, con l’eventuale adozione
delle statuizioni consequenziali.
Hanno depositato memoria il procuratore generale presso la
corte di cassazione e il Ministero dell’Economia e delle Finanze, concludendo per il rigetto del ricorso.
Considerato in diritto
2. – Il ricorso è infondato.
Con il ricorso proposto in questa sede, il De Rosa censura il
provvedimento impugnato per aver qualificato, come condizione
ostativa all’invocata riparazione, la mera esecuzione della propria attività lavorativa, trascurando di considerare come la corte territoriale
abbia adeguatamente specificato il sicuro (siccome comprovato) ricorso, nella specie, della circostanza costituita dalla piena consapevolezza, da parte del De Rosa, dello svolgimento dell’attività di cessione
e di consumo di sostanza stupefacente all’interno del locale in cui lo
stesso si trovava a eseguire le proprie mansioni di pulitore, come
comprovato dal contenuto delle videoriprese effettuate all’interno di
tale locale (cfr. fl. 3 dell’ordinanza impugnata): consapevolezza che,

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giudicata penalmente irrilevante, deve ritenersi equiparabile a un’ipotesi di connivenza non punibile, per la mera passività del ruolo tenuto dal soggetto in esame, rispetto allo svolgimento dell’attività criminosa avvenuta al suo cospetto.
Ciò premesso, è appena il caso di evidenziare, come, secondo il
costante insegnamento di questa corte di legittimità, la connivenza
non punibile costituisce causa ostativa al riconoscimento della riparazione per l’ingiusta detenzione subita, qualora il comportamento
del connivente, di cui sia stata provata la conoscenza dell’attività illecita commessa al suo cospetto (Cass., Sez. 4, n. 6878/2011, Rv.
252725; Cass., Sez. 4, n. 42039/2006, Rv. 235397), abbia in qualche
misura rafforzato la volontà degli autori del reato (Cass., Sez. 4, n.
42039/2006, Rv. 235397; Cass., Sez. 4, n. 8993/2003, Rv. 223688),
pur senza concorrere nello stesso (anche quando il connivente non
abbia perseguito tale obiettivo con il suo comportamento: v. Cass,
Sez. 4, n. 2659/2008, Rv. 242538), o comunque agevolato (Cass.,
Sez. 4, n. 40297/2008, Rv. 241325), non impedito o tollerato che lo
stesso reato si consumasse (Cass., Sez. 4, n. 16369/2003, Rv.
224773), in tal modo assumendo atteggiamenti ambigui e ragionevolmente interpretabili ex ante come espressioni di partecipazione o
di concorso alla commissione del reato, così dando causa, per propria
esclusiva colpa grave, all’adozione dei provvedimenti restrittivi della
libertà personale dell’indagato.
In particolare, in tema di equa riparazione per ingiusta detenzione, costituisce causa impeditiva al riconoscimento del diritto alla
riparazione l’avere l’interessato dato causa all’istaurazione della custodia cautelare per colpa grave, consistita nell’aver tenuto comportamenti improntati a macroscopica leggerezza e imprudenza, idonei
ad essere interpretati, nella fase iniziale delle indagini, non come
semplice connivenza, ma come concorso nel reato (Cass., Sez. 4, n.
37567/2004, Rv. 229142).
Nel caso di specie, in modo del tutto ragionevole e sulla base di
una motivazione dotata di logica coerenza e consequenzialità argomentativa, la corte territoriale ha ravvisato la colpa grave del ricorrente nell’aver accettato il rischio del proprio coinvolgimento nel
quadro dell’attività criminosa consumata al suo cospetto nella piena
consapevolezza della stessa e altresì svolgendo attività dirette a far
sparire le tracce del reato da altri commesso, dando causa, in forza

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3. — Le considerazioni che precedono, nel giustificare il riscontro dell’integrale infondatezza dei motivi di doglianza avanzati dal ricorrente, impongono la pronuncia del rigetto del ricorso, sussistendo
peraltro giustificativi motivi, in ragione dell’obiettiva equivocità degli
elementi di fatto sottoposti alla valutazione del giudice, per l’integrale
compensazione tra le parti delle spese del giudizio.
Per questi motivi
la Corte Suprema di Cassazione, rigetta il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Compensa le spese tra le parti.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 17.10.2013.

del proprio comportamento macroscopicamente imprudente,
all’adozione, nei propri confronti, della misura restrittiva della libertà
personale qui contestata.

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