Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44493 del 15/10/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 44493 Anno 2013
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: MARINELLI FELICETTA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PELLEGRINO GIUSEPPE N. IL 15/12/1946
avverso l’ordinanza n. 51/2009 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
26/10/2010
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FELICETTA
MARINELLI;
lettdseatite-le conclusioni del PG EgiEtt. c,efL
c(24-~’
co-14,3″4

Data Udienza: 15/10/2013

La Corte di Appello di Napoli, con ordinanza resa
all’udienza camerale del giorno 26.10.2010 rigettava
l’istanza di riparazione presentata da Pellegrino
Giuseppe per ingiusta detenzione in regime di
custodia in carcere dal 13/03/06 al 17/03/06 perché
4y40015(gato dei reati di cui agli articoli 416, 110,81
cpv,64n,commi I e II c.p. e 110,81 cpv,61 n.2,480
c.p..
Al Pellegrino era stato contestato di avere, quale
medico convenzionato della Asl Bn l, con la
formazione di ricette false, indotto in errore la Asl
di appartenenza, ricavandone un profitto.
Il procedimento in questione si era poi concluso con
decreto di archiviazione in data 18.07.2008.
Pellegrino Giuseppe,a mezzo del suo difensore,
proponeva quindi ricorso per cassazione avverso
l’ordinanza della Corte di appello di Napoli,
presentava altresì memoria ex art.611 c.p.p. e
concludeva chiedendone l’annullamento.
Il ricorrente censurava l’ordinanza impugnata per
violazione ed erronea applicazione degli articoli 314
e 315 cod.proc.pen. e per manifesta illogicità della
motivazione i
ex art. 606 comma l lett. e)
cod.proc.pen., in particolare nella parte in cui la
Corte di appello rimproverava in termini di colpa
condotte insuscettibili di essere riguardate alla
stregua di macroscopica negligenza e trascuratezza.
Pertanto, ad avviso del ricorrente, non sussisterebbe
la colpa grave, impeditiva del riconoscimento del
diritto all’equa riparazione.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze a mezzo
dell’Avvocatura Generale dello Stato presentava
tempestiva memoria e concludeva chiedendo di voler
dichiarare inammissibile il proposto ricorso ovvero
di rigettarlo.

Considerato in diritto

Il ricorso è infondato.
Osserva la Corte che il diritto a equa riparazione
per l’ingiusta detenzione, regolato dagli artt. 314
e ss. c.p.p., trova fondamento nella condizione
soggettiva della persona sottoposta a detenzione
immeritata e in tal senso ingiusta. Il quadro
sistematico di riferimento è un quadro di diritto
civile ma non è quello dell’art. 2043 c.c. che
appresta sanzioni contro chi produce per dolo o colpa

Ritenuto in fatto

un danno ingiusto ad altri. Il principio regolatore è
piuttosto quello della riparazione legata ad eventi
che producono il sorgere, quali conseguenze di
principi di solidarietà e di giustizia distributiva,
di responsabilità da atto lecito ( la distinzione
tra responsabilità per danno ingiusto ex art. 2043
c.c. e responsabilità per atto lecito è ben chiarita
da Cass. SS.UU. civ. 11/6/2003 n. 9341). E’ ben
fermo, in materia, l’assetto delle regole
generalissime che disciplinano l’onere della prova
civile ex art. 2697 c.c. posto che il procedimento
relativo alla riparazione per l’ingiusta detenzione,
quantunque si riferisca ad un rapporto
obbligatorio
comporti
di diritto pubblico
e
perciò
il rafforzamento dei poteri officiosi del
giudice,
e’
tuttavia ispirato ai principi del
processo civile, con la conseguenza che l’istante
ha l’onere di provare i fatti costitutivi
della
domanda, la custodia cautelare subita e la
successiva assoluzione ( Corte Cass. Sez. 4 sent. n.
23630 02/04/2004 – 20/05/2004 ). Peraltro il
sorgere del diritto è condizionato alla esistenza di
una condotta del richiedente che al tempo del
processo in nulla abbia dato causa o concorso a dare
causa a quella ingiusta detenzione. L’operazione
intesa a cogliere tali condizioni deve scandagliare
solo l’eventuale efficienza causale delle condotte
dell’imputato che possano aver indotto, anche nel
concorso dell’altrui errore, secondo una valutazione
ragionevole e non congetturale
il giudice a
stabilire la misura della detenzione
(Cass. SSUU
13/12/95 n. 43, Sez IV 10/3/2000 n. 1705) .
Il giudice,pertanto, deve fondare la sua decisione su
fatti concreti e precisi e non su mere supposizioni,
esaminando la condotta del richiedente, sia prima e
sia dopo la perdita della libertà personale,
indipendentemente dall’eventuale conoscenza che
quest’ultimo abbia avuto dell’attività di indagine,
al fine di stabilire, con valutazione ex ante, non se
tale condotta integri estremi di reato, ma solo se
sia stato il presupposto che ha ingenerato, ancorchè
in presenza di errore dell’autorità procedente, la
falsa apparenza della sua configurazione come
illecito penale, dando luogo alla detenzione con
rapporto di causa ad effetto (cfr. Cass. Sezioni
Unite, Sent. n.34559/2002; Cass., Sez.4, Sent.
n.17552 del 2009)
Tanto premesso si osserva che la Corte di Appello di
Napoli, con motivazione adeguata, ha enucleato,con
congrua verifica degli accertati elementi di
riferimento, la condotta del richiedente ostativa
all’accoglimento dell’istanza di equa riparazione. In

E3

o

E

primo luogo ha posto in rilievo che dagli atti del
processo emergeva che l’istante, nel Corso
dell’interrogatorio reso al G.I.P.,aveva accusato
dell’accaduto il coimputato Aurino Giuseppe,
rappresentante di medicinali, sostenendo che questi
gli aveva confessato di aver sottratto dal suo studio
alcuni ricettari e che egli non aveva denunciato il
furto per timore che l’Aurino negasse quanto aveva in
precedenza confessato. I giudici della Corte
territoriale hanno poi rilevato che però dagli atti
del processo emergeva che il Pellegrino intratteneva
intensi rapporti con il coimputato, che le
prescrizioni incriminate risultavano emesse a nome di
pazienti del Pellegrino e questi ultimi avevano
mostrato la loro sorpresa per l’accaduto. L’ordinanza
impugnata aveva quindi concluso che dagli atti era
emerso che il ricorrente aveva consentito che un
estraneo si impossessasse agevolmente di ricettari a
lui affidati e del suo timbro, che costui venisse a
conoscenza dei dati personali concernenti i pazienti
da lui assistiti ed aveva consentito così che il
coimputato formasse le false ricette a danno della
Asl competente. Il Pellegrino poi, venuto a
conoscenza dell’accaduto, non aveva denunciato il
furto di ricette subìto, fornendo una spiegazione che
era apparsa inverosimile.
Sulla base di tali elementi la Corte territoriale
aveva pertanto ritenuto che il Pellegrino aveva
tenuto una condotta dolosa o gravemente colposa in
quanto intratteneva intensi rapporti con il
coimputato, come attestato dalle intercettazioni
telefoniche, aveva colpevolmente consentito che
costui si impossessasse del suo timbro, delle ricette
a lui affidate e dei dati dei suoi pazienti e aveva
omesso di denunciare il furto subìto quando era
venuto a conoscenza dell’accaduto.
Questo essendo il quadro accusatorio, il motivo
proposto dall’odierno ricorrente non può essere
accolto.
Il
il
provvedimento
impugnato,
che
definisce
procedimento
dell’ingiusta
per
la
riparazione
detenzione,
supera quindi il vaglio di questa Corte
che è limitato alla correttezza del procedimento
logico giuridico con cui il Giudice è pervenuto ad
accertare o negare i presupposti per l’ottenimento
del beneficio indicato. Resta invece nelle esclusive
attribuzioni del giudice di merito, che è tenuto a
motivare
suo
adeguatamente
e
logicamente
il
convincimento, la valutazione sull’esistenza e la
gravità della colpa e sull’esistenza del dolo.
Il
legislatore
non
ha
infatti
riconosciuto
incondizionatamente il diritto all’equa riparazione,

4

m

(3-

PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali oltre alla
rifusione delle spese in favore del Ministero
ricorrente che liquida in euro 750,00.
Così deciso in Roma il 15.10.2013

il
ma
l’ha esplicitamente escluso allorquando
comportamento dell’indagato, come appunto nella
fattispecie de qua, abbia indotto in errore il
giudice circa l’esistenza dei gravi indizi di
colpevolezza a suo carico.
Il ricorso deve essere pertanto rigettato e il
ricorrente deve essere condannato al pagamento delle
spese processuali e alla rifusione delle spese di
questo giudizio in favore del Ministero resistente
che si liquidano in complessivi euro 750,00.

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