Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44489 del 15/10/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 44489 Anno 2013
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: MARINELLI FELICETTA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GRANDEARACRI NICOLINO N. IL 20/01/1959
avverso l’ordinanza n. 24/2011 CORTE APPELLO di BOLOGNA, del
21/07/2011
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FELICETTA
MARINELLI;
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le conclusioni del PGISzsa . c2-€_. ti 42,

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Data Udienza: 15/10/2013

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La Corte di Appello di Bologna, con ordinanza resa
all’udienza camerale del giorno 21.07.2011 rigettava
l’istanza di riparazione presentata da Grandi Aracri
Nicolino per ingiusta detenzione in regime di
custodia in carcere dal 19/12/96 al 10/01/97 e dal
22.01.97 al 3.08.97 e poi in regime di arresti
domiciliari dal 4.08.97 all’1.01.98, data in cui
veniva scarcerato per decorrenza dei termini, perché
sospettato dei reati di cui all’art.74 d.PR. 309/90.
Il procedimento in questione si era poi concluso con
decreto di archiviazione del G.I.P. del Tribunale di
Bologna in data 17.11.2008.
Grandi Aracri Nicolino,a mezzo del suo difensore,
proponeva quindi ricorso per cassazione avverso
l’ordinanza della Corte di appello di Bologna e
concludeva chiedendone l’annullamento.
Il ricorrente censurava l’ordinanza impugnata per
violazione ed erronea applicazione degli articoli 314
e 315 cod.proc.pen. e per manifesta illogicità della
motivazione ex art. 606 comma 1 lett. e)
cod.proc.pen., in particolare nella parte in cui la
Corte di appello rimproverava in termini di colpa
grave condotte insuscettibili di essere riguardate
alla stregua di macroscopica negligenza e
trascuratezza. Pertanto, ad avviso del ricorrente,
non sussisterebbe la colpa grave, impeditiva del
riconoscimento del diritto all’equa riparazione.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze a mezzo
dell’Avvocatura Generale dello Stato presentava
tempestiva memoria e concludeva chiedendo di voler
dichiarare inammissibile il proposto ricorso ovvero
di rigettarlo.

Considerato in diritto

Il ricorso è infondato.
Osserva la Corte che il diritto a equa riparazione
per l’ingiusta detenzione, regolato dagli artt. 314
e ss. c.p.p., trova fondamento nella condizione
soggettiva della persona sottoposta a detenzione
immeritata e in tal senso ingiusta. Il quadro
sistematico di riferimento è un quadro di diritto
civile ma non è quello dell’art. 2043 c.c. che
appresta sanzioni contro chi produce per dolo o colpa
un danno ingiusto ad altri. Il principio regolatore è
piuttosto quello della riparazione legata ad eventi

Ritenuto in fatto

3
(

che producono il sorgere, quali conseguenze di
principi di solidarietà e di giustizia distributiva,
di responsabilità da atto lecito ( la distinzione
tra responsabilità per danno ingiusto ex art. 2043
c.c. e responsabilità per atto lecito è ben chiarita
da Cass. SS.UU. civ. 11/6/2003 n. 9341). E’ ben
fermo, in materia, l’assetto delle regole
generalissime che disciplinano l’onere della prova
civile ex art. 2697 c.c. posto che il procedimento
relativo alla riparazione per l’ingiusta detenzione,
quantunque si riferisca ad un rapporto
comporti
e
di diritto pubblico
obbligatorio
il rafforzamento dei poteri officiosi del
perciò
tuttavia ispirato ai principi del
giudice,
e’
processo civile, con la conseguenza che l’istante
della
ha l’onere di provare i fatti costitutivi
domanda, la custodia cautelare subita e la
successiva assoluzione ( Corte Cass. Sez. 4 sent. n.
23630 02/04/2004 – 20/05/2004 ). Peraltro il
sorgere del diritto è condizionato alla esistenza di
una condotta del richiedente che al tempo del
processo in nulla abbia dato causa o concorso a dare
causa a quella ingiusta detenzione. L’operazione
intesa a cogliere tali condizioni deve scandagliare
solo l’eventuale efficienza causale delle condotte
dell’imputato che possano aver indotto, anche nel
concorso dell’altrui errore, secondo una valutazione
il giudice a
ragionevole e non congetturale
(Cass. SSUU
stabilire la misura della detenzione
13/12/95 n. 43, Sez IV 10/3/2000 n. 1705) .
Il giudice,pertanto, deve fondare la sua decisione su
fatti concreti e precisi e non su mere supposizioni,
esaminando la condotta del richiedente, sia prima e
sia dopo la perdita della libertà personale,
indipendentemente dall’eventuale conoscenza che
quest’ultimo abbia avuto dell’attività di indagine,
al fine di stabilire, con valutazione ex ante, non se
tale condotta integri estremi di reato, ma solo se
sia stato il presupposto che ha ingenerato, ancorchè
in presenza di errore dell’autorità procedente, la
falsa apparenza della sua configurazione come
illecito penale, dando luogo alla detenzione con
rapporto di causa ad effetto (cfr. Cass. Sezioni
Unite, Sent. n.34559/2002; Cass., Sez.4, Sent.
n.17552 del 2009)
Tanto premesso si osserva che la Corte di Appello di
Bologna, con motivazione adeguata, ha enucleato,con
congrua verifica degli accertati elementi di
riferimento, la condotta del richiedente ostativa
all’accoglimento dell’istanza di equa riparazione. In
primo luogo ha posto in rilievo il fatto che il
procedimento penale a carico del ricorrente ha avuto

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inizio a seguito delle indagini espletate in ordine
alle attività delittuose esercitate nell’ambito di
una associazione a delinquere finalizzata allo
spaccio di sostanze stupefacenti. Il materiale
probatorio a carico del ricorrente era costituito da
alcune conversazioni intercettate dalle quali
emergeva che costui aveva avuto numerosi contatti
telefonici con coimputati, tutti avvenuti in
relazione al commercio di sostanze stupefacenti. Il
provvedimento di archiviazione del 17.11.2008 aveva
posto in evidenza che dalle risultanze processuali
era emerso “un collegamento tra costoro (Grandi
Aracri ed altri) verosimilmente funzionale
all’approvvigionamento e alla cessione di
stupefacenti, ma nulla era stato acquisito quanto
alle connotazioni che lo rendono rilevante ai fini
del reato di cui all’art.74 d.PR.309/90; i rapporti
degli indagati non legittimano un quadro che possa
esorbitare dalla configurazione di un concorso nelle
attività già incriminate”. La valutazione di
insufficienza probatoria era stata quindi ritenuta
dal G.I.P. in relazione all’ipotesi associativa,
reato stralciato rispetto agli altri delitti ascritti
agli imputati. La Corte territoriale rilevava poi che
a carico del ricorrente vi erano intercettazioni
ambientali nel corso delle quali si parlava di
cocaina e droga e veniva utilizzato da parte degli
interlocutori un linguaggio criptico, che sembrava
finalizzato alla trattazione di affari illeciti.
Dall’esame delle c2nversazioni intercettate emergeva
quindi che il GrandIVIà impegnato in attività legate
ad affari illeciti e che lo stesso aveva avuto
contatti continui con soggetti coimputati. Le
indagini eseguite avevano posto in evidenza lo
stretto collegamento del ricorrente con soggetti
coinvolti in traffici illeciti e tali contatti
certamente oltrepassavano i normali rapporti
giustificabili con rapporti amicali, si prestavano ad
essere interpretati come indizi di complicità e
denotavano una condotta gravemente colposa in grado
di incidere sull’emissione e sul mantenimento della
misura emessa. Nel corso degli interrogatori inoltre
il ricorrente aveva omesso di fornire un chiarimento
in ordine alle condotte a lui ascritte, omettendo di
fornire alle autorità competenti gli elementi idonei
a giustificare i sospetti a suo carico costituiti
dalla utilizzazione di un linguaggio ermetico nel
corso delle conversazioni telefoniche e dai contatti
assidui e costanti con i coimputati. Ha ritenuto
pertanto la Corte territoriale che Grandi Aracri,
tenendo una condotta gravemente colposa costituita
dall’avere intrattenuto continui contatti telefonici

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PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali oltre alla
rifusione delle spese in favore del Ministero
resistente che liquida in complessivi euro 750,00
oltre accessori come per legge.

Il Presidente
Brusco
Carlo Giu < Ad°. COR rE SUPREMA DI CASSAZIONE IV Sezione Penale con soggetti coinvolti in gravi fenomeni di spaccio di stupefacenti e nell'avere utilizzato in tali conversazioni termini criptici da cui appariva l'intraneità del ricorrente in traffici illeciti, aveva mantenuto un comportamento che avvalorava le accuse mosse nei suoi confronti e aveva contribuito a determinare le condizioni per l'adozione ed il mantenimento del provvedimento restrittivo. Questo essendo il quadro accusatorio, il motivo proposto dall'odierno ricorrente non può essere accolto. il impugnato, che definisce Il provvedimento la riparazione dell'ingiusta procedimento per detenzione, supera quindi il vaglio di questa Corte che è limitato alla correttezza del procedimento logico giuridico con cui il Giudice è pervenuto ad accertare o negare i presupposti per l'ottenimento del beneficio indicato. Resta invece nelle esclusive attribuzioni del giudice di merito, che è tenuto a il suo adeguatamente e logicamente motivare convincimento, la valutazione sull'esistenza e la gravità della colpa e sull'esistenza del dolo. infatti riconosciuto non ha Il legislatore incondizionatamente il diritto all'equa riparazione, ma l'ha esplicitamente escluso allorquando il come appunto nella comportamento dell'indagato, fattispecie de qua, abbia indotto in errore il giudice circa l'esistenza dei gravi indizi di colpevolezza a suo carico. Il ricorso deve essere pertanto rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese di questo giudizio in favore del Ministero resistente che si liquidano in complessivi euro 750,00.

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