Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44486 del 17/10/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 44486 Anno 2013
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Cuticchia Salvatore n. il 14.5.1961
avverso la sentenza n. 445/2009 pronunciata dalla Corte d’appello di
Messina il 25.11.2011;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita nell’udienza pubblica del 17.10.2013 la relazione fatta dal Cons.
dott. Marco Dell’Utri;
udito il Procuratore Generale, in persona del dott. V. Geraci, che ha
concluso per il rigetto del ricorso.

Data Udienza: 17/10/2013

Ritenuto in fatto
i. – Con sentenza resa in data 25.11.2011, la Corte d’appello
di Messina ha integralmente confermato la sentenza in data
24.6.2008 con la quale il Tribunale di Messina ha condannato Salvatore Cuticchia alla pena di un anno e un mese di reclusione ed
euro 400,00 di multa, in relazione al reato di false dichiarazioni
relative alle condizioni di reddito riguardanti l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato di cui all’art. 95 del d.p.r. n. 115/2002.
Fatto commesso il 9.9.2004 in Messina.
Avverso la sentenza d’appello, ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato sulla base di cinque motivi
d’impugnazione.

Con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza
impugnata per mancata assunzione di una prova decisiva, tale essendo la testimonianza della coniuge dell’imputato, la cui omessa
audizione ha impedito l’acquisizione al processo di circostanze
probatorie essenziali in ordine alla ricostruzione dell’effettiva entità del reddito familiare dell’imputato.
2.1. –

Con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza appellata per vizio di motivazione, essendosi la corte territoriale
limitata a richiamare il contenuto della decisione del giudice di
primo grado sulla base di argomentazioni ‘asettiche’, solo apparenti e gravemente insufficienti ai fini del riscontro della responsabilità penale dell’imputato.
2.2. –

– Con il terzo motivo, il ricorrente censura la sentenza
impugnata per violazione di legge, avendo la corte d’appello omesso di fornire alcuna spiegazione circa la ritenuta sussistenza
dell’elemento psicologico del dolo di reato, a fronte della condotta
in piena buona fede nella specie tenuta dall’imputato.
2.3.

– Con il quarto motivo, il ricorrente si duole della mancata concessione della sospensione condizionale della pena in favore dell’imputato, dalla corte territoriale esclusa sulla base di una
motivazione solo apparente e superficiale.
2.4.

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Considerato in diritto
3. — Osserva preliminarmente la Corte che il reato per il
quale l’imputato è stato tratto a giudizio è prescritto, trattandosi di
fatto commesso alla data del 9.9.2004, in relazione al quale trova
applicazione (quanto al regime della prescrizione) la disciplina
successivamente intervenuta con la legge n. 251/2005, siccome più
favorevole all’imputato, ai sensi degli artt. 2 c.p. e lo I. n. 251 cit.
(come inciso dalla sentenza della Corte Costituzionale n.
393/2006); con la conseguenza che il termine di prescrizione per il
reato de quo deve ritenersi stabilito in sette anni e sei mesi, maggiorato del solo periodo di sospensione della prescrizione – pari a 7
mesi e 2 giorni – maturato nel corso del giudizio di primo grado a
causa dell’adesione del difensore dell’imputato all’astensione dalle
udienze proclamata in sede sindacale.
Al riguardo, rilevato che il ricorso proposto non appare manifestamente infondato, né risulta affetto da profili
d’inammissibilità di altra natura, occorre sottolineare, in conformità all’insegnamento ripetutamente impartito da questa Corte,
come, in presenza di una causa estintiva del reato, l’obbligo del
giudice di pronunciare l’assoluzione dell’imputato per motivi attinenti al merito si riscontri nel solo caso in cui gli elementi rilevatori dell’insussistenza del fatto, ovvero della sua non attribuibilità
penale all’imputato, emergano in modo incontrovertibile, tanto
che la relativa valutazione, da parte del giudice, sia assimilabile più
al compimento di una ‘constatazione’, che a un atto di ‘apprezzamento’ e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (v. Cass., n. 35490/2009, Rv.
244274).
E invero, il concetto di ‘evidenza’, richiesto dal secondo
comma dell’art. 129 c.p.p., presuppone la manifestazione di una
verità processuale così chiara e obiettiva, da rendere superflua
ogni dimostrazione, concretizzandosi così in qualcosa di più di
quanto la legge richiede per l’assoluzione ampia, oltre la correla-

2.5. — Da ultimo, il ricorrente rileva l’avvenuta estinzione
del reato contestato al Cuticchia in forza dell’intervenuta prescrizione.

zione a un accertamento immediato (cfr. Cass., n. 31463/2004, Rv.
229275).
Da ciò discende che, una volta sopraggiunta la prescrizione
del reato, al fine di pervenire al proscioglimento nel merito
dell’imputato occorre applicare il principio di diritto secondo cui
‘positivamente’ deve emergere dagli atti processuali, senza necessità di ulteriore accertamento, l’estraneità dell’imputato a quanto
allo stesso contestato, e ciò nel senso che si evidenzi l’assoluta assenza della prova di colpevolezza di quello, ovvero la prova positiva della sua innocenza, non rilevando l’eventuale mera contraddittorietà o insufficienza della prova che richiede il compimento di un
apprezzamento ponderato tra opposte risultanze (v. Cass., n.
26008/2007, Rv. 237263).
Tanto deve ritenersi non riscontrabile nel caso di specie, in
cui questa Corte – anche tenendo conto degli elementi evidenziati
nelle motivazioni delle sentenze di merito – non ravvisa alcuna delle ipotesi sussumibili nel quadro delle previsioni di cui al secondo
comma dell’art. 129 c.p.p..
Ne discende che, ai sensi del richiamato art. 129 c.p.p., la
sentenza impugnata va annullata senza rinvio per essere il reato
contestato all’imputato estinto per prescrizione.
Per questi motivi
la Corte Suprema di Cassazione, annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del
17.10.2013.

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