Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44482 del 15/10/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 44482 Anno 2013
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Pizio Giuseppe n. il 16.5.1939
avverso la sentenza n. 2529/2011 pronunciata dalla Corte d’appello di
Brescia il 25.9.2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita nell’udienza pubblica del 15.10.2013 la relazione fatta dal Cons.
dott. Marco Dell’Utri;
udito il Procuratore Generale, in persona del doti. C. Stabile, che ha
concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore, avv.to T. Cortesi, del foro di Bergamo, che ha
concluso per l’accoglimento del ricorso.

Data Udienza: 15/10/2013

Ritenuto in fatto
i. – Con sentenza resa in data 11.11.2010, il tribunale di Bergamo, sezione distaccata di Treviglio, ha condannato Giuseppe Pizio
alla pena di un anno e due mesi di reclusione, oltre al risarcimento
del danno in favore delle parti civili costituite, in relazione al reato di
lesioni colpose aggravate commesso, in violazione delle norme per la
prevenzione degli infortuni sul lavoro, ai danni di Fausto Pellegrini,
in Casirate d’Adda, il 24.4.2008.
All’imputato (nella qualità di legale rappresentante della Pizio
s.p.a. e datore di lavoro del Pellegrini) era stata contestata la violazione, oltre ai tradizionali parametri della colpa generica, delle norme
di colpa specifica specificamente indicate nel capo d’imputazione;
violazioni, per effetto delle quali si era verificato l’incidente sul lavoro
ai danni del lavoratore richiamato, il quale, impegnato nelle opere di
manutenzione straordinaria di uni.cancello
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carraio, era stato travolto
dal crollo di un’anta di detto cannTor/P(raocalbtò al lavoratore gravi
lesioni da schiacciamento.
In particolare al Pizio era stato contestato di aver omesso di
adottare le misure di prevenzione e di protezione idonee a consentire
l’esecuzione dei ridetti lavori di manutenzione in piena sicurezza.
Con sentenza in data 25.9.2012, la corte d’appello di Brescia,
concesse al Pizio le circostanze attenuanti generiche, ha disposto la
riduzione della pena inflitta all’imputato determinandola nella misura di otto mesi di reclusione, con la revoca delle statuizioni civili,
stante l’intervenuta corrispondente revoca della costituzione di parte
civile.
Avverso la sentenza d’appello, a mezzo del proprio difensore,
ha proposto ricorso per cassazione l’imputato sulla base di sette motivi di impugnazione.
Con i primi due motivi di ricorso, il Pizio censura la sentenza impugnata per vizio di motivazione e violazione della legge sostanziale e processuale, in relazione al difetto di correlazione tra accusa e sentenza, avendo la corte d’appello confermato la condanna
dell’imputato con riferimento a un fatto del tutto diverso da quello
indicato nel capo d’imputazione, atteso che, mentre nella formulazione di quest’ultimo al Pizio era stata contestata la violazione della
norma di colpa specifica di cui all’art. 375 d.p.r. n. 547/55 (riguardan2.1. –

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te l’esecuzione dei lavori di manutenzione), i giudici del merito avevano viceversa condannato l’imputato per la violazione delle norme
di colpa specifica concernenti l’omessa informazione del lavoratore
circa i rischi specifici dell’attività (art. 21 d.lgs. 626/94, ora art. 31
d.lgs. n.81/2008) o la diversa regola di cui all’art. 7 d.lgs. n. 626/94.
Con il terzo e il quarto motivo, il ricorrente censura la
sentenza impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione con
riguardo alla ricostruzione della posizione di garanzia in capo
all’imputato e, complessivamente, in relazione al ruolo dallo stesso
rivestito all’interno della società Pizio s.p.a.
In particolare, l’imputato si duole che la corte d’appello abbia
omesso di riconoscere come il Pizio avesse conferito una valida delega in materia antinfortunistica ad altro soggetto, tale Albergoni, avuto riguardo alla complessità della struttura organizzativa della Pizio
s.p.a. e alla circostanza che lo stesso Albergoni (soggetto a sua volta
già debitamente formato e addetto da ben otto anni al servizio di prevenzione e protezione della Pizio s.p.a., nonché responsabile nominato per l’esecuzione dei lavori nell’ambito del contratto-quadro tra la
Pizio s.p.a. e la Snam Rete Gas s.p.a., in cui si inseriva il cantiere in
cui ebbe a verificarsi l’infortunio de quo) avesse personalmente provveduto (oltre che a comandare il Pellegrini per l’assistenza) alla scelta
della ditta appaltatrice per l’esecuzione dei lavori in esame.
Sulla base di tali premesse, la corte d’appello avrebbe dovuto
riconoscere come il Pizio non fosse l’effettivo destinatario degli obblighi pretesamente violati, tenuto conto che era stato proprio
l’Albergoni il soggetto a ordinare al lavoratore l’esecuzione delle attività di assistenza per la manutenzione del cancello de quo, in attuazione di una posizione di preminenza rispetto agli altri lavoratori
espressamente riconosciuta dallo stesso Albergoni e, successivamente, emersa nel corso dell’istruttoria dibattimentale, in forza delle prove di natura testimoniale e documentale complessivamente acquisite.
2.3. — Con il quinto motivo, il ricorrente censura la sentenza
impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione, avendo la
corte territoriale negato l’applicabilità, al caso di specie, della norma
di cui all’art. 30 d.lgs. n. 81/2008 relativa al distacco del lavoratore al
di fuori dell’organizzazione aziendale, con il conseguente relativo as-

2.2. –

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2.4. — Con il sesto e il settimo motivo, il ricorrente censura la
sentenza impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione in
relazione alla ricostruzione del nesso di causalità tra l’ipotetica omissione contestata all’imputato e l’evento lesivo verificatosi, non avendo
la corte territoriale rilevato come l’evento de quo si sarebbe in ogni
caso verificato per effetto dell’abnorme comportamento del lavoratore infortunato e degli altri soggetti impegnati nella medesima lavorazione, con la conseguenza che nessuna prova era stata fornita in ordine alla circostanza secondo cui il compimento dell’azione doverosa
omessa, da parte dell’imputato, avrebbe impedito la verificazione
dell’evento in termini di elevata probabilità, tenuto conto che il lavoratore infortunato era stato debitamente informato delle modalità di
compimento delle mansioni concretamente esercitate nell’occasione
in esame, e dei rischi a quelle immediatamente connessi.
Considerato in diritto
3.1. – I primi due motivi di ricorso — congiuntamente esaminabili in ragione dell’intima connessione delle questioni dedotte – sono
infondati.
Sul punto, converrà rimarcare, nel solco del consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità come, nel verificare la
mancata corrispondenza tra accusa contestata e fatto ritenuto in sentenza, occorra riferirsi all’operatività di criteri non formali o meccanicistici, valendo al riguardo la decisività del principio che impone
(nel caso in cui sia accertato lo scostamento indicato) il riscontro
dell’avvenuto rispetto dei diritti della difesa, nel senso che l’imputato
abbia avuto, in concreto, la possibilità di difendersi da ogni profilo
dell’addebito; e tanto, a prescindere dalla differente configurazione
formale, in termini commissivi od omissivi, della condotta contestata
(cfr. Cass., Sez. 4, n. 41674/2004, Rv. 229893; Cass., Sez. 4, n.
7026/2002, Rv. 223747).
Tale evenienza, in particolare, ricorre in tutti casi in cui
dell’addebito si sia concretamente trattato nelle varie fasi del processo, ovvero in quelli nei quali sia stato lo stesso imputato a evidenziare

soggettamento al potere direttivo, di controllo e disciplinare di altro
soggetto; e tanto, sulla base di una motivazione contraddittoria ed
erronea.

il fatto diverso quale elemento a sua discolpa (v. Cass., Sez. 5, n.
23288/2010, Rv. 247761; Cass., Sez. 6, n. 20118/2010, Rv. 247330;
Cass., Sez. 2, 11. 11082/2000, Rv. 217222; CaSS., Sez. 2, 11. 5329/2000,
Rv. 215903).
In breve, il principio di correlazione tra fatto contestato e fatto
ritenuto in sentenza, di cui all’art. 521 c.p.p., finalizzato alla salvaguardia del diritto di difesa, non è violato qualora la sentenza puntualizzi l’imputazione enunciata formalmente nell’atto di esercizio dell’azione penale con le integrazioni risultanti dagli interrogatori e dagli
altri atti in base ai quali è stato reso in concreto possibile all’imputato
di avere piena consapevolezza del thema decidendum, così da potersi
difendere in ordine a un determinato fatto, inteso come episodio della vita umana (v. Cass., Sez. 6, n. 9213/1996, Rv. 206208).
Ai fini della valutazione di detta correlazione, occorrerà dunque tener conto, non solo del fatto descritto in imputazione, ma anche di tutte le ulteriori risultanze probatorie portate a conoscenza
dell’imputato che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione, sicché questi abbia avuto modo di esercitare le sue difese sul materiale probatorio posto a fondamento della decisione (v. Cass., Sez.
3, n. 15655/2008, Rv. 239866).
Naturalmente, non deve trattarsi di un fatto completamente
diverso ed eterogeneo con immutazione dell’imputazione nei suoi
elementi essenziali (v. Cass., Sez. 1, 11. 6302/1999, Rv. 213459; Cass.,
Sez. 6, n. 2642/1999, Rv. 212803), dovendo ritenersi sussistente la
violazione de qua solamente quando nei fatti – rispettivamente descritti e ritenuti – non sia possibile individuare un nucleo comune,
con la conseguenza che essi si pongono, tra loro, non in rapporto di
continenza, bensì di eterogeneità (Cass., Sez. 6, n. 81/2008, Rv.
242368).
Nel caso di specie, del tutto correttamente la corte territoriale
ha rilevato la mancata violazione del principio di corrispondenza tra
accusa e sentenza, avendo osservato la corrispondenza del nucleo essenziale dell’imputazione colposa contestata al Pizio (consistente nella contestata violazione di norme antinfortunistiche a monte del decorso causale che ebbe a condurre all’evento lesivo de quo) con la
condotta omissiva accertata in capo all’imputato.
Sulla base di tali premesse deve ritenersi come il rimprovero
concernente la mancata adozione di tutte le possibili cautele indi-

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spensabili al fine di scongiurare la verificazione di eventi lesivi a carico del lavoratore infortunato, costituisse una circostanza largamente
conosciuto dall’imputato e dalla sua difesa, così com’era evidente la
sua rilevanza nel generale contesto della linea accusatoria, sì da non
potersi ravvisare alcuna sostanziale lesione del relativo diritto di difesa.
La corretta individuazione, da parte del giudice d’appello, degli elementi essenziali dell’imputazione e il riscontro della relativa
corrispondenza, tanto nell’atto d’accusa, quanto nella sentenza di
condanna pronunciata a carico dell’imputato, così come il riscontro
dell’effettiva acquisita conoscenza in sede dibattimentale, da parte
dell’imputato, di tutti i fatti e gli elementi di prova utilizzati ai fini
della decisione, valgono a lasciar ritenere pienamente rispettato, nel
caso di specie, il principio di correlazione tra accusa e sentenza di cui
all’art. 521 c.p.p. (e in ogni caso l’assenza di alcuna lesione dei relativi
diritti di difesa), con la definitiva attestazione della radicale infondatezza dei motivi d’impugnazione sul punto sollevati dall’odierno ricorrente.
3.2. – Il terzo e il quarto motivo di ricorso sono infondati.
Sul punto, l’imputato tematizza la questione relativa alla trasferibilità della posizione di garanzia del datore di lavoro in ordine
alla sicurezza sui luoghi di lavoro mediante delega ad altro preposto
alla sicurezza sui luoghi di lavoro.
Sul punto, il consolidato insegnamento della giurisprudenza di
legittimità sottolinea come, al fine di ritenere compiuto il richiamato
trasferimento della posizione di garanzia del datore di lavoro, è necessario che al soggetto preposto a tal fine sia assicurata la disponibilità di tutti gli strumenti di autonomia operativa, gestionale e finanziaria indispensabili al fine di garantire l’adozione di tutte le misure
precauzionali funzionali alla tutela piena e integrale della vita e
dell’incolumità dei lavoratori occupati nell’azienda, e che il trasferimento attuato mediante la delega valga a individuare in modo preciso
e determinato gli specifici poteri attribuiti al delegato, a sua volta da
individuare, soggettivamente, in persone dotate della necessaria
competenza a darvi attuazione.
Al riguardo, questa corte ha già avuto modo di evidenziare
come in materia di violazione della normativa antinfortunistica, gli

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obblighi di cui è titolare il datore di lavoro ben possono essere trasferiti ad altri sulla base di una delega, purché espressa, inequivoca e
certa (Cass., Sez. 4, n. 8604/2008, Rv. 238970; Cass., Sez. 4, n.
12800/2007, Rv. 236196; Cass., Sez. 4, n. 9343/2000, Rv. 216727);
tale delega, inoltre, là dove rilasciata a soggetto privo di una particolare competenza in materia antinfortunistica e non accompagnata
dalla dotazione del medesimo di mezzi finanziari idonei a consentirgli di fare fronte in piena autonomia alle esigenze di prevenzione degli infortuni, non è sufficiente a sollevare il datore di lavoro dai propri
obblighi in materia e a liberarlo dalla responsabilità per l’infortunio conseguito alla mancata predisposizione dei necessari presidi di
sicurezza (cfr. Cass., Sez. 4, n. 7709/2007, Rv. 238526; Cass., Sez. 4,
n. 38425/2006, Rv. 235184).
In particolare, in ipotesi di delega di funzioni spettanti
al datore di lavoro, è necessario verificare in concreto che
il delegato abbia effettivi poteri di decisione e di spesa in ordine alla
messa in sicurezza dell’ambiente di lavoro, indipendentemente dal
contenuto formale della nomina (Cass., Sez. 4, n. 47136/2007, Rv.
238350).
Nel caso di specie, la corte territoriale ha sottolineato come,
all’esito dell’istruttoria dibattimentale, non fosse risultato il rilascio,
da parte dell’imputato, di alcuna particolare delega nei confronti
dell’Albergoni in materia antinfortunistica, non potendo essa desumersi implicitamente dal semplice fatto che, secondo l’organigramma
aziendale, l’Albergoni fosse una sorta di preposto capocantiere incaricato di seguire per conto della società l’esecuzione dei lavori di cui
al contratto stipulato tra la Pizio s.p.a. e la Snam Rete Gas s.p.a.
(comprendente anche il cantiere ove ebbe a verificarsi l’infortunio in
esame).
Tale preposizione, ad avviso della corte d’appello, doveva ritenersi conseguentemente tale da non prevedere alcuno specifico trasferimento di poteri e responsabilità in tema di sicurezza suscettibile
di escludere la posizione di garanzia del datore di lavoro: trasferimento di poteri certamente non surrogabile dalla generica possibilità,
attribuita all’Albergoni, di scegliere autonomamente la ditta appaltatrice per l’esecuzione dei lavori in esame in assenza di altri indici idonei ad attestare l’esistenza di un’ampia autonomia decisionale e di
spesa in materie antinfortunistica in capo allo stesso.

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Sotto altro profilo, la stessa corte d’appello ha sottolineato
come gli elementi istruttori complessivamente acquisiti nel corso del
giudizio avessero evidenziato la sostanziale insussistenza, in capo al
preposto, delle necessarie competenze tecnico-professionali idonee a
consentirgli un adeguato assolvimento dei compiti allo stesso genericamente attribuiti in materia di sicurezza, come confermato dagli indici di grave trascuratezza manifestati dallo stesso preposto
nell’esecuzione dei relativi compiti. (cfr. pag. 8 della sentenza
d’appello).
Le motivazioni così complessivamente compendiate dalla corte d’appello appaiono dotate di adeguata coerenza sul piano logico e
argomentate in termini di conseguente linearità, tali da sfuggire alle
censure sul punto illustrate dal ricorrente.
3.3. — Del tutto priva di fondamento deve ritenersi la censura
illustrata dal ricorrente nel quinto motivo di ricorso, avendo entrambi i giudici del merito correttamente rilevato come nella specie non si
fosse verificata alcuna ipotesi di distacco del lavoratore infortunato
presso altro soggetto, non ricorrendone in nessun modo i relativi presupposti di fatto e di diritto, essendosi bensì trattato del solo conferimento, al lavoratore de quo, dell’incarico di procedere
(nell’interesse esclusivo della società datrice di lavoro) all’esecuzione
di un’attività di assistenza di altri prestatori d’opera, essi stessi coinvolti per la realizzazione di attività proprie della società di cui
l’odierno imputato è il legale rappresentante.
Del tutto correttamente, peraltro, la corte territoriale ha sottolineato la totale irrilevanza della circostanza sul punto evidenziata dal
ricorrente, in conformità all’insegnamento di questa corte di legittimità ai sensi del quale, in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, in caso di distacco di un lavoratore da un’impresa ad un’altra, i relativi obblighi gravano sia sul datore
di lavoro che ha disposto il distacco, sia sul beneficiario della prestazione, tenuto a garantire la sicurezza dell’ambiente di lavoro nel cui
ambito la stessa viene eseguita (Cass., Sez. 4, n. 37079/2008, Rv.
241021).

3.4. – Da ultimo, dev’essere rilevata la totale infondatezza delle
censure sollevate dal ricorrente in tema di causalità, avendo entrambi

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giudici del merito evidenziato come l’eventuale adozione, da parte
dell’odierno imputato, delle necessarie cautele in relazione
all’esecuzione delle lavorazioni de quibus (e, segnatamente, della corretta informazione sui rischi connessi alla movimentazione di carichi
di particolare e singolare gravità come quello in esame, ovvero circa
l’affidamento di detta movimentazione a un soggetto dotato della necessaria e specifica esperienza) avrebbe con certezza indotto il lavoratore infortunato a modificare il proprio comportamento, assicurando
l’anta del cancello in modo diverso da quello effettivamente compiuto, o avendo cura di non sostare nei pressi dello spazio di eventuale
caduta dell’anta così precariamente sostenuta.
Sotto altro profilo, dev’essere escluso il ricorso di un’ipotesi di
abnormità del comportamento del lavoratore infortunato, avendo la
corte territoriale correttamente rilevato come l’evento infortunistico
in esame ebbe a verificarsi nel corso delle ordinarie mansioni cui il
lavoratore era addetto, e che il pericolo di crollo di un oggetto di tali
rilevantissime dimensioni, lungi dal costituire un’ipotesi del tutto
imprevedibile, doveva ritenersi ex ante un’evenienza icto ocu/i pienamente compatibile con lo sviluppo delle lavorazioni in esame.
Sul punto, è appena il caso di richiamare il consolidato insegnamento di questa corte di legittimità, ai sensi del quale, in tema
di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro, in quanto titolare di una
posizione di garanzia in ordine all’incolumità fisica dei lavoratori, ha
il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici vigilando sulla sussistenza e persistenza delle condizioni di sicurezza ed
esigendo dagli stessi lavoratori il rispetto delle regole di cautela, sicché la sua responsabilità può essere esclusa, per causa sopravvenuta,
solo in virtù di un comportamento del lavoratore avente i caratteri
dell’eccezionalità, dell’abnormità e, comunque, dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle precise direttive organizzative ricevute, connotandosi come del tutto imprevedibile o inopinabile
(cfr., tra le molte, Cass., Sez. 4, n. 37986/2012, Rv. 254365).
Al riguardo, la circostanza che il lavoratore avesse imprudentemente, o in modo negligente, assicurato l’anta del cancello de quo o
fosse impudentemente rimasto nei pressi dell’area di caduta della
stessa, non vale a escludere la responsabilità del datore di lavoro, dovendo ritenersi ricompreso, entro l’ambito delle responsabilità di
quest’ultimo, l’obbligo di prevenire anche l’ipotesi di una condotta

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imprudente o negligente del lavoratore, al fine di scongiurare la verificazione delle prevedibili evenienze riconducibili all’ordinario sviluppo delle lavorazioni oggetto d’esame.
Il datore di lavoro, infatti, in quanto destinatario delle norme
antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità quando il comportamento del dipendente, rientrante nelle mansioni che gli sono proprie, sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, diverso dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nell’esecuzione del lavoro (Cass.,
Sez. 4, n. 7267/2009, Rv. 246695).
In tema, questa stessa corte ha avuto recentemente modo di
sottolineare come l’errore sulla legittima aspettativa che non si verifichino condotte imprudenti dei lavoratori non è invocabile da parte
del datore di lavoro, il quale, per la sua posizione di garanzia, risponde dell’infortunio, sia a titolo di colpa diretta, per non aver negligentemente impedito l’evento lesivo ed eliminato le condizioni di rischio,
che a titolo di colpa indiretta, per aver erroneamente invocato a sua
discriminante la responsabilità altrui qualora le misure di prevenzione siano state inadeguate (Cass., Sez. 4, n. 16890/2012, Rv. 252544).
4. — Al riscontro dell’infondatezza di tutti i motivi di doglianza
avanzati dall’imputato segue il rigetto del ricorso e la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Per questi motivi
la Corte Suprema di Cassazione, rigetta il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 15.10.2013.

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