Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44481 del 15/10/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 44481 Anno 2013
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: MARINELLI FELICETTA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ARCHETTI MASSIMO N. IL 02/09/1960
avverso la sentenza n. 856/2012 CORTE APPELLO di VENEZIA, del
20/11/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 15/10/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FELICETTA MARINELLI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Can-tu-AL&
che ha concluso per
dei)

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 15/10/2013

il G.I.P. il Tribunale di
Con sentenza del 9 novembre 2012
Treviso in composizione monocratica assolveva Archetti Massimo,
imputato in ordine al reato p.e p. dall’art.73 d.PR.309/90 per
avere indebitamente coltivato presso la sua abitazione n.5
piante di canapa indiana, una delle quali contenente gr.2,752
di D9THC (pari a 1,6%) perché il fatto non costituisce reato.
Avverso tale sentenza proponeva appello il Procuratore generale
della Repubblica presso la Corte di appello di Venezia.
La Corte di appello di Venezia, con sentenza del 20.11.2012,
oggetto del presente ricorso, in riforma della sentenza emessa
nel giudizio di primo grado, dichiarava Archetti Massimo
responsabile del reato ascrittogli e, ritenuta l’attenuante
dell’art.73, comma quinto, del d.PR.309/90, lo condannava alla
pena di anni uno di reclusione ed euro 3.000 di multa oltre al
pagamento delle spese processuali.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione
Archetti Massimo, a mezzo del suo difensore, chiedendone
l’annullamentot_e_Ia—terull.pc7urper i seguenti motivi:
l) erronea applicazione della legge penale ex art.606 lett.b)
c.p.p. in relazione all’art.49 c.p.. Secondo la difesa
erroneamente la Corte territoriale aveva dichiarato la
responsabilità dell’Archetti in quanto mancava la offensività
del comportamento e quindi la pericolosità sociale dello stesso
attraverso la dimostrazione della probabilità di un evento
lesivo che passava dalla dimostrazione dell’efficacia drogante
della sostanza. Nella fattispecie che ci occupa invece, secondo
la difesa, il giudice di primo grado aveva correttamente
valutato che la coltivazione artigianale e rudimentale di
alcune piantine di canapa indiana non costituiva un pericolo
sociale, trattandosi di piante giovani coltivate solo per la
produzione di semi e per uso strettamente personale.
2) manifesta illogicità della motivazione ex art.606 lett.e)
c.p.p. a proposito del trattamento sanzionatorio. Secondo la
difesa la fattiva collaborazione ed il comportamento
processuale dell’imputato avrebbero dovuto indurre i giudici
della Corte territoriale ad applicare una pena più mite
rispetto a quella irrogata.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è fondato.
Ai fini della configurabilità del -reato di coltivazione non
autorizzata di piante dalle quali sono estraibili sostanze
stupefacenti è infatti necessario accertare la concreta
offensività della condotta e cioè l’effettiva capacità della
stessa a ledere il bene giuridico tutelato dalla norma
incriminatrice. Spetta pertanto al giudice verificare, di volta

RITENUTO IN FATTO

in volta, se la condotta contestata risulti o meno, in
concreto, inoffensiva, tale dovendo ritenersi solo quella che
non leda o metta in pericolo, anche in minimo grado, il bene
protetto.
Occorre quindi verificare in concreto l’idoneità della sostanza
ricavata a produrre un effetto drogante rilevabile. In
quest’ottica ciò che assume importanza non è che, al momento
dell’accertamento del reato, le piante non siano ancora giunte
a maturazione, atteso che la coltivazione ha inizio con la posa
dei semi, ma che esse siano idonee a produrre una germinazione
ad effetti stupefacenti (cfr, sul punto, Cass., Sez.4, sent.
n.44287 dell’8.10.2008, Rv. 241991).
Tali principi si collocano nell’alveo dell’ampia elaborazione
dottrinaria e giurisprudenziale relativa al principio di
offensività che ha trovato espresso riconoscimento sia nella
giurisprudenza della Corte costituzionale che in quella della
Corte di cassazione che hanno ravvisato la necessità che anche
in concreto l’offensività sia ravvisabile, almeno in grado
minimo, nella singola condotta dell’agente. In difetto di ciò
si sarebbe in presenza di un reato impossibile.
Secondo la condivisibile giurisprudenza di questa Corte (cfr,
tra le altre, Cass., Sez.6, sent. n.12612 del 10.12.2012,
Rv.254891, Cass., Sez.6, Sent. n.22110 del 2.05.2013,
Rv.255733) infatti ai fini della punibilità della coltivazione
non autorizzata di piante dalle quali sono estraibili sostanze
stupefacenti, spetta al giudice verificare in concreto
l’offensività della condotta ovvero l’idoneità della sostanza
ricavata a produrre un effetto drogante rilevabile.
Tanto premesso si osserva che la sentenza impugnata si limita a
riportare le risultanze delle indagini di polizia giudiziaria,
che hanno condotto al rinvenimento di cinque piante di canapa
indiana, tre in giardino e due nel sottoscala e gli
accertamenti tecnici da cui emergeva che il campione analizzato
era “canapa da droga con una percentuale media di principio
attivo dell’1,6% e contiene grammi 2,752 di D9THC”.
L’apparato giustificativo della sentenza non può peraltro
ridursi alla semplice esposizione delle risultanze acquisite,
dovendo comunque il giudice h=E.—trarre una sintesi logica dal
materiale probatorio disponibile e in particolare indicare gli
elementi da cui potersi desumere la concreta ed effettiva
offensività della condotta, che non può essere desunta solo
sulla base di un accertamento tecnico.
L’accoglimento del primo motivo rende ultronea la disamina del
secondo riguardante il trattamento sanzionatorio, che resta nel
primo assorbito.
La sentenza impugnata deve essere pertanto annullata con rinvio
alla Corte di appello di Venezia.

PQM

el

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo esame alla
Corte di appello di Venezia.

Così deciso in Roma il 15.10.2013

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