Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4448 del 16/10/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 4448 Anno 2015
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: LA POSTA LUCIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SICILCASSA S.P.A. IN LIQUIDAZIONE COATTA
AMMINISTRATIVA
AGENZIA NAZIONALE PER I BENI CONFISCATI DI REGGIO
CALABRIA
AGENZIA NAZIONALE PER I BENI CONFISCATI DI PALERMO
avverso l’ordinanza n. 92/1994 TRIBUNALE di PALERMO, del
13/02/2013
sentita laplazione fatta dal Consigliere Dott. LUCIA LA POSTA;
lette/se ite le conclusioni del PG Dott. c . T-4- N hiL-‘2_ W43(
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Uditi 4,ifénsor Avv.;

Data Udienza: 16/10/2014

RILEVATO IN FATTO

1. Con atto depositato il 29.1.2009 l’istituto di credito Sicilcassa s.p.a., in
liquidazione coatta amministrativa, proponeva, a mezzo dei difensori di fiducia e
procuratori speciali, incidente di esecuzione volto al riconoscimento della
«buona fede>>, nella qualità di terzo titolare di diritto di credito garantito da
ipoteca (per complessivi euro 5.661.842) nei confronti delle società Agricola
Immobiliare s.r.l. e Sele Immobiliare s.r.l. oggetto di provvedimento irrevocabile

Piazza in quanto ritenuti nella disponibilità dello stesso.
Si evidenziava che il credito vantato dalla banca è relativo ad operazioni in
favore delle predette società immobiliari ed è garantito da ipoteca iscritta su beni
immobili che successivamente sono stati oggetto di provvedimenti di sequestro e
di confisca disposti dal Tribunale di Palermo nei confronti del Piazza, ai sensi
della legge n. 575 del 1965, con conseguente sottrazione degli stessi al
soddisfacimento delle legittime pretese creditorie della Sicilcassa. Si assumeva la
estraneità della banca all’attività criminosa addebitata al Piazza in quanto nel
corso delle attività prodromiche alla concessione dei crediti l’istituto di credito
non disponeva di elementi che potessero anche soltanto far presumere il
coinvolgimento del predetto in attività criminali, né la riconducibilità degli
immobili ipotecati a traffici illeciti.

2. Il Tribunale di Palermo, sezione misure di prevenzione, in data 18.1.2011
rigettava l’incidente di esecuzione, ritenendo indimostrata la buona fede
dell’istituto di credito, affermando che «l’anomala erogazione del credito nei
confronti delle società in questione è stata quanto meno dovuta ad una grave
negligenza della Sicilcassa, posto che, ove fosse stata prestata la diligenza
professionale richiesta dal caso concreto, la stessa Sicilcassa non avrebbe potuto
non conoscere tanto delle attività illecite del Piazza, quanto della strumentalità
alle medesime dei finanziamenti via via accordatigli».
Avverso detto provvedimento veniva proposto ricorso per cassazione che
questa Corte, il 20.3.2012, ha qualificato, ai sensi dell’art. 667 comma 4 cod.
proc. pen., come opposizione della quale ha investito il giudice dell’esecuzione.
All’udienza del 13.2.2013, nella quale il tribunale riservava la decisione, la
banca opponente depositava memoria con la quale chiedeva l’ammissione al
pagamento del credito a norma dell’art. 1 comma 194 e ss. della legge n. 228
del 2012 per la sussistenza delle condizioni di cui all’art. 52 d.lgs. n. 159 del
2011.

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di confisca nell’ambito del procedimento di prevenzione nei confronti di Vincenzo

3. Con il provvedimento emesso in data 13.2.2013 (dep. il 18.4.2013) il
tribunale – premessa l’applicabilità della disciplina della tutela dei terzi titolari di
diritti su beni confiscati introdotta dalla legge n. 228 del 2012, art. 1 comma 194
e ss., per i provvedimenti di confisca di prevenzione divenuti definitivi prima del
vigore della suddetta legge e disposta ai sensi della normativa in materia di
prevenzione precedente al d.lgs. n. 159 del 2011 – riteneva infondati i rilievi
formulati dalla Sicilcassa con l’atto di ricorso-opposizione che, pertanto,
respingeva.

primo luogo, attinti dal provvedimento ablatorio di confisca disposta con decreto
del 17.7.1996 (irrev. nel 2007) i beni immobili di proprietà delle società Agricola
Immobiliare s.r.l. e Sete Immobiliare s.r.I., gravati da ipoteca a garanzia dei
crediti della banca ricorrente, ancorchè il provvedimento di confisca si riferisca
alla totalità delle quote delle predette società e non ai singoli beni aziendali e
benché il decreto non risulti trascritto sui beni immobili in oggetto.
Quindi, richiamando la valutazione operata con il provvedimento opposto, il
tribunale affermava che, pur tenuto conto degli argomenti indicati nell’atto di
impugnazione, deve ritenersi che la banca creditrice fosse consapevole del nesso
di strumentalità tra il credito concesso e l’attività illecita del prevenuto.

4. Avverso tale ultimo provvedimento la Sicilcassa s.p.a. ha proposto ricorso
per cassazione, a mezzo dei difensori di fiducia e procuratori speciali,
denunciando la violazione di legge ed il vizio di motivazione.
4.1. Con il primo motivo contesta la valutazione operata dal giudice
dell’esecuzione in ordine alla identificazione dell’oggetto del sequestro e della
confisca di prevenzione rilevando che il tribunale, pur dando atto che la confisca
delle quote di società a responsabilità limitata non implica ex se la confisca dei
beni compresi nel patrimonio della società, ha interpretato i provvedimenti di
sequestro e confisca ritenendoli estesi ai beni di proprietà delle società le cui
quote sono state confiscate; tanto, nonostante il tenore letterale del dispositivo
di detti provvedimenti ablatori che danno conto della volontà di apprendere
soltanto le quote delle società in oggetto, distinguendo i casi in cui hanno intesi
colpire le quote sociali da quelli in cui hanno disposto la confisca di beni immobili
o di saldi attivi di rapporti bancari. Del resto, sugli immobili delle società in
questione non risulta alcuna trascrizione del provvedimento di sequestro o di
confisca, adempimento necessario ai fini dell’esecuzione del provvedimento
ablatorio.
Rileva, altresì, la ricorrente che i giudici di merito sono incorsi nell’errore di
riferirsi alla disciplina normativa della società a responsabilità limitata introdotta
nel 2003 e non a quella vigente all’epoca dell’applicazione della misura di

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k

Sulla base degli argomenti specificamente indicati (pp. 5-16) riteneva, in

prevenzione patrimoniale. Afferma, quindi, che è errato ritenere che il proposto,
grazie alle sue prerogative di controllo, potesse disporre dei beni sociali; infatti, i
provvedimenti ablatori non fanno riferimento ai singoli beni di proprietà delle
società partecipate direttamente o indirettamente dal proposto, bensì,
semplicemente all’attività svolta dallo stesso nella sua veste di soggetto che
controllava il gruppo societario. Così che, non è possibile ritenere che il tribunale
avesse intesto la confisca estesa all’intero patrimonio sociale delle società di cui
ha confiscato le quote.

della società Agricola Immobiliare s.r.l. e Sele Immobiliare s.r.l. non hanno mai
formato oggetto della misura di prevenzione patrimoniale, nulla deve essere
dimostrato dal creditore ipotecario che vanti la garanzia reale sui cespiti di
proprietà delle società debitrici al fine di procedere all’esecuzione sui detti beni.
4.2. Il secondo motivo del ricorso si denuncia, sotto diversi profili, la
violazione di legge ed il vizio della motivazione avuto riguardo alla valutazione
della buona fede.
Si ribadisce che a riprova della propria buona fede al momento della
concessione degli affidamenti alle due società immobiliari confiscate la ricorrente
aveva allegato il provvedimento – di cui si riportano in alcuni passaggi – con il
quale eke la Corte di appello di Palermo nel 1988 aveva escluso la sussistenza
dei presupposti per l’applicazione della misura di prevenzione al Piazza,
sancendone, in tal modo, la <>. Non può, quindi, imputarsi
alcuna colpa alla banca per non essere stata in grado di acquisire informazioni
circa la contiguità mafiosa del Piazza che, evidentemente, non esistevano al
momento dell’erogazione del credito e fino al provvedimento di sequestro del
1996.
Inoltre, era stato rappresentato che l’Agricola Immobiliare s.r.l. aveva
ottenuto nel 1991 e nel 1992 la concessione del concorso regionale negli
interessi su mutuo agrario per estinzione di passività che presupponeva la
valutazione dell’Assessorato agricoltura e foreste della Regione Sicilia; così che,
l’assenza di qualsivoglia contestazione da parte della Regione costituisce prova
della buona fede dell’istituto di credito almeno sino al giugno 1992. A tanto si
aggiungeva il sostegno della Cassa per il mezzogiorno in favore della Agricola
Immobiliare sin dal 1983.
Deve, quindi, escludersi che la Sicilcassa potesse immaginare che i crediti
concessi alla Agricola Immobiliare e alla Sele Immobiliare fossero funzionali
all’attività illecita di imprenditore mafioso quanto alle linee di credito agrario
destinate ad estinguere passività onerose per le quali l’intervento della banca era
limitato alla concessione e all’erogazione di somme il cui ammontare era stato

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Conclude, quindi, affermando che posto che i beni costituenti il patrimonio

prefissato dall’Assessorato agricoltura e foreste ed era impossibile per la società
debitrice distrarre le somme erogate per finalità differenti.
Ugualmente, con riguardo ai mutui per miglioramenti agrari funzionali a
consentire la realizzazione di piani imprenditoriali valutati da enti pubblici, deve
escludersi che fossero idonei ad agevolare attività di impresa mafiosa. Peraltro, i
mutui per miglioramenti agrari prevedevano erogazioni con saldo da
corrispondere previa presentazione di certificato di collaudo rilasciato dalla Cassa
del mezzogiorno ovvero dall’Assessorato agricoltura; quindi, nessuna somma

concesso il finanziamento.
Ancora, non potevano essere funzionali all’attività illecita di impresa mafiosa
le linee di credito agrario destinate a ricostituire il capitale di conduzione
aziendale compromesso per effetto di calamità naturali essendo concesse con
apposito nulla osta dell’Assessorato agricoltura della Regione Sicilia; anche in
questo caso, quindi, come per gli altri finanziamenti agrari la discrezionalità della
Sicilcassa era estremamente limitata.
Il mutuo edilizio ordinario concesso alla Sele Immobiliare s.r.l. non può
ritenersi funzionale all’attività mafiosa dell’imprenditore essendo destinato ad
integrare i mezzi finanziari per la costruzione di un edificio in Palermo per
favorire la vendita a terzi; peraltro, le opere oggetto di finanziamento erano
state compiutamente realizzate, quindi, non potevano considerarsi funzionali al
riciclaggio di capitali di illecita provenienza.
La ricorrente lamenta, quindi, che su tutte le predette argomentazioni ed
allegazioni il tribunale ha omesso di motivare, riportandosi al precedente
provvedimento del 18.1.2011 senza tenere conto delle deduzioni difensive ed
interpretando erroneamente il concetto di buona fede del terzo creditore che non
può essere esclusa in ragione della colpa attribuita alla banca di non avere
ispirato la propria attività a regole prudenziali, atteso che, secondo la
giurisprudenza di legittimità, laddove si afferma che il terzo deve dimostrare il
suo affidamento incolpevole ingenerato da una situazione di oggettiva apparenza
che rende scusabile l’eventuale ignoranza o difetto di diligenza, è necessario il
dolo. Quindi, escluse condotte di collusione o contiguità con attività illecite del
sottoposto, il difetto di diligenza della condotta del creditore va scusato.
Del resto, il riconoscimento del diritto di credito del terzo estraneo non
priverebbe, comunque, di efficacia il provvedimento di confisca dei beni oggetto
di garanzia del credito, né escluderebbe la loro acquisizione al patrimonio dello
Stato, consentendo soltanto al creditore di esperire i residui rimedi previsti
dall’ordinamento.
Ad avviso della ricorrente, detti argomenti trovano ulteriore conforto nella
attuale disciplina prevista dall’art. 52 d.lgs. n. 159 del 2011 che richiede

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poteva essere destinata a finalità diverse da quella per le quali era stato

l’accertamento positivo del rapporto di strumentalità tra credito e attività illecita
del proposto o attività che ne costituisce il frutto o il reimpiego e, solo se venga
accertata tale strumentalità, il creditore per evitare gli effetti del provvedimento
ablatorio ha l’onere di dimostrare di avere ignorato in buona fede il nesso di
strumentalità.
Al contrario, il tribunale nel provvedimento impugnato fonda la decisione
sulla colpa nella quale sarebbero incorsi i vertici di Sicilcassa improntando la
relazione creditizia con il Piazza a canoni scorretti ed illogici che avrebbero

della strumentalità ad esse dei finanziamenti accordati.
Il ricorso contesta, altresì, la ragionevolezza dell’argomento secondo il
quale, nonostante il provvedimento della Corte di appello di Palermo del 1988
avesse escluso l’applicabilità della misura di prevenzione, l’istituto di credito
avrebbe dovuto tenere conto del fatto che, comunque, nel procedimento di
prevenzione erano emersi contatti del Piazza con esponenti mafiosi. Quindi,
quanto alla ritenuta negligenza nella relazione creditizia con il Piazza, ribadisce
che nessun ente creditizio dispone di strumenti di accertamento più approfonditi
di quelli dell’autorità giudiziaria e, d’altro canto, il procedimento di prevenzione
che si è concluso con l’applicazione della misura al Piazza è intervenuto a
distanza di circa otto anni.
Esclude la rilevanza delle irregolarità riscontrate a seguito delle ispezioni
della Banca d’Italia in ordine alle modalità di esercizio del credito da parte di
Sicilcassa che appaiono del tutto estranee alla prospettiva di prevenzione tipica
del sistema di confisca antimafia. D’altro canto, nel periodo storico cui risalgono
le erogazioni al Piazza le regole e le prassi di settore non solo non
promuovevano, ma non consentivano un’ingerenza dell’intermediario nel merito
delle operazioni richieste: al banchiere si richiedeva di valutare unicamente la
profittabilità dei capitali erogati e la rischiosità dell’investimento e nessuna
rilevanza assumeva all’epoca la normativa antiriciclaggio, intervenuta soltanto a
far data dal 1991.

5. Con memoria depositata il 23.4.2014 la ricorrente, alla luce delle
conclusioni rassegnate dal Procuratore generale, sostanzialmente ribadisce le
suddette doglianze.
Quanto alla ammissibilità del ricorso relativamente alla esistenza della
confisca dei beni immobili gravati dalla ipoteca iscritta a garanzia dei crediti della
Sicilcassa, si richiama ed allega: il provvedimento del Giudice dell’esecuzione del
Tribunale di Caltagirone del 2013 nel quale si afferma che la procedura esecutiva
immobiliare ha ad oggetto beni che non risultano confiscati, essendo stato
confiscato esclusivamente il capitale sociale della Agricola Immobiliare s.r.I.; il
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impedito di venire a conoscenza della natura illecita delle attività del Piazza e

provvedimento del Tribunale di Palermo, sezione fallimentare, del 2013 relativo
alla Sele Immobiliare s.r.l. che si esprimerebbe nello stesso senso.

6. Anche l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni
sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, a mezzo dell’Avvocatura dello
Stato, ha depositato memoria con la quale chiede che il ricorso sia dichiarato
inammissibile essendo finalizzato ad una rivalutazione di quanto esaminato dai
giudici di merito e risolvendosi in una richiesta di nuova pronuncia sul fatto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Questione preliminare si palesa quella relativa alla sussistenza della
confisca dei beni immobili posti a garanzia (con iscrizioni ipotecarie) del credito
della ricorrente Sicilcassa s.p.a. (ora in I.c.a.) nei confronti delle società Agricola
Immobiliare s.r.l. e Sele Immobiliare s.r.l. le cui quote sociali ed il cui capitale
sono stati confiscati nella totalità con il decreto emesso dal Tribunale di Palermo
il 17.7.1996 (irrev. nel 2007) con il quale veniva applicata la misura di
prevenzione personale e patrimoniale a Piazza Vincenzo.
Invero, il procedimento in esame è stato introdotto dall’istituto di credito
Sicilcassa s.p.a. con atto del 16.1.2009 (dep. il 29.1.2009) con il quale si
chiedeva, nelle forme dell’incidente di esecuzione, di dichiarare l’estraneità della
banca all’attività criminosa del Piazza e, quindi, la buona fede della stessa al fine
di poter esercitare il proprio diritto di credito agendo sui beni offerti in garanzia
dalle società debitrici. In tale atto introduttivo dell’incidente di esecuzione è stato
in alcun modo richiesto che il giudice dell’esecuzione procedesse alla verifica che sarebbe stata preliminare – della esistenza del provvedimento ablatorio di
prevenzione relativamente ai beni immobili delle società debitrici sottoposte alla
confisca di prevenzione; al contrario, è stato dato per scontato che «tali
immobili oggetto di garanzia dei sopra richiamati rapporti creditizi sono stati,
successivamente alla iscrizione di ipoteca o privilegio, assoggettati ad un
provvedimento di sequestro di prevenzione e ad un successivo provvedimento di
confisca emessi nell’ambito del procedimento di prevenzione a carico di Vincenzo
Piazza». E’ stato, infatti, affermato dalla stessa ricorrente che «il decreto di
confisca emesso dal Tribunale di Palermo ha sottratto al soddisfacimento delle
legittime pretese creditorie della Sicilcassa i beni già offerti in garanzia
dell’esatto adempimento del credito concesso».
Solo successivamente la ricorrente ha posto in dubbio che la misura di
prevenzione reale avesse ad oggetto i beni immobili delle due società confiscate,
esplicitandone i profili nel ricorso per cassazione proposto avverso il

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esclusa nel giudizio di cassazione.

provvedimento emesso dal tribunale in data 18.1.2011, poi qualificato
opposizione.
Decidendo sull’opposizione il tribunale – pur adombrando la inammissibilità
della richiesta del terzo creditore di operare una valutazione preliminare in
ordine all’esercizio del proprio diritto reale di garanzia – ha operato una compiuta
ed argomentata valutazione, pervenendo alla affermazione con la quale ha
ritenuto sussistente anche la confisca dei beni immobili gravati da ipoteca a
garanzia del credito vantato dalla banca nei confronti delle due società Agricola

Se vi è dubbio sulla esatta identificazione dei beni oggetto di un
provvedimento di confisca divenuto irrevocabile, emesso nell’ambito di un
procedimento di prevenzione, e, quindi, anche sulla esistenza del titolo ablatorio
in relazione a determinati beni, certamente compete al giudice che ha emesso il
provvedimento di confisca accertare, in funzione di giudice dell’esecuzione, la
portata e gli effetti del titolo. A tanto il giudice dell’esecuzione della prevenzione
è chiamato anche in tutti i casi in cui la verifica dell’esistenza del titolo (confisca)
su determinati beni e la loro identificazione sia preliminare o incidentale rispetto
alla decisione di altre questioni e può procedere a detto accertamento
richiedendo, se necessario, atti e disponendo verifiche ai sensi dell’art. 666
comma 5 cod. proc. pen.. Unico limite è rappresentato dalla impossibilità di
rivalutare questioni di fatto e dì diritto che siano state espressamente affrontate
in sede di merito del giudizio di prevenzione e siano state poste a fondamento
del giudicato.
Spettando tale potere esclusivamente al giudice della prevenzione, in
funzione di giudice dell’esecuzione, la valutazione è indipendente~e da
quanto eventualmente affermato dal giudice civile cui è precluso un tale
accertamento non essendo giudice del titolo costituito dal provvedimento di
confisca.
Nella specie, quindi, il tribunale ha correttamente proceduto ad effettuare
detta verifica sulla base di tutti gli elementi idonei ad individuare l’effettivo
oggetto del provvedimento ablatorio divenuto irrevocabile, anche al di là delle
formali indicazioni in esso contenute.
Quanto al merito di tale valutazione, sono infondate le doglianze difensive,
essendo stata correttamente operata la verifica del titolo in ordine alla effettiva
riferibilità della confisca anche alla complessità del patrimonio delle società a
responsabilità limitata del cui capitale sociale è stata disposta la confisca.
Il giudice dell’esecuzione ha dato atto del tenore letterale del dispositivo del
provvedimento di confisca che fa riferimento all’intero capitale sociale delle due
società in oggetto e non ai beni aziendali delle stesse ed, altresì, della mancata
trascrizione del provvedimento di confisca nei registri immobiliari; ha esaminato,

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Immobiliare s.r.l. e Sele Immobiliare s.r.l. confiscate.

poi, gli argomenti in diritto ed in fatto prospettati dall’opponente sul punto,
comprese le decisioni intervenute nei giudizi di esecuzione civile e fallimento
azionati dalla Sicilcassa, tra esse quella di questa Corte, sez. 1 civile, n. 8238 del
24/05/2012; tuttavia, ha enucleato dal provvedimento di confisca (pp. 13-17)
tutte le valutazioni in esso contenute che palesano come il giudice della confisca
avesse – indipendentemente dalla formale identificazione dei singoli beni e,
quindi, dalla specifica indicazione degli stessi nel dispositivo del provvedimento
ablatorio – esaminato non solo le due società immobiliari come soggetti

dal predetto che perseguiva attraverso tali società, come altre, gli interessi del
sodalizio mafioso cui apparteneva.
Indipendentemente dalle considerazioni sulla nozione di «quota» e di
«capitale sociale», invero, il tribunale ha evidenziato, come nei
provvedimenti di sequestro e di confisca si dia atto che il proposto disponeva,
anche indirettamente, dell’intero patrimonio delle società oggetto di confisca e
delle intere aziende, intese come complesso unitario di beni, che intanto avevano
realizzato redditi in quanto si avvantaggiavano dei legami mafiosi del proposto; il
giudice della confisca era in tal modo pervenuto a qualificare le imprese in
questione come «mafiose», ragione per la quale le stesse imprese e la
ricchezza creata da queste sono state ritenute il frutto di attività illecita. Il
WA- cog
TE RITEWO
tribunale, quindi,
e l’effettiva p
– a i-I provvedimento di confisca fosse la
sottrazione al circuito economico delle intere realtà imprenditoriali rappresentate
dalle due società.
Si deve, quindi, concludere per la infondatezza dei rilievi della ricorrente in
ordine alla verifica della intervenuta confisca dei beni immobili precedentemente
offerti in garanzia dei debiti contratti dalle due società confiscate con l’istituto di
credito.

2. Per passare ad esaminare i motivi di ricorso in ordine alle conclusioni cui
è pervenuto il tribunale affermando la insussistenza della buona fede della
banca, ovvero dei presupposti per ammettere la stessa al pagamento del proprio
credito, è opportuno precisare che il tribunale che ha deciso sull’opposizione ha
ritenuto – sollecitato dalla ricorrente – l’applicabilità della disciplina introdotta
della legge di stabilità n. 228 del 24.12.2012, innovativa in materia di tutela dei
diritti dei terzi relativi a beni oggetto di confisca di prevenzione.
Nonostante, infatti, il primo provvedimento reso nel presente procedimento
di esecuzione nel 2011, fosse precedente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 159
del 2011 e all’approvazione della legge di stabilità n. 228 del 24.12.2012,
l’introduzione medio tempore di una specifica disciplina normativa ha condotto il
tribunale, in forza del principio tempus regit actum, ad applicare la disciplina
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economici controllati dal proposto Piazza, ma soprattutto come attività gestite

prevista dall’articolo 1 comma 194 e ss. della citata legge, vertendosi di beni non
ancora trasferiti o aggiudicati nella procedura esecutiva immobiliare.
Conseguentemente, ha ritenuto applicabili le disposizioni di cui all’art. 52
d.lgs. n. 159 del 2011, evidenziando che, comunque, la competenza è attribuita
al giudice dell’esecuzione individuato nel tribunale che ha disposto la confisca di
prevenzione, oltre alla sostanziale convergenza dei presupposti legittimanti
l’ammissione al pagamento del credito.
Invero, non vi è dubbio che, trattandosi di norme di valenza processuale, si

nella decisione delle Sez. U. civili di questa Corte n. 10532 del 26/02/2013 – la
disciplina di cui al comma 194 dell’art.1 della citata legge di stabilità si applichi ai
beni confiscati secondo il regime normativo in materia di applicazione di misure
di prevenzione precedente a quello del d.lgs. n.159 del 2011, entro la data
dell’1/1/2013 (vigenza della legge di stabilità), con la sola esclusione di quelli
che siano stati già assoggettati a procedura esecutiva dinanzi al giudice civile se
intervenuta aggiudicazione o trasferimento; su detti beni non possono essere
iniziate o proseguite, a pena di nullità, azioni esecutive e gli oneri ed i pesi iscritti
o trascritti sui suddetti beni anteriormente alla confisca sono estinti di diritto.
L’applicazione nel caso in esame delle norme sopravvenute previste dal
comma 194 e ss. della legge di stabilità 2012 – peraltro, non

ricorrente

contestghcialia

risulta, quindi, coerente con tali principi.

3. Occorre a questo punto verificare la fondatezza delle censure mosse dalla
ricorrente alla valutazione operata dal tribunale in ordine ai presupposti cui le
nuove disposizioni – in specie quelle inserite nella legge n. 228 del 2012 subordinano la ammissione al pagamento del creditore titolare di garanzia reale
su beni confiscati.
E’ innegabile che sia stata assunta a base delle disposizioni finalizzate alla
tutela dei terzi creditori introdotte con il d.lgs. n. 159 del 2011 e, più ancora, di
quelle inserite nella legge di stabilità n. 228 del 2012 – destinate ai creditori con
riferimento a beni oggetto di misure ablatorie applicate ai sensi della disciplina
precedente al citato decreto legislativo – tutta l’elaborazione giurisprudenziale
che sul tema si è sviluppata negli anni che qui nonEnecessario richiamare e che,
indiscutibilmente, è divenuta diritto vivente.
Come è stato evidenziato dalla decisione delle Sez. U. civili di questa Corte
n. 10532 del 26/02/2013, già richiamata, «si suppone che il legislatore
razionale, quando emana una legge, conosca il diritto vivente; ora se nel
disciplinare una materia non innova le soluzioni che costituiscono l’approdo
interpretativo della giurisprudenza, vuol dire che le recepisce: cioè le fa
normativamente proprie».
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applichino le regole vigenti al momento della decisione, rft che – come affermato

A tale considerazione, in specie, la Corte ha ancorato l’interpretazione della
volontà del legislatore nell’indicare i parametri di giudizio di cui si deve tenere
conto ai fini della valutazione della condizione necessaria per l’ammissione del
creditore al pagamento del credito, di cui all’art. 52, comma 1, lett.b) d.lgs. n.
159 del 2011, richiamato al comma 200 dell’art. 1 della legge di stabilità 2012:
che il credito non sia strumentale all’attività illecita o a quella che ne costituisce
il frutto o il reimpiego, a meno che il creditore dimostri di avere ignorato in
buona fede il nesso di strumentalità. E’ previsto, infatti, che la valutazione del

patrimoniali tra le stesse e del tipo di attività svolta dal creditore, anche con
riferimento al ramo di attività, alla sussistenza di particolari obblighi di diligenza
nella fase precontrattuale, nonché, in caso di enti, alle dimensioni degli stessi.
Tali criteri di giudizio – afferma la Corte nella decisione richiamata – sono
obbligatori ma non esclusivi, nè vincolanti; pertanto, il giudice può utilizzare altri
parametri e può anche motivatamente disattendere quelli indicati dalla legge.
Anche seguendo, quindi, l’argomentare della decisione richiamata devono
considerarsi utilizzabili i criteri di giudizio elaborati dalla giurisprudenza per
l’identificazione della buona fede e del cd. affidamento incolpevole ai fini della
tutela del creditore garantito da ipoteca ed individuati nella mancanza di
qualsiasi collegamento del diritto di credito con l’attività illecita del proposto.
Il giudice dell’esecuzione della prevenzione nel provvedimento impugnato ha
operato in maniera compiuta tale valutazione dando conto, con argomenti logici
e coerenti, tratti dal procedimento, sia della sussistenza della strumentalità del
credito concesso alle società immobiliari dalla Sicilcassa all’attività illecita del
Piazza, sia della mancanza della buona fede da parte della banca.
Il tribunale ha richiamato il precedente provvedimento del 18.1.2011 con il
quale, conformandosi alla richiamata giurisprudenza di questa Corte in tema di
indicente di esecuzione del terzo creditore, all’esito di ampia valutazione degli
elementi raccolti nel contraddittorio delle parti, aveva escluso la buona fede,
ovvero l’affidamento incolpevole della Sicilcassa.
A tale conclusione ha aderito rilevando, altresì, l’infondatezza delle deduzioni
difensive poste a fondamento dell’opposizione ed, in particolare, della rilevanza
ai fini della valutazione in esame del provvedimento emesso dalla Corte d’appello
di Palermo il 27 aprile 1988 con il quale era stata esclusa l’applicazione della
misura di prevenzione personale e patrimoniale disposta nei confronti del Piazza
in primo grado con il decreto del 20 aprile 1986. Il tribunale, in specie, ha
evidenziato che erano stati comunque accertati gli interessamenti del proposto
Piazza ad una molteplicità di società ed aziende nelle quali lo stesso non
ricopriva cariche formali, pur essendone il reale titolare ed, in particolare, che la
società Sele Immobiliare s.r.l. risultava formalmente facente capo ai familia i del

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tribunale tenga conto delle condizioni delle parti, dei rapporti personali e

Cardella, perito di fiducia proprio della Sicilcassa il quale, quindi, era
perfettamente a conoscenza di dette vicende prima ancora che intervenisse il
provvedimento di confisca nel 1996.
E’ stato evidenziato, altresì, come la stessa causale del diritto di credito
vantato dalla ricorrente assuma profili di illiceità, laddove i finanziamenti della
banca furono concessi al fine di consentire ad un soggetto di manifesta
«opacità>> imprenditoriale di espandersi nel circuito economico
apparentemente legale, utilizzando risorse di provenienza illecita, come emerge

di confisca – che evidenziano, con riferimento agli apporti alle varie società del
gruppo, come le somme impiegate per acquisire le rispettive quote di capitale
sociale il Piazza avesse effettuato esborsi, unitamente alla moglie e alla figlia,
pari a circa 16 miliardi in relazione ai quali risulta una evidente discrasia con
l’ottenimento delle linee di credito concesse dalla Sicilcassa al di fuori di logiche
rigorosamente imprenditoriali.
Correttamente, invero, il tribunale ha rilevato che la funzionalità del credito
ipotecario rispetto all’attività economica dell’imprenditore mafioso deve
intendersi in senso ampio ricomprendendo i casi in cui il credito nasca da un
finanziamento che elementi concreti consentono di ritenere funzionale ad
un’operazione di riciclaggio, ovvero i casi in cui l’affidamento sia stato concesso
con modalità anomale o in violazione delle prescrizioni in materia bancaria
ovvero, ancora, in cui il credito sia stato concesso nella consapevolezza che
attraverso il ricorso a tale credito l’imprenditore mafioso rafforzava la presenza
sul mercato della propria impresa che il creditore sapeva o poteva fondatamente
sospettare essere gestita con modalità mafiose.
Ha, quindi, concluso il tribunale che quanto emerso nel giudizio di
prevenzione fa ritenere che la banca creditrice ben fosse consapevole del nesso
di strumentalità fra il credito e l’attività illecita del prevenuto sulla base di taluni
indici presuntivi tra cui i contatti del Piazza con diversi esponenti mafiosi, nonché
la circostanza che fosse cliente da diversi anni e che avesse accumulato un
cospicuo patrimonio immobiliare, pur a fronte dell’esiguità dei redditi dichiarati
da tutto il nucleo familiare.
Orbene, nessuno degli argomenti posti a fondamento della decisione,
sinteticamente riportati, neppure quello in ordine alla rilevanza del
provvedimento con il quale la Corte di appello di Palermo nel 1988 aveva
annullato la misura di prevenzione applicata al Piazza in primo grado, può
ritenersi illogico o contraddittorio, come stigmatizzato dalla ricorrente; inoltre, i
finanziamenti della Sicilcassa in favore delle due società riconducibili al Piazza
sono plurimi e reiterati in un ampio arco temporale precedente e anche
notevolmente successivo al 1988.
12

yi-

dai prospetti analitici relativi al periodo 1967-1993 – riportati anche nel decreto

Né è fondata la censura che afferma la omessa valutazione da parte del
giudice dell’opposizione dei rilievi introdotti dalla difesa, avendo il tribunale
sufficientemente esaminato tutte le contestazioni e le allegazioni della ricorrente.
Del pari [ la sostenuta necessità, al fine di escludere la buona fede, della
esistenza del dolo del terzo, è in contrasto con gli arresti consolidati di questa
Corte ed, in specie, con la nozione di affidamento incolpevole e di buona fede.
Nè è corretto affermare, come sostiene la ricorrente, che, secondo quanto
previsto dall’art. 52 d.lgs. n. 159 del 2011, sta al giudice dimostrare

del proposto (o attività che ne costituisce il frutto o il reimpiego) e che solo se
ciò viene accertato il creditore, per evitare gli effetti del provvedimento ablatorio,
ha l’onere di dimostrare di avere ignorato in buona fede il nesso di strumentalità.
Come ha evidenziato anche la decisione delle sezioni unite già richiamata, le
nuove norme non contengono previsioni espresse in tema di prove, tuttavia,
sulla base della elaborazione giurisprudenziale maturata, sul creditore che agisce
grava l’onere della prova positiva delle condizioni per l’ammissione del suo
credito.
I restanti rilievi del ricorso sono, all’evidenza, volti ad una non consentita
rivalutazione di elementi di fatto che sono stati esaminati dal giudice di merito
che, come si è detto, pur richiamando il precedente provvedimento, ha operato
la valutazione alla luce delle disposizioni normative intervenute medio tempore,
considerando le argomentazioni introdotte con l’atto di opposizione.
Si deve, quindi, concludere per il rigetto del ricorso cui consegue la
condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

A scioglimento della riserva assunta all’udienza del 14.10.2014, rigetta il
ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso, il 14-16 ottobre 2014.

l’accertamento positivo del rapporto di strumentalità tra credito e attività illecita

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