Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44451 del 23/09/2013
Penale Sent. Sez. 1 Num. 44451 Anno 2013
Presidente: CHIEFFI SEVERO
Relatore: MAGI RAFFAELLO
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
RAGER RAMI N. IL 13/02/1982
avverso la sentenza n. 19/2009 GIUDICE DI PACE di GUALDO
TADINO, del 28/09/2009
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 23/09/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. RAFFAELLO MAGI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Pt
che ha concluso per ì)2
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Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.
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Data Udienza: 23/09/2013
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa in data 28.9.2009 il Giudice di Pace di Gualdo Tadino
dichiarava Rager Rami responsabile del reato di cui all’art. 10 bis D.Lgs. 286/’98
(da ora in poi TU imm.) e lo condannava alla pena di euro 5.000,00 di ammenda,
disponendo la misura sostitutiva dell’espulsione dal territorio nazionale.
L’illegittimo ingresso o comunque trattenimento nel territorio dello Stato risulta
veniva identificato nel corso di un controllo per la sicurezza stradale, privo di
documenti attestanti la regolarità del soggiorno.
Ad avviso del GdP la condotta risulta punibile e può essere applicata – non
risultando cause ostative – l’espulsione prevista dall’art. 16 TU imm. .
2. Ha proposto ricorso per cassazione – a mezzo del difensore – Rager Rami
articolando distinti motivi.
Si deduce intervenuta violazione della disciplina incriminatrice di riferimento, in
particolare sostenendo – al primo motivo – che l’illegittimo trattenimento, in virtù
di quanto previsto dall’art. 5 del medesimo TU imm. è punibile solo ove sia
decorso il termine di otto giorni entro cui lo straniero deve chiedere il rilascio del
permesso di soggiorno. La prova di tale condizione deve essere fornita dal
Pubblico Ministero e nel caso in esame sarebbe del tutto carente. Con il secondo
motivo si denunzia ulteriore violazione di legge posto che alla data di
celebrazione dell’udienza era ancora pendente il termine concesso dall’art. 1 ter
della legge n. 102 del 2009 in tema di emersione del lavoro irregolare di
extracomunitari. La circostanza in questione, prospettata al giudicante, avrebbe
dovuto determinare il rinvio dell’udienza essendovi interesse alla regolarizzazione
da parte del datore di lavoro.
Inoltre, viene riproposta questione di legittimità costituzionale della previsione
accertato in data 19 agosto 2009, quando l’imputato – di nazionalità tunisina –
incriminatrice di cui all’art. 10 bis TU imm., con diffuse argomentazioni tese a
segnalare il contrasto con gli artt. 2, 3 e 25 della Costituzione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e va pertanto rigettato per le ragioni che seguono.
Va premesso che la norma che incrimina le condotte di ingresso e permanenza
illegale nel territorio dello Stato – art. 10-bis d.lgs. n. 286 del 1998 – ha di
recente superato il vaglio di compatibilità costituzionale: il Giudice delle leggi,
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con sentenza n. 250 del 2010, ha precisato che la norma non punisce una
«condizione personale e sociale» – quella, cioè, di straniero «clandestino» (o, più
propriamente, «irregolare») – e non criminalizza un «modo di essere» della
persona. Essa, invece, punisce uno specifico comportamento, costituito dal
«fare ingresso» e dal «trattenersi» nel territorio dello Stato, in violazione delle
disposizioni di legge. Si è quindi di fronte, rispettivamente, ad una condotta
attiva istantanea (il varcare illegalmente i confini nazionali) e una a carattere
permanente di natura omissiva, consistente nel non lasciare il territorio
La condizione di “clandestinità” è, in questi termini, la conseguenza della
condotta penalmente illecita e non già un dato preesistente ed estraneo al fatto,
e la rilevanza penale si correla alla lesione del bene giuridico individuabile
nell’interesse dello Stato al controllo e alla gestione dei flussi migratori, secondo
un determinato assetto normativo: si tratta di un bene “strumentale”, per mezzo
della cui tutela si accorda protezione a beni pubblici “finali” di sicuro rilievo
costituzionale. Per queste ragioni non è stata una scelta arbitraria la
predisposizione di una tutela penale di siffatto interesse, che si atteggia a bene
giuridico di “categoria”, capace di accomunare buona parte delle norme
incriminatrici presenti nel testo unico del 1998. Sulla base di questo nucleo
argomentativo la Corte costituzionale ha dunque sancito la compatibilità della
norma qui in rilievo con alcuni principi della Carta fondamentale, specificamente
e principalmente con quelli desumibili dagli artt. 2 e 3. Le censure poste dal
ricorrente non possono – pertanto – trovare accoglimento sotto il profilo del
rilievo penale della condotta contestata.
Quanto, inoltre, agli ulteriori temi affrontati nei ricorsi va detto che gli stessi
introducono delle ipotesi di non punibilità prive di aderenza ai fatti processuali.
Non risulta, infatti, dai contenuti della sentenza impugnata, che gli imputati
abbiano allegato la circostanza di fatto dell’essere appena giunti sul territorio
italiano e di trovarsi nelle condizioni tali da poter richiedere entro otto giorni il
titolo abilitativo al trattenimento nè risulta prodotta al giudice una regolare
pratica di emersione, tale da giustificare la sospensione del dibattimento.
Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna al pagamento delle spese processuali.
P.Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
Così deciso il 23 settembre 2013
DOPOSITATA
nazionale.