Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44449 del 15/10/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 44449 Anno 2013
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: FRANCO AMEDEO

SENTENZA
sul ricorso proposto da Ghidoli Roberto, nato a Milano il 10 marzo 1960;
avverso l’ordinanza emessa 1’11 luglio 2013 dal tribunale del riesame di
Catania;
udita nella udienza in camera di consiglio del 15 ottobre 2013 la relazione fatta dal Consigliere Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Aldo Policastro, che ha concluso per l’annullamento senza rinvio della ordinanza impugnata;
udito il difensore avv. Aldo Lazzaro, in sostituzione dell’avv. Giorgio Floridia e dell’avv. Margherita Conte;
Svolgimento del processo
Con decreto del 17.01.2013 il Gip presso il Tribunale di Catania dispose il
sequestro preventivo di due strutture turistiche denominate “Hotel villaggio Baia Samuele” e “Residence Marsa Siclà”, reputando esistenti, sul piano indiziario, sia il fumus delicti del reato di cui all’art. 260 d. lgs n. 152 del 2006 in relazione all’inquinamento delle acque marine per effetto degli scarichi delle acque
reflue provenienti dai residence Baia Samuele e Marsa Siclà, in località Marina
di Modica, sia il periculum in mora essendo il bene in vinculis strumentale rispetto all’aggravamento o alla protrazione del reato.
Il medesimo Gip, con ordinanza 15.6.2013, rigettò l’istanza di revoca del
sequestro preventivo della struttura turistica denominata Hotel Villaggio Baia
Samuele.
Con l’ordinanza in epigrafe il tribunale del riesame di Catania ha poi rigettato l’appello proposto avverso la detta ordinanza.
Roberto Ghidoli, in qualità di legale rappresentante della Sampieri srl proprietaria dell’Hotel Villaggio Baia Samuele, a mezzo dell’avv. Giorgio Floridia

Data Udienza: 15/10/2013

e dell’avv. Margherita Conte, propone ricorso per cassazione chiedendo l’annullamento dell’ordinanza e deducendo i seguenti motivi:
1) insussistenza dell’ipotesi delittuosa posta a base del sequestro preventivo (art. 260 d.lgs. n. 152 del 2006), perché non è stato trovato alcuno scarico
abusivo di rifiuti fognari, ma all’esito dell’incidente probatorio sono state riscontrate violazioni minori di rilevanza esclusivamente amministrativa. Mancano pertanto gli elementi costitutivi della fattispecie, ossia la pluralità di operazioni, l’allestimento di mezzi e l’attività organizzata e continuativa, e l’ingente
quantità di rifiuti;
2) violazione e falsa applicazione dell’art. 40 cod. pen. per essere stato il
decreto preventivo concesso sulla base di un’ipotesi insuscettibile di riscontro
sul terreno del nesso causale. Invero, neppure al termine delle indagini è emerso
quale sia concretamente la causa dell’inquinamento del mare antistante Marina
di Modica, sicché non vi è stato accertamento del nesso causale fra le ipotizzate
condotte illecite afferenti la gestione dei rifiuti e l’inquinamento marino.
3) mancanza della motivazione con riferimento ai dati desumibili dalla estraneità riconosciuta all’impresa di trasporti Buscema, la quale aveva trasportato fanghi fognari eccedenti rispetto alla capienza della fossa settica. In realtà, il
decreto di sequestro preventivo, confondendo fra la irregolarità formale della
documentazione riguardante i trasporti eseguiti dall’impresa Buscema ed il concorso fra i responsabili delle strutture turistiche e l’impresa suddetta nella commissione del traffico illecito di rifiuti, ha puramente e semplicemente presunto
la commissione dell’illecito. La motivazione del decreto di sequestro preventivo
è incompatibile con quella dell’ordinanza in data 4.2.2013, emessa dal tribunale
del riesame che ha annullato il decreto di sequestro preventivo emesso contro
l’impresa di trasporto Buscema ed ha ordinato l’immediata restituzione di quanto in sequestro.
4) mancanza di periculum in mora, posto che le irregolarità riscontrate sono inadempimenti amministrativi suscettibili di regolarizzazione e risultano dal
2010 realizzati i miglioramenti dell’impianto richiesti dal comune di Scicli, sicché non è più possibile sversare reflui in scarichi direttamente nel mare. Inoltre,
nella specie, la complessiva struttura turistico-residenziale è di per se stessa
completamente estranea al reato perché non esiste un rapporto strutturale e
strumentale con la supposta attività criminosa.
Motivi della decisione
Va preliminarmente ricordato che con decreto del 17.01.2013 il Gip presso
il Tribunale di Catania aveva disposto il sequestro preventivo, in relazione al
medesimo reato di cui all’art. 260 d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152, e sostanzialmente a fatti identici o comunque analoghi, sia della struttura turistica denominata
“Hotel villaggio Baia Samuele”, sia di quella denominata “Residence Marsa Sidà”
Con ordinanza del 26.3.2013 il Gip aveva poi respinto la richiesta di revoca del sequestro avanzata da Viva Francesco, amministratore unico e legale
rappresentante del complesso residenziale Marsa Siclà, in riferimento al sequestro di quest’ultimo complesso; ed il tribunale del riesame di Catania, con ordinanza 20.5.2013, aveva respinto il relativo appello.

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Avverso questa ordinanza il Viva propose ricorso per cassazione deducendo motivi sostanzialmente analoghi a quelli proposti oggi da Ghidoli Roberto
avverso l’ordinanza del medesimo tribunale del riesame dell’ 1 1 luglio 2013,
avente ad oggetto il sequestro del residence Hotel Villaggio Baia Samuele.
Il detto ricorso relativo al residence Marsa Siclà è stato esaminato da questa Sezione nell’udienza del 16 luglio 2013 ed è stato deciso con la sentenza in
pari data n. 39454/2013, depositata il 24 settembre 2013, con la quale è stata
annullata senza rinvio l’ordinanza impugnata del tribunale del riesame nonché il
decreto di sequestro preventivo del Gip del tribunale di Catania del 17 gennaio
2013 ed è stata disposta la restituzione dei beni agli aventi diritto.
Rileva il Collegio che non vi sono motivi per non decidere allo stesso modo il presente ricorso per cassazione, che riguarda una situazione sostanzialmente analoga per la quale, inoltre, gli aspetti rilevanti sono in gran parte identici.
Vanno pertanto qui richiamate, perché in toto condivisibili, le considerazioni svolte dalla citata sentenza n. 39454/2013 del 16 luglio 2013.
E’ principio pacifico che il ricorso per cassazione contro le ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto
mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice. (così, Sez. U, n. 25932 del 26 giugno 2008, Ivanov, Rv. 239692; in precedenza, con la sentenza Sez. U, n. 5876 del 13 febbraio 2004, P.C. Ferazzi in
proc. Bevilacqua, Rv. 226710, è stato precisato che mentre rientra nel sindacato
di legittimità la mancanza di motivazione o la presenza di una motivazione meramente apparente, non vi rientra la sua eventuale illogicità manifesta). In particolare, il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza emessa in sede di appello
cautelare ai sensi dell’art. 322-bis cod. proc. pen. è proponibile solo per violazione di legge (cfr. Sez. 1, n. 40827 del 27/10/2010, Madio, Rv. 248468) essendo in linea di principio riservato alla fase del riesame il riscontro del fumus delieti ed atteso che in sede di appello “possono essere solo dedotte questioni diverse da quelle relative alla legittimità dell’imposizione del vincolo, attinenti alla persistenza delle ragioni giustificanti il mantenimento della misura”, per cui
“la proposizione per la prima volta in sede d’appello di soli motivi attinenti alla
carenza, nel momento genetico della misura, delle condizioni di cui all’art. 321
cod. proc. pen., si traduce nell’inammissibilità del gravame” (in tal senso, Sez.
3, n. 17364 dell’8/3/2007, dep. 8/5/2007, Iannotta, Rv. 236602 e Sez. 3, n.
29234 dell’ 1 1/6/2003, dep. 11/7/2003, Carella, Rv. 226353).
Peraltro, la giurisprudenza ha stabilito anche che il principio devolutivo
deve essere inteso in senso ampio, e che “il tribunale ha sempre l’obbligo di esaminare quella parte della decisione impugnata che, quantunque non attinta dai
motivi di gravame, è così intimamente connessa con i punti oggetto di censura,
da rendere logicamente impossibile una loro considerazione isolata” (in tal senso cfr. Sez. 6, n. 10846 del 16/1/2007, Caselli, Rv. 235918). Perciò nella specie

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A,

il tribunale del riesame ha comunque dovuto esaminare gli elementi del reato di
cui all’art. 260 d.lgs n. 152 del 2006, posto a base del provvedimento impositivo
del vincolo reale, per riesaminare le valutazioni del Gip che aveva rigettato
l’istanza di revoca, facendo proprio il parere negativo del PM e richiamando il
precedenti provvedimenti già resi su analoghe istanze.
Orbene, proprio in riferimento al reato per cui si procede, deve essere rilevata la fondatezza del primo motivo di ricorso, con conseguente assorbimento
delle altre censure.
Sussiste infatti la lamentata violazione di legge afferente la non configurabilità nel caso di specie del fumus delitti dell’ipotesi delittuosa ascritta. Esaminando infatti il delitto di cui all’art. 260 d. lgs. n. 152 del 2006, lo stesso (già
previsto del resto dall’art. 53 bis del d. lgs. n. 22 del 1997, come introdotto dalla
legge 23 marzo 2001, n. 93) prevede la sanzione penale per chi, al fine di conseguire un ingiusto profitto, allestisce una organizzazione di traffico di rifiuti,
volta a gestire continuativamente, in modo illegale, ingenti quantitativi di rifiuti. Tale gestione dei rifiuti deve concretizzarsi in una pluralità di operazioni con
allestimento di mezzi ed attività continuative organizzate, ovvero attività di intermediazione e commercio (cfr. Sez. 3, n. 40827 del 6/10/2005, Carretta, Rv.
232348) e tale attività deve essere “abusiva”, ossia effettuata o senza le autorizzazioni necessarie (ovvero con autorizzazioni illegittime o scadute) o violando
le prescrizioni e/o i limiti delle autorizzazione stesse (ad esempio, la condotta
avente per oggetto una tipologia di rifiuti non rientranti nel titolo abilitativo, ed
anche tutte quelle attività che, per le modalità concrete con cui sono esplicate,
risultano totalmente difformi da quanto autorizzato, sì da non essere più giuridicamente riconducibili al titolo abilitativo rilasciato dalla competente Autorità
amministrativa) (cfr. Sez. 3, n. 40828 del 6/10/2005, Fradella, Rv. 232350).
Quindi il delitto in esame sanziona comportamenti non occasionali di soggetti
che, al fine di conseguire un ingiusto profitto, fanno della illecita gestione dei
rifiuti la loro redditizia, anche se non esclusiva attività, per cui per perfezionare
il reato è necessaria una, seppure rudimentale, organizzazione professionale
(mezzi e capitali) che sia in grado di gestire ingenti quantitativi di rifiuti in modo continuativo, ossia con pluralità di operazioni condotte in continuità temporale, operazioni che vanno valutate in modo globale: alla pluralità delle azioni,
che è elemento costitutivo del fatto, corrisponde una unica violazione di legge,
e perciò il reato è abituale dal momento che per il suo perfezionamento è necessaria le realizzazione di più comportamenti della stessa specie (cfr. Sez. 3, n.
46705 del 3/11/2009, Caserta, Rv. 245605, confermata anche da Sez. 3, n.
29619 dell’8/7/2010, Leorati, Rv. 248145, in riferimento proprio alla fattispecie
di cui all’art. 260, d. lgs. n. 152 del 2006).
Ora, nel caso di specie, non si riesce a comprendere, dalle motivazioni
dell’ordinanza impugnata, come il Residence Hotel Villaggio Baia Samuele
possa essere strumento di un traffico siffatto. In verità, l’ordinanza impugnata
non fornisce gli elementi sui quali possa dirsi integrato il fumus del delitto come
rubricato di cui all’art. 260 d.lgs n. 152 del 2006. Se è ben vero, infatti, che il
nostro sistema conosce la nozione di rifiuto liquido (acque reflue delle quali il
detentore si disfaccia senza versamento diretto nei corpi ricettori, avviandole al-

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lo smaltimento, trattamento o depurazione a mezzo di trasporto su strada, cfr.
Sez.3, n. 1383 del 29/3/2000, Sainato, Rv. 216061, oppure fanghi derivanti dal
trattamento delle acque reflue, Cfr. Sez.3, n. 10968 del 9/2/2006, Piccinini,
Rv.233674), nulla viene detto nell’ordinanza impugnata in merito a tale aspetto,
tenuto conto che tra i motivi sulla cui base era stato avanzato appello cautelare
vi era proprio espressa menzione del provvedimento di dissequestro emesso in
favore della ditta di trasporti che era stata coinvolta in relazione al trasporto di
fanghi fognari destinati alla discarica, circostanza che assume nell’ambito della
fattispecie come rubricata importanza essenziale.
L’affermazione, secondo cui, anche prescindendo dalla condotta di smaltimento dei fanghi fognari, il fumus del reato ipotizzato emergerebbe dalla realizzazione e predisposizione di un complessivo sistema, reiterato nel tempo, «finalizzato ad abbattere i costi di gestione dello smaltimento dei rifiuti mediante
sistematiche violazioni della normativa di riferimento, dovendosi inoltre ritenere ingente il volume complessivo dei rifiuti illecitamente smaltiti specialmente
nei mesi festivi, appare apodittica, oltre che del tutto generica, non essendo indicati gli specifici elementi di fatto su cui si fonda ed essendo richiamati solo
gli elementi emersi dai controlli della PG e le valutazioni del CT di parte Mazzona, senza uno specifico esame degli elementi, anche di carattere tecnico, offerti dalla difesa.
E’ parimenti apparente anche la motivazione sul fumus della presenza dei
ricordati presupposti per l’integrazione del delitto di cui all’art. 260 d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152, non essendo stata spiegata la relazione tra questa fattispecie
criminosa e la regolarità degli impianti il cui funzionamento determina il trattamento dei “reflui fognari” e delle “acque di scarico” di un residence turistico
di medie dimensioni. Non va invero dimenticato che l’origine della fattispecie
contestata è data dalla finalità di contrastare la criminalità organizzata (la c.d.
ecomafia) che gestisca quello che, correttamente, la norma definisce come un
“traffico” di rifiuti, organizzando in forma di impresa uno smaltimento negoziato con finalità di profitto. Non viene nella specie nemmeno ipotizzato, ad esempio, che gli indagati si fossero organizzati per conferire alle aziende agricole del
posto, come ammendante misto e/o come ramagni triturate, miscele di rifiuti
provenienti da impianti di stoccaggio destinati a ricevere fanghi biologici derivanti dal trattamento delle acque reflue.
Non viene poi spiegato in cosa consisterebbe la pluralità delle operazioni,
ed anzi in cosa consisterebbero le «operazioni» della cessione, della ricezione,
del trasporto le quali, per essere rilevanti, devono concorrere alla gestione del
traffico illecito.
Non viene spiegato in cosa si concretizzerebbe l’allestimento di mezzi e di
una attività continuativa organizzata, attività che dovrebbe peraltro essere finalizzata allo scopo ipotizzato dalla norma (traffico di rifiuti) e non alla prestazione di un servizio turistico.
Va inoltre tenuto presente che la norma dell’art. 260 cit. non attribuisce rilevanza alla violazione caratterizzata da mera colpa ed alle violazioni puramente formali slegate dal traffico illecito, ma intende qualificare il traffico in relazione al fatto che sia posto in essere con modalità abusive, ed in primo luogo

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clandestinamente. In altre parole, il requisito dell’abusività deve essere interpretato ed applicato in stretta connessione con gli altri elementi tipici della figura
delittuosa e perciò con la reiterazione della condotta di per sé illecita, con il dolo specifico e con l’ingiusto profitto. Esattamente la difesa osserva che la mancanza delle autorizzazioni non è certo determinante al fine di ravvisare il traffico illecito, ben potendo questo sussistere anche in presenza delle autorizzazioni,
a condizione che sia impossibile giuridicamente ricondurre la concreta gestione
dei rifiuti nell’ambito dell’autorizzazione concessa, di guisa che in realtà la gestione sia condotta in termini totalmente difformi dai titoli autorizzativi conseguiti. Per converso, la mancanza delle necessarie autorizzazioni, ove non sia
correlatile alla gestione del traffico illecito di rifiuti, bensì a condotte per così
dire comuni a qualsiasi trattamento dei reflui, è irrilevante agli effetti dell’accertamento del delitto in questione. Se così non fosse qualsiasi irregolarità amministrativa si trasformerebbe automaticamente nel delitto di traffico illecito. Nel
caso in esame, il provvedimento impugnato appare confondere talune irregolarità riscontrate sulla base delle indagini esperite dalla P.G. con le modalità abusive che normalmente caratterizzano il traffico illecito dei rifiuti e per di più richiama irregolarità delle quali non è assolutamente chiara la relazione causale
efficiente rispetto alla realizzazione del traffico illecito, apparendo avere invece
una rilevanza puramente formale. Non è stata esaminata l’eccezione difensiva
che nella specie, se le autorizzazioni fossero state richieste, sarebbero state ottenute perché non c’era alcuna preordinazione al compimento del traffico illecito. In particolare, circa gli elementi specificamente indicati dalla ordinanza impugnata – esistenza di un canale che costeggia il perimetro del residence e di un
altro canale che inizia dal sottopasso della Strada Provinciale 66 e giunge fino
al manto dunoso; mancato reperimento della documentazione di riscontro sulla
quantità e sulla qualità dei reflui introdotti nella struttura recettiva dell’impianto
di depurazione comunale; mancanza del contatore volumetrico — manca la motivazione sulle eccezioni specificamente sollevate dalla difesa sulla loro imprecisione o comunque irrilevanza.
E’ allo stesso modo meramente apparente la motivazione sul requisito della ingente quantità, che è stata ritenuta sul parametro della «continuità di sversamenti illeciti in rapporto agli elevati livelli di rifiuti da smaltire nei mesi estivi», senza spiegare perché il parametro degli elevati livelli di rifiuto da smaltire
nei mesi estivi sarebbe automaticamente correlabile con i c.d. sversamenti e con
la loro valutazione quantitativa. Non sono stati inoltre valutati i lavori che secondo la difesa sarebbero stati fatti, a partire dal 2010, per adeguare l’impianto
di Baia Samuele alle necessità di smaltimento dei reflui fognari.
In conclusione, deve ritenersi, anche in relazione al presente ricorso per
cassazione, che, a fronte di una tale carenza ed apoditticità motivazionale, l’ordinanza impugnata deve essere annullata senza rinvio, unitamente al decreto di
sequestro preventivo del residence Hotel Villaggio Baia Samuele, con la restituzione di quanto in sequestro all’avente diritto.
Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione
annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e il decreto di sequestro pre-

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ventivo del Gip del tribunale di Catania del 17.1.2013, ed ordina la restituzione
di quanto in sequestro agli aventi diritto.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 626 cod. proc.
pen.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 15
ottobre 2013.

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