Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44437 del 26/11/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 44437 Anno 2015
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: TARDIO ANGELA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ELEFANTE ANGELA, nata il 17/03/1964
avverso la sentenza n. 5/2013 CORTE ASSISE APPELLO di ANCONA
del 26/06/2013;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in pubblica udienza del 26/11/2014 la relazione fatta dal
Consigliere dott. Angela Tardio;
udito il Procuratore Generale in persona del dott. Oscar Cedrangolo,
che ha chiesto dichiararsi la inammissibilità del ricorso;
udito per la ricorrente l’avv. Tiziano Luzi, che ha chiesto
raccoglimento dei motivi del ricorso.

Data Udienza: 26/11/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 26 giugno 2013 la Corte di assise di appello di Ancona
ha confermato la sentenza del 23 luglio 2012 della Corte di assise di Ancona,
che, all’esito del giudizio abbreviato, aveva dichiarato Elefante Angela colpevole
del reato di omicidio in danno del marito Lospinuso Mario Rocco, colpito
all’emitorace sinistro con coltello da cucina il 27 marzo 2011 in Cerreto d’Esi, e,

aggravante del rapporto di coniugio e operata la riduzione per il rito, l’aveva
condannata alla pena di anni nove e mesi quattro di reclusione, dichiarandola
interdetta in perpetuo dai pubblici uffici e in stato di interdizione legale per la
durata della pena.

2. La vicenda processuale giunta al controllo di legittimità, che riguarda la
indicata imputazione, è ampiamente riportata nella sentenza di primo grado, che
ha illustrato i dati di fatto utilizzati e gli elementi probatori disponibili, tratti dagli
atti di indagine e dalla istruttoria documentale svolta, rappresentata dalle
indagini difensive e dalle note critiche dei consulenti tecnici di parte, alla cui
produzione l’imputata aveva condizionato la richiesta di giudizio abbreviato, già
respinta dal G.u.p. e reiterata alla Corte di assise, che l’aveva accolta, e dalle
osservazioni dei consulenti tecnici del Pubblico Ministero, che le aveva depositate
in replica alle note critiche della difesa.
2.1. Tale vicenda, che la Corte del gravame ha richiamato per sintesi,
muoveva dalla richiesta di intervento pervenuta alle ore 20,20 del 27 marzo
2011 alla Centrale Operativa del N.O.R. dei Carabinieri di Fabriano da parte di
tale Lospinuso (poi identificato in Lospinuso Giuseppe, figlio della vittima), che
aveva riferito, in stato di agitazione, che presso la sua abitazione in Cerreto d’Esi
vi erano evidenti macchie di sangue e il padre a terra in stato di incoscienza.
Mentre il personale del servizio 118, subito intervenuto, constatava alle ore
20,38 la morte dell’uomo, identificato in Lospinuso Mario Rocco, i Carabinieri
rilevavano e descrivevano la posizione della vittima, supina sul pavimento tra la
porta che divideva la cucina e il retrocucina, le chiazze di sangue visibili sul
pavimento tra le gambe divaricate della stessa e altre macchie di probabile
natura ematica; identificavano le persone presenti, che erano la moglie della
vittima, Elefante Angela, e il figlio Lospinuso Giuseppe, assumendo a sommarie
informazioni le stesse, la dott. Panichelli Livia, medico responsabile del servizio
118, e i vicini di casa Forti Emma e Ferranti Luigi.
2.2. Elefante Angela -sulla base delle cui indicazioni era individuata,
all’interno di un porta-posate vicino al lavandino, l’arma del delitto, costituita da
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concesse le circostanze attenuanti generiche ritenute prevalenti sulla contestata

un coltello da cucina in acciaio della lunghezza complessiva di ventinove
centimetri, con lama di sedici centimetri recante tracce di sangue sui due lati-,
nella immediatezza del fatto dichiarava che vi era stato un banale litigio con il
marito, a seguito del quale si era allontanata per andare in bagno, e, al suo
ritorno, aveva trovato a terra il marito, che pensato avesse avuto un malore,
negando di averlo colpito con un coltello; successivamente, verso le ore 2,00
della notte del 28 marzo 2011, mentre era sola con il m.11o Pellegrini, rendeva
piena confessione del fatto; esaminata alle ore 2,25 dello stesso 28 marzo 2011

videoriprese, alla presenza del difensore, ammetteva di avere colpito il marito,
pur negando la volontà di ucciderlo.
La stessa, sottoposta a fermo, poi convalidato con applicazione di misura
custodiale carceraria, rendeva, in sede di interrogatorio di garanzia il 31 marzo
2011, dichiarazioni in parte diverse, volte ad accreditare la tesi dell’accidentalità
del fatto.
Nel corso delle indagini erano disposte dal Pubblico Ministero ed espletate
due consulenze: una medico-legale e genetico-forense, affidata alla dott.ssa
Loredana Buscemi, per accertare cause, mezzi di produzione, circostanze e
modalità della morte della vittima, numero e caratteristiche delle lesioni,
compatibilità con le stesse del coltello in sequestro, appartenenza delle tracce
biologiche rilevate sul luogo del delitto, e una consulenza psichiatrica, affidata al
prof. Sergio Mario Corazza, per accertare eventuali disturbi psichici dell’indagata,
compresa la cronica intossicazione da alcool, incidenti sulla sua capacità di
intendere e volere al momento del fatto.

3. La Corte di assise di appello, che, in via preliminare, svolgeva
considerazioni critiche in merito alla specificità dei motivi di appello che
contrapponevano alla motivazione della sentenza impugnata, conforme al
paradigma fissato dall’art. 546 lett. e) cod. proc. pen., completa e persuasiva,
una lettura atomistica degli elementi probatori, non esaminati nel loro
complesso, e una consulenza di parte non supportata da persuasive
argomentazioni scientifiche, ripercorreva le risultanze processuali e rilevava, con
riferimento al primo motivo di appello, che:
– era del tutto pacifica la circostanza che era stata l’imputata a tenere la
condotta materiale che aveva portato il marito alla morte con il coltello in
sequestro, dimostrata dai primi accertamenti fatti dai Carabinieri, dalle
dichiarazioni rese dalle persone sentite nella immediatezza, tra le quali il figlio
dell’imputata e della vittima, dagli esiti degli accertamenti peritali, e dalle
dichiarazioni amnnissive, e mai ritrattate sul punto, dell’imputata, rimanendo in
tal modo gratuite le considerazioni difensive afferenti alla mancanza di tracce del

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dal Pubblico Ministero, che, interrotto il suo esame, lo proseguiva, con

DNA dell’imputata sul coltello, tecnicamente spiegata dal consulente Buscemi, e
al mancato espletamento di indagini dattiloscopiche;
– erano infondate le ipotesi prospettate dalla difesa in via alternativa rispetto
alla ricostruzione dei fatti operata nella sentenza di primo grado e tra esse
stesse, alla cui stregua il fatto era stato commesso dall’imputata per legittima
difesa o con gesto istintivo senza volontà di uccidere.
3.1. La disamina di tali prospettazioni era condotta ripercorrendo le versioni
rese dall’imputata:

interrogatorio al Pubblico Ministero, videoregistrato, riprodotto in DVD visionato
dai collegi giudicanti dei due gradi del giudizio, e riportato in sentenza con le
contestazioni e le domande del Pubblico Ministero interrogante, nel corso del
quale l’imputata, pur nello stato emotivo e di ebbrezza alcolica in cui era, aveva
reso dichiarazioni coerenti, descritto la dinamica del fatto con sufficientemente
corretta successione temporale, utilizzato un eloquio normale, non difficoltoso e
coerente al suo livello culturale, ammesso di avere colpito il marito in un
momento di rabbia, mimato il gesto commesso con il coltello, parlato delle gravi
difficoltà del rapporto coniugale, ed espresso il suo stato di liberazione
conseguito al fatto.
L’operazione difensiva, volta a valutare le singole espressioni e a
rappresentare ritenute contraddizioni, non appariva persuasiva non avendo
tenuto conto della dinamica dell’atto e del contrasto, evidenziato dal verbale di
interrogatorio e dalla sua registrazione, vissuto dall’imputata tra l’istinto
difensivo e quello di rendere una completa confessione, e composto
nell’ammissione del colpo involontario e nella precisazione dell’affermata
soddisfazione dell’evento, non voluto e verificatosi.
Né avevano valore tecnico-scientifico gli apprezzamenti del consulente di
parte, integralmente riportati in atto di appello, volti a evidenziare contraddizioni
del racconto e la inattendibilità delle dichiarazioni, ricondotta a una “debilitazione
psichica di fondo”, correlata a un affermato stato di etilismo cronico dell’imputata
e del suo turbamento cognitivo per lo stato di ubriachezza al momento del fatto,
in contrasto con la piena capacità cognitiva invece espressa dalla stessa ed
evidenziata dal video.
b. Le successive versioni rese dall’imputata erano gratuite ed esprimevano il
tentativo della stessa di ridimensionare fatti e responsabilità.
In sede di interrogatorio di garanzia dinanzi al G.i.p. il 31 marzo 2011,
l’imputata aveva parlato di frequenti litigi con il coniuge anche per futili motivi e
del loro comune abuso di alcool, di accidentalità del fatto conseguito alla
questione insorta tra loro su chi dovesse tagliare il pane e all’avvicinamento del
coniuge, forse colpito “d’incontro” da lei che aveva il coltello in mano, del suo
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a. la prima versione era stata resa nella immediatezza del fatto, in sede di

allontanamento per lavarsi le mani in bagno e del suo ritorno vedendo a terra il
marito, che aveva ritenuto svenuto, e raccogliendo il coltello trovato vicino allo
stesso (mentre in precedenza aveva dichiarato di avere raccolto da terra il
coltello, di essersi accorta di avere fatto qualcosa di grave e di essere fuggita in
bagno impaurita, in coerenza con il rinvenimento di tracce di sangue della
vittima sull’asciugamano).
c. In un memoriale depositato all’udienza di discussione di primo grado, non
autenticato nella firma come proveniente dall’imputata, rimasta assente nel

principale nell’atto di appello, “totalmente altra” rispetto a quanto dalla stessa
già dichiarato, e sostanziatasi nell’affermazione di essere stata aggredita alle
spalle dal marito mentre stava tagliando il pane e di averlo colpito girandosi.
Tale tesi era contraddetta dalle dichiarazioni rese dal figlio della vittima e
dell’imputata, Lospinuso Giuseppe, raccolte nella immediatezza e ripercorse, e
dal carattere generico e congetturale delle circostanze ipotizzate per sostenerla.
d. La tesi della insussistenza della connotazione dolosa della condotta,
sostenuta in modo residuale nell’atto di appello, secondo cui l’imputata aveva
lanciato il coltello al marito, seduto in cucina su una sedia a sdraio senza volontà
di ucciderlo, contrastava con la dinamica del fatto descritta nel memoriale e con
specifiche emergenze dimostrative della volontà di uccidere, sub specie di dolo
d’impeto e in ipotesi di dolo eventuale.
3.2. Sostenevano tale conclusione plurime considerazioni di natura tecnica,
quali la profondità della ferita (tredici centimetri), il mezzo utilizzato, la parte del
corpo della vittima attinta, certamente vitale in quanto sede di organi essenziali,
la direzione del colpo sferrato con assoluta micidialità, le caratteristiche oggettive
del coltello da cucina (evidenziate dalla consulenza della dr.ssa Buscemi) che per
le forme smusse richiedeva maggiore forza per penetrare lo strato cutaneo e il
suo accompagnamento durante l’azione, e considerazioni fattuali e logiche, quali
la non casuale presenza del coltello nelle mani dell’imputata, che non aveva
iniziato a tagliare il pane, il suo allontanamento dal marito dopo averlo colpito,
senza soccorrerlo, il confessato movente della condotta.
Non contrastavano tali rilievi la dedotta minima presenza di tracce ematiche
nella cucina, dove il fatto era avvenuto, rispetto a quelle rilevate nel cucinino,
avuto riguardo alla circostanza evidenziata dal consulente circa il tamponamento
operato dal coltello rispetto alla emorragia, poi avutasi con la sua estrazione,
mentre la posizione tenuta dalla vittima in leggera flessione al momento del suo
accoltellamento, indicata dal consulente, corrispondeva a quella descritta
dall’imputata nel suo interrogatorio.

giudizio, si era sostenuta la tesi della legittima difesa, rappresentata in via

4. Secondo la Corte del gravame, erano totalmente infondate le censure,
oggetto del secondo motivo di appello, riguardanti il mancato riconoscimento del
difetto di imputabilità dell’imputata, sulla base della consulenza di parte del prof.
Ricci Messori.
4.1. Era, innanzitutto, da escludere l’ipotesi della intossicazione cronica da
alcool, adombrata in detta consulenza.
Se il fatto era stato commesso in stato di ubriachezza con accertato tasso
alcolemico inferiore a quello indicato nella relazione di parte, non bastava per

mentre lo stato di intossicazione cronica provocava, per il suo carattere
ineliminabile e per l’impossibilità di guarigione, alterazioni patologiche
permanenti tali da far apparire indiscutibile la sussistenza di una malattia
psichica, non riscontrabile nella specie per essersi la situazione risolta o
quantomeno superata.
4.2. Con riguardo alla dedotta incapacità di intendere e volere in
conseguenza di grave disturbo psichico, pure sostenuta dal consulente di parte,
la Corte, che richiamava i principi affermati dalle Sezioni unite di questa Corte,
con sentenza n. 9631 del 2005, quanto alla necessità che il disturbo della
personalità fosse di consistenza, rilevanza e gravità tali da incidere
concretamente sulla imputabilità per rientrare nel concetto di infermità, e alla
sussistenza di un nesso eziologico tra lo stesso disturbo e la condotta criminosa
specifica, rilevava che dalla consulenza di parte emergeva più che un disturbo
della personalità dell’imputata una patologia del rapporto di coppia, che era
svincolata da basi scientifiche e processuali e fondata sulla valorizzazione delle
dichiarazioni della stessa imputata, traendosi in modo superficiale da
comportamenti strani dell’imputata dopo il fatto (come il tentativo di far alzare il
marito morto) un generico “stato dissociativo crepuscolare” al momento del
fatto.
Neppure, sotto il profilo del nesso eziologico, aveva alcun fondamento il
rilievo del consulente di parte, secondo cui l’imputata era precipitata nel panico a
fronte dell’assalto del marito reagendo in modo automatico e imprevisto, poiché
né vi era stato alcun assalto della vittima, né l’atto dell’imputata era stato
automatico, né il coltello si era trovato casualmente nelle sue mani.
4.3. Nessun problema psichico incidente sulla capacità di intendere e di
volere, peraltro, era stato mai manifestato dall’imputata, prima e dopo il fatto
criminoso, e anche il medico curante della stessa, Carlucci Giuliano, aveva
parlato di lieve stato di depressione curato con blandi farmaci.
Il consulente del Pubblico Ministero dott. Corazza aveva, a sua volta,
ampiamente evidenziato l’assoluta insussistenza di alcun disturbo psichiatrico
dell’imputata, incidente sulla sua imputabilità, e l’erroneità della diagnosi del
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escludere la capacità di intendere e di volere l’uso abituale di sostanze alcoliche,

consulente della difesa per non essere i tratti della personalità tali da integrare
un vero disturbo pervasivo e altamente problematico a livello interpersonale.
Conseguiva a tali rilievi che la condotta dell’imputata era stata il voluto
tragico epilogo di una storia coniugale in cui uno dei coniugi si era sentito
oppresso dall’altro e aveva deciso, anche per un motivo occasionale banale, di
eliminare l’origine del suo disagio esistenziale.

5. La richiesta di concessione dell’attenuante della provocazione, invocata

specifica motivazione del diniego.
Essa non era in ogni caso fondata, attesa l’abnormità della condotta
incriminata rispetto alla causa che l’avrebbe scatenata (normale lite per motivi
banali), e anche nell’ipotesi della c.d. provocazione per accumulo, pure
esaminata per completezza, era necessario lo stato d’ira che avesse ispirato la
condotta offensiva, mentre nella specie vi era stato un rapporto di conflittualità e
degrado coniugale e l’imputata era stata vittima di condotte del marito, senza
esservi stato un episodio scatenante in occasione del fatto omicidiario, non
emerso dai dati probatori disponibili.
(

6. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione Elefante
Angela per mezzo del suo difensore, avv. Tiziano Luzi, sviluppando quattro
motivi.
6.1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 606,
comma 1, lett. c), cod. proc. pen., in relazione all’art. 438 cod. proc. pen.
abnormità e nullità dei provvedimenti relativi all’ammissione e al rigetto del
giudizio abbreviato da parte del G.i.p.
La ricorrente premette la diffusa illustrazione degli accadimenti processuali
articolati in otto punti, e in particolare l’esercizio dell’azione penale nei suoi
confronti, l’emissione del decreto di giudizio immediato, la sua richiesta di
giudizio nelle forme del rito abbreviato, l’ammissione al detto giudizio, la sua
successiva specificazione della richiesta condizionata alla produzione di indagini
difensive, la revoca della già disposta ammissione al rito abbreviato con termine
al Pubblico Ministero di giorni quarantacinque per interloquire con i propri
consulenti e avanzare eventuale richiesta di prova contraria, il deposito delle
note integrative di detti consulenti, la sua reiterazione della richiesta di giudizio
abbreviato dinanzi ad altro giudice, che aveva sostituito il precedente, non
considerata perché tardiva con contestuale rigetto della originaria richiesta
condizionata per la irrilevanza della integrazione probatoria.
È evidente, secondo la ricorrente, l’assoluta abnormità e nullità dei
provvedimenti adottati, essendo al di fuori di ogni paradigma normativo la
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con il terzo motivo di appello e non formulata in primo grado, non richiedeva una

revoca di un giudizio abbreviato già ammesso, l’ammissione del Pubblico
Ministero alla prova contraria, la mancata riammissione del medesimo giudizio, il
successivo rigetto della richiesta per essere le prove già acquisite non
necessarie, mentre lo stesso Pubblico Ministero aveva esercitato il diritto alla
controprova rispetto a esse, senza trascurare che gli atti di indagine difensiva
erano assimilati a quelli compiuti dalla Polizia Giudiziaria e dal Pubblico Ministero,
in ordine ai quali valevano i principi fissati dalla Corte costituzionale con
sentenza n. 117 del 2011.

comma 1, lett. c), cod. proc. pen., in relazione all’art. 96 d.P.R. n. 115 del 2002
la nullità degli atti successivi, in essi compresa la sentenza di secondo grado, per
il ritardo della sua ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato.
Secondo la ricorrente, poiché detta ammissione, richiesta il 13 aprile 2011,
è avvenuta il 18 maggio 2011, il suo difensore non ha potuto fare tempestivo
ricorso ai consulenti tecnici, che ha incaricato solo dopo avere avuto contezza del
provvedimento di ammissione al patrocinio.
Al dedotto ritardo è conseguito un concreto e grave pregiudizio perché si
stavano svolgendo le indagini da parte del Pubblico Ministero e sulla sua pronta
denuncia all’udienza del 12 gennaio 2012 non è intervenuta alcuna pronuncia.
6.3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma
1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen., manifesta illogicità, contraddittorietà e
mancanza della motivazione, nonché inosservanza delle regole concernenti la
valutazione della prova in relazione alle modalità di ricostruzione del fatto da
parte della Corte di assise di appello.
6.3.1. Secondo la ricorrente, la valorizzazione operata dai Giudici del merito
delle sue dichiarazioni rese nella prima fase, rispetto a quelle successive, è volta
alla ricostruzione della vicenda in termini esclusivamente colpevolistici, non
riconoscendosi la possibilità di ritenere che l’evento letale si sia verificato per
legittima difesa o per un suo gesto volontario in assenza di dolo, e non
considerando che l’atto di appello era volto a dimostrare la sua assoluta
inattendibilità per incapacità di ricostruire esattamente il fatto subito dopo la sua
commissione.
Il fatto è, infatti, avvenuto nel cucinino e non nella cucina e la vittima si è
avventata contro essa ricorrente “forse” per colpirla ed essa “forse” si è girata e
l’ha colpita per difendersi o “forse” involontariamente, mentre la Corte di assise
prima e la Corte di assise di appello dopo, pur dinanzi alle sue dichiarazioni di
essersi confusa e di non ricordarsi, hanno valorizzato alcune frasi fra le tante
pronunciate e interpretato il materiale probatorio restante in modo unidirezionale
e incompleto.

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6.2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 606,

6.3.2. La Corte di assise di appello, inoltre, in luogo di rispondere alle
critiche mosse alla sentenza di primo grado, ha teso, secondo la ricorrente, a
svalutare l’atto di appello, che ha criticato quanto alla tecnica redazionale,
limitandosi a ritenere credibili le sue prime dichiarazioni senza considerare le
altre obiezioni (pagg. 2/6 dell’appello), integralmente e letteralmente riproposte
nel ricorso, e procedere a una complessiva lettura degli elementi probatori.
Essa ricorrente non era in grado di ricostruire la dinamica del fatto al
momento della confessione, come è dimostrato dalle numerose contraddizioni in

poteva essere ritenuta la “confessione” di una donna che si era liberata, avendo
essa sempre detto di non ricordare e di non sapere se aveva o meno colpito il
marito e di non averlo, comunque, fatto apposta, tentando di spiegare la
involontarietà del suo gesto.
La ricostruzione opposta è, invece, coerente con le risultanze probatorie
oggettive e con le sue dichiarazioni iniziali, apprezzate come genuine e non
interamente valutate, come evidenziato nei motivi di appello (pagg. 7/8), anche
sul punto riproposti.
Né, ad avviso della ricorrente, si è data risposta alla critica afferente alla
ricostruzione della dinamica del delitto operata dal consulente del Pubblico
Ministero dott.ssa Buscemi, che non ha mai effettuato un sopralluogo, come pure
dedotto sul punto nel richiamato e integralmente trascritto atto di appello (pagg.
11-14), mentre un tale adempimento avrebbe consentito di notare l’impossibilità
per la vittima di raggiungere il cucinino, dopo essere stata attinta con il coltello
da essa ricorrente in cucina, in presenza del mobilio e per l’esiguità dello spazio.
Né il consulente ha proceduto a una corretta valutazione delle tracce
ematiche, con conseguente omessa motivazione da parte della Corte di assise di
appello sui rilievi mossi al riguardo nell’atto di appello (pagg. 16 e 17
interamente riprodotte).
6.3.3. I Giudici dei precedenti gradi del giudizio, inoltre, secondo la
ricorrente, omettendo di valutare le sue dichiarazioni iniziali e il suo gesto
videoripreso di mimare la scena, in cui ha mostrato un movimento rotatorio del
busto e del braccio come per spiegare di avere colpito il marito che si trovava
dietro di lei in modo accidentale e involontario, hanno contraddittoriamente
valutato le sue successive dichiarazioni, e, in tale contesto, la Corte di assise di
appello, con motivazione viziata, ha finito con l’estrapolare dalle dichiarazioni
iniziali alcune frasi che ha ritenuto ammissive di responsabilità, che essa
ricorrente non si è mai attribuita, e considerando riconducibile a insussistenti
strategie difensive il suo racconto, invece genuino e spontaneo.
Errore evidente della sentenza è, inoltre, ad avviso della ricorrente, l’avere
ritenuto che, nelle prospettazioni difensive, l’assenza di dolo andasse ravvisata
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cui è incorsa, e la sua prima dichiarazione rilasciata al Pubblico Ministero non

nel fatto che essa aveva lanciato il coltello e che la incompatibilità della rilevata
condotta con il preteso lancio fosse sufficiente per la dimostrazione del dolo,
mentre si è più volte chiarito da essa stessa che con l’espressione “lanciare” si
voleva intendere “colpire”.
Né sono sufficienti i rilievi contenuti nella sentenza impugnata a fronte delle
censure mosse anche con riguardo alle incongrue prospettazioni del consulente
Buscemi quanto alla forma dell’arma.
6.4. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 606,

e mancanza della motivazione, nonché inosservanza delle regole concernenti la
valutazione della prova in relazione alla ritenuta insussistenza del difetto di
imputabilità al momento del fatto.
Secondo la ricorrente, la Corte di assise di appello è incorsa in
apprezzamenti negativi nei confronti del consulente di parte, mostrando difetto
di serenità nel giudizio e carenza di argomenti logici, incorrendo in rilievi
apodittici e contraddittori, dando sommo credito al consulente del Pubblico
Ministero, che l’aveva incontrata solo per qualche minuto senza neppure
sottoporla a test, non rispondendo alle argomentazioni del consulente di parte
(riportate nelle riproposte pagg. 8-10 dell’atto di appello), conseguite ad attenta
lettura degli atti del processo, e delle indagini difensive di parte, invece non
considerate dal consulente del Pubblico Ministero.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso, infondato o manifestamente infondato e/o inammissibile in ogni
sua deduzione, deve essere rigettato.

2. Le censure svolte con il primo motivo sono correlate nella loro formale
deduzione, sotto il profilo della incorsa violazione di legge, alla eccepita
abnormità e nullità dei provvedimenti adottati, quanto all’ammissione e al rigetto
del giudizio abbreviato da parte del G.i.p., a fronte degli illustrati accadimenti
processuali, verificatisi nel periodo dal 18 agosto 2011 (data della richiesta del
Pubblico Ministero di giudizio immediato con contestuale esercizio dell’azione
penale) al 12 gennaio 2012 (data dell’ordinanza reiettiva della richiesta, ritenuta
tardiva, di giudizio abbreviato).
2.1. Tali censure reclamano in termini generici un’affermata abnormità di
decisioni che la stessa ricorrente tuttavia indica, denunciando incorse illegittimità
più che radicali anomalie genetiche o funzionali, come conseguite alla sua
specificazione della richiesta iniziale di prosecuzione del giudizio nelle forme del
rito abbreviato, alla concessione del termine al Pubblico Ministero per eventuale

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comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen., manifesta illogicità, contraddittorietà

prova contraria a seguito dell’espresso condizionamento della sua richiesta alla
produzione di indagini difensive, e alla sua successiva reiterazione della richiesta.
Si tratta di censure precluse ai sensi dell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen.,
non avendo formato oggetto dei motivi di appello avverso la sentenza di primo
grado, né avendo costituito ragioni di doglianza nel corso del relativo giudizio,
svoltosi con le forme del rito abbreviato dinanzi alla Corte di assise di Ancona.
2.2. Non deve, in ogni caso, non rilevarsi che, con ordinanza del 16 aprile
2012, detta Corte ha ammesso il giudizio abbreviato -accogliendo la reiterata

delle indagini difensive e delle note critiche dei consulenti di parte, con
contestuale ammissione anche della prova documentale contraria offerta dal
Pubblico Ministero, e che la pena irrogata con le conformi sentenze di condanna
dei due gradi del giudizio di merito è stata ridotta per la scelta del rito.
Il rilievo assume peculiare valenza, come osservato anche dal Procuratore
Generale nel suo intervento orale rappresentando la carenza di interesse alla
deduzione del vizio, avendo riguardo ai principi, affermati in questa sede di
legittimità con riguardo al principio di offensività delle nullità, da parametrare al
criterio del conseguimento dello scopo e da legittimare una lettura non
rigidamente formalistica delle conseguenze derivanti dalla inosservanza di norme
processuali, ma riferita alla verifica della incidenza in concreto della questione e
della sussistenza di un interesse -concreto e attuale- alla sua prospettazione (tra
le altre, Sez. U, n. 19251 del 17/10/2006, dep. 09/03/2007, Michaeler, Rv.
235698; Sez. 3, n. 8698 del 17/01/2008, dep. 27/02/2008, Mancini, Rv.
238995; Sez. U, n. 36359 del 26/06/2008, dep. 23/09/2008, Carli, Rv. 240395,
sub 8 della motivazione, non massimata sul punto; Sez. 1, n. 21054 del
04/03/2010, dep. 04/06/2010, Bruno e altro, Rv. 247573), e considerando che
la ricorrente, ammessa al rito abbreviato e fruitrice del relativo sconto di pena,
non ha indicato, anche in questa sede, quale suo interesse concreto sia rimasto
pregiudicato, sfociando la svolta censura, sotto tale profilo, anche nel vizio
dell’aspecificità.

3. Analoghe sono le conclusioni cui si perviene con riguardo al secondo
motivo del ricorso, afferendo le osservazioni svolte alla tardività dell’ammissione
della ricorrente al patrocinio a spese dello Stato, disposta, nella fase delle
indagini preliminari, con ordinanza del 18 maggio 2011 in accoglimento della
richiesta del 13 aprile 2011.
3.1. Questa Corte ha più volte affermato che, in tema di patrocinio a spese
dello Stato, allorché l’imputato abbia presentato l’istanza di ammissione al
beneficio, non è configurabile alcuna nullità per l’omessa decisione sulla richiesta
da parte del giudice ai sensi dell’art. 96, comma 1, d.lgs. n. 115 del 2002, ove

11

richiesta del difensore, munito di procura speciale-, condizionato alla produzione

non siano state formulate censure relative a lesioni effettive e specifiche del
diritto di difesa, ma sia stata evocata esclusivamente la violazione della
disposizione nella sua astrattezza (tra le altre, Sez. 6, n. 46185 del 18/09/2003,
dep. 01/12/2003, Lo Castro, Rv. 226968; Sez. 2, n. 1528 del 22/11/2005,
dep. 16/01/2006,

Faraci,

Rv.

232987;

Sez.

5,

n.

2071

del

25/11/2008,

dep. 20/01/2009, Romanelli, Rv. 242357 Sez. 2, n. 23520 del 16/04/2009,
dep. 05/06/2009, Cosenza, Rv. 244232; Sez. 6,

n.

19080 del 28/01/2010,

dep. 20/05/2010, Catabiani, Rv. 247362).

ritengono che l’omessa decisione nel termine imposto dalla indicata norma
comporta l’automatica nullità di tutti gli atti compiuti, per i quali era necessaria
la partecipazione e l’esercizio del diritto di difesa, a prescindere dalla
dimostrazione del verificarsi di specifici pregiudizi (tra le altre, Sez. 1, n. 26324
del 29/05/2008, dep. 01/07/2008, Novelli, Rv. 240870), è in linea con la ratio
delle modifiche apportate dalla legge n. 134 del 2001 al testo originario dell’art.
6 legge n. 217 del 1990, n. 217, e cioè la previsione della sanzione della nullità
assoluta degli atti compresi tra la scadenza del termine di dieci giorni per la
decisione sull’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato e la data di
effettiva adozione del provvedimento sull’istanza, finalizzate ad assicurare
l’effettività del diritto di difesa, come affermato anche dalla Corte costituzionale
con sentenza n. 304 del 2003, cui consegue che, quando l’effettività del diritto di
difesa non risulta in concreto intaccata dal ritardo nel provvedere sulla istanza,
non viene in causa la ratio della norma e tanto meno la massima sanzione
processuale prevista.
Coerentemente si è osservato che la indicata conclusione è stata ratificata fermo rimanendo il principio del tempus regit actum- anche dall’intervento del
legislatore che, con la legge n. 125 del 2008, ha soppresso le parole, nel
richiamato art. 96, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990 “ovvero immediatamente,

se la stessa è presentata in udienza a pena di nullità assoluta ai sensi dell’art.
179 c.p.p., comma 2”,

lasciando intendere che l’omesso o il ritardato

provvedimento in tema di istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato
è tema che può eventualmente trovare tutela nelle nullità a regime intermedio,
quando e se si apprezzasse una concreta lesione al diritto di assistenza tecnica
dell’imputato, ai sensi dell’art. 178 lett. e) cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 24761 del
27/04/2010, dep. 01/07/2010, Lorandi, Rv. 247749).
3.2. Nella specie, la ricorrente né ha dedotto la questione nei gradi del
merito, né ha comunque dimostrato di avere subito alcun pregiudizio dal ritardo,
che si è limitata ad affermare.

12

Tale condiviso indirizzo, cui si oppongono alcune decisioni che invece

4. All’esame delle censure che attengono al merito della decisione, svolte
con il terzo motivo e che denunciano la illogicità, la contraddittorietà e la carenza*
della motivazione della sentenza con riguardo alla operata ricostruzione del fatto
e la inosservanza delle regole di valutazione della prova, deve premettersi il
richiamo, in via generale, come criterio metodologico, alla condivisa costante
giurisprudenza di questa Corte, alla cui stregua l’indagine di legittimità sul
discorso giustificativo della decisione deve essere limitato -per espressa volontà
del legislatore- a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui

delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo
convincimento, e di procedere alla “rilettura” degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al
giudice di merito (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, dep. 02/07/1997, Dessimone
e altri, Rv. 207944, e, tra le plurime conformi, Sez. 6, n. 29263 del 08/07/2010,
dep. 26/07/2010, Capanna e altro, Rv. 248192).
Non integrano, infatti, manifesta illogicità della motivazione come vizio
denunciabile in questa sede, la mera prospettazione di una diversa, e per il
ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali, né la diversa
ricostruzione degli atti ritenuta più logica, né la minima incongruenza, né la
mancata confutazione di un’argomentazione difensiva.
4.1. L’illogicità della motivazione deve, invece, consistere in carenze logico giuridiche, risultanti dal testo del provvedimento impugnato ed essere evidenti, e
cioè di spessore tale da essere percepibili ictu ocu/i, restando ininfluenti le
minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive, che,
anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la
decisione adottata (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, dep. 22/10/1996, Di
Francesco, Rv. 205621; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, dep. 16/12/1999, Spina,
Rv. 214794; Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, dep. 23/06/2000, Jakani, Rv.
216260; Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003 dep. 10/12/2003, Petrella, Rv.
226074, e, tra le plurime conformi, Sez. 3, n. 40873 del 21/10/2010,
dep. 18/11/2010, Merja, Rv. 248698), poiché, nella motivazione della sentenza,
il giudice di merito non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le
deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze
processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione
globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico e adeguato, le
ragioni che hanno determinato il suo convincimento, dimostrando di avere
tenuto presente ogni fatto decisivo, senza lasciare spazio a una valida alternativa
(tra le altre, Sez. 4, n. 1149 del 24/10/2005, dep. 13/01/2006 Mirabilia, Rv.
233187; Sez. 2, n. 18163 del 22/04/2008, dep. 06/05/2008, Ferdico, Rv.
239789; Sez. 2, n. 33577 del 26/05/2009, dep. 01/09/2009, Bevilacqua, Rv.
13

vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza

245238; Sez. 6, n. 20092 del 04/05/2011, dep. 20/05/2011, Schowick, Rv.
250105).
Un vizio motivazionale per essere stati trascurati o disattesi elementi di
valutazione, è, invece, configurabile, anche alla luce della nuova formulazione
dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., che consente un sindacato
esteso a quelle forme di patologia del discorso giustificativo riconoscibili solo
all’esito di una cognítío facti ex actís, nel contesto della categoria logico-giuridica
del travisamento della prova, quando il dato processuale/probatorio trascurato o

essenziale forza dimostrativa, secondo un parametro di rilevanza e di decisività
ai fini del decidere, tale da disarticolare effettivamente l’intero ragionamento
probatorio e da incidere sulla permanenza della sua

“resistenza”

logica,

rimanendo, in ogni caso, esclusa la possibilità che la verifica sulla correttezza e
completezza della motivazione si tramuti in una rilettura e reinterpretazione nel
merito del risultato probatorio, da contrapporre alla valutazione effettuata dal
giudice di merito (tra le altre, Sez. 6, n. 14624 del 20/03/2006,
dep. 27/04/2006, Vecchio, Rv. 233621; Sez. 1, n. 8094 del 11/01/2007, dep.
27/02/2007, Ienco, Rv. 236540; Sez. 3, n. 39729 del 18/06/2009, dep.
12/10/2009, Belluccia, Rv. 244623; Sez. 5, n. 18542 del 21/01/2011,
dep. 11/05/2011, Carone, Rv. 250168; Sez. 3, n. 37756 del 07/07/2011,
dep. 19/10/2011, Iannazzo, Rv. 251467; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013,
dep. 26/11/2013, Giugliano, Rv. 257499).
4.2. Alla luce delle indicate premesse metodologiche, fondate sui richiamati
condivisi principi di diritto, la sentenza impugnata si sottrae alle censure svolte
dalla ricorrente, la cui infondatezza consegue al rilievo che la valutazione
corretta e organica delle risultanze processuali, che si assume illegittima, carente
e contraddittoria, è stata compiutamente condotta secondo un iter logico che,
sviluppatosi in stretta ed essenziale correlazione con lo sviluppo decisionale della
sentenza di primo grado, con lo stesso formando un unico complesso corpo
argomentativo (tra le altre, Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, dep. 04/06/1992,

P.M., p.c., Musumeci e altri, Rv. 191229; Sez. 1, n. 17309 del 0/03/2008, dep.
24/04/2008, Calisti e altri, Rv. 240001), ha fornito, con argomentazioni basate
su una corretta utilizzazione e valutazione delle emergenze probatorie,
criticamente analizzate, una esauriente ricostruzione dei dati fattuali concernenti
la vicenda e delle fonti di prova, logicamente dando conto degli itinerari
interpretativi percorsi per pervenire alla decisione adottata.
La Corte del gravame di merito, infatti, che ha richiamato i dati probatori e
tecnici acquisiti agli atti che ha diffusamente illustrato (sintetizzati sub 4. e
relativi sottoparagrafi del “ritenuto in fatto”), ha ripercorso, con ragionevole
approccio logico, facendone oggetto di specifica disamina, le evidenze disponibili
14

travisato, oggetto di analitica censura chiaramente argomentata, abbia una

e il contenuto delle dichiarazioni rese, in occasione delle sue successive formali
audizioni, dall’imputata, odierna ricorrente, a partire da quelle assunte, nella
immediatezza del fatto, dal Pubblico Ministero, sottoponendo ad articolata, e
sotto alcun profilo meramente apodittica, analisi valutativa le versioni rese,
apprezzate anche alla luce della riproduzione videoregistrata dell’iniziale
interrogatorio, oggetto di diretta visione camerale, comparandole tra loro,
raffrontandole con le ulteriori emergenze acquisite e ponendole in coerente
correlazione con gli esiti degli accertamenti tecnici svolti dal consulente del

In questo percorso, la Corte -che, senza limitarsi a sovrapporre alla
struttura della decisione riformata le sua analisi fattuale e valutativa, non ha
omesso di confrontarsi con ciascuna osservazione e obiezione difensiva, fatte
oggetto dei motivi di appello, e di fornire argomentate risposte anche a fronte
della contestuale analisi critica delle conclusioni della consulenza tecnica di
parte- ha ragionevolmente motivato circa la ritenuta indubbia attribuzione alla
ricorrente della condotta materiale del fatto ascritto e della soccombenza dei
rilievi relativi alla mancanza di tracce del suo DNA sul coltello e di indagini
dattiloscopiche; ha logicamente rimarcato le ragioni della infondatezza delle
ipotesi ricostruttive del fatto, alternative a quella sostenuta nella sentenza di
primo grado, attingendo dalla prima versione resa dalla ricorrente, che ha
ripercorso con congruente approccio e ne ha fatto oggetto di specifico vaglio,
sottolineando che né le contraddizioni nel racconto rilevate dalla difesa né quelle
descritte dal consulente di parte avevano rispondenza nei dati fattuali e nei rilievi
tecnici; ha esaustivamente enunciato le ragioni della soccombenza rispetto a tale
analisi delle versioni successive, rese nel tempo dalla ricorrente, volte ad
accreditare la tesi dell’accidentalità del fatto o quella della legittima difesa e
giudicate gratuite e fantasiose, oltre che correlate a ipotesi totalmente
congetturali; ha plausibilmente evidenziato, con coerente valorizzazione delle
conclusioni della consulenza tecnica del Pubblico Ministero, le considerazioni
incontrovertibilmente dimostrative della volontà della ricorrente di uccidere sotto
il profilo tecnico e sotto il profilo logico-fattuale.
4.3. Si tratta di valutazioni congrue, che, fondandosi su dati coerenti con le
risultanze processuali e informandosi al principio di completezza nella
valutazione di tutti i dati fattuali, logici e tecnici, rappresentano, in modo
ragionevole rispetto al fine del provvedimento e con congruo approccio logico,
non astratto dal confronto con i temi dedotti a fondamento della invocata
pronuncia assolutoria, le ragioni giuridicamente significative, di carattere
necessariamente unitario e globale, della decisione di conferma
dell’apprezzamento conclusivo della responsabilità fatto in primo grado.

15

Pubblico Ministero.

Gli argomenti svolti dalla ricorrente, che ha opposto un modello alternativo
di ragionamento, ripercorrendo il contenuto delle deduzioni svolte con l’atto di
appello e ricorrendo alla scelta metodologica di ritrascriverne il contenuto in
contrapposizione rispetto ai vari passaggi motivazionali della sentenza, si
pongono, lungi dall’esprimere carenze, travisamenti o distorsioni logiche, e
invadendo il campo della discrezionalità nelle valutazioni di merito delle
risultanze probatorie, come censure sul significato, sulla interpretazione o sulla
valenza di alcuni degli elementi di giudizio o in doglianze appuntate sulla non

utilizzati in giudizio e come prospettazioni di dissenso rispetto alla valutazione
del risultato probatorio, nell’ottica di impegnare questa Corte in una non
consentita revisione in fatto dell’oggetto delle analisi svolte e delle conclusioni
raggiunte nel giudizio di merito.
Né la ricorrente, che ha prospettato contraddizioni interne ed esterne della
motivazione, dolendosi dell’omessa risposta alle sue osservazioni e deduzioni, si
è correlata con gli elementi evidenziati nella decisione impugnata, rispetto ai
quali ha espresso il suo diffuso dissenso, enunciando le, già rilevate, censure
invasive di analisi fattuali e di interpretazioni di merito, non illogiche né
manchevoli o scoordinate rispetto ai temi prospettati, e, peraltro, neppure
indicando la decisività delle rappresentate incongruenze a sorreggere
validamente ipotesi ricostruttive, alternative a quella accusatoria, unitamente
alle altre emergenze, da essa non considerate, e invece già apprezzate come non
rilevanti o sub valenti nella sentenza.

5. Destituite di fondamento sono, infine, le deduzioni che la ricorrente ha
formulato con il quarto motivo del ricorso, sotto i promiscui profili della
violazione di legge e del vizio di motivazione, in correlazione con la questione
attinente alla sussistenza della sua capacità di intendere e di volere al momento
del fatto.
La Corte di assise di appello, che ha correttamente richiamato e applicato i
condivisi principi fissati dalle Sezioni unite di questa Corte (Sez. U, n. 9163 del
25/01/2005, dep. 08/03/2005, Raso, Rv. 230317), ha esaustivamente
rappresentato, sì come sintetizzato sub 4 del “ritenuto in fatto”, l’iter logicoargomentativo che ha sorretto la conferma della valutazione finale negativa, cui
era già pervenuto il Giudice di primo grado, circa l’esistenza del reclamato vizio
di mente della ricorrente.
La Corte, sottoponendo a specifica disamina la relazione del consulente di
parte, ha indicato e illustrato le valutazioni del detto consulente che non ha
ritenuto fondate, rimarcandone diffusamente -contrariamente ai rilievi difensivi
che attengono alla dedotta omessa considerazione delle sue conclusioni- le

16

condivisa lettura nel merito degli elementi di conoscenza acquisiti al processo e

debolezze e incoerenze degli apprezzamenti anche in rapporto alle esposte
risultanze probatorie e alla condotta della ricorrente, che non aveva mostrato né
antecedenti né successivi problemi psichici o disturbi della personalità, incidenti
sulla sua imputabilità.
Né la sentenza, che ha motivatamente condiviso le conclusioni del
consulente del Pubblico Ministero, è incorsa in vuoti argomentativi quanto alla
valutazione del suo contenuto e della sua completezza, specificamente
richiamandone i passaggi motivazionali e indicando la condotta della ricorrente in

alla operata lettura delle dichiarazioni delle persone sentite in sede di
investigazioni difensive, che ha congruamente ritenuto deporre solo “per uno
stato di profondo disagio esistenziale e di sofferenza, rapporti conflittuali con il
coniuge, una situazione di emarginazione sociale, con tendenza all’abuso di
sostanze alcoliche e problemi ansioso-depressivi, che nulla hanno a che vedere
con la pretesa incapacità di intendere e di volere”.

6. Al rigetto del ricorso per le svolte considerazioni segue per legge, in forza
del disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al
pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, in data 26 novembre 2014

Il Consigliere estensore

Il Presidente

rapporto alla somministrazione dei test da parte del detto consulente, e quanto

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