Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44404 del 17/10/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 44404 Anno 2013
Presidente: AGRO’ ANTONIO
Relatore: APRILE ERCOLE

SENTENZA

sui ricorsi presentati da
1. Calì Antonio, nato a Catania il 11/06/1984
2. Longo Francesco, nato a Biancavilla il 18/06/1972

avverso la sentenza del 10/05/2012 della Corte di appello di Catania;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere Ercole Aprile;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Gabriele
Mazzotta, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO
E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Catania confermava la
pronuncia di primo grado del 07/12/2011 con la quale il Tribunale della stessa
città aveva condannato Antonio Calì e Francesco Longo alla pena di giustizia in
relazione al delitto di cui agli artt. 110 cod. pen. e 73 d.P.R. n. 309 del 1990, per

Data Udienza: 17/10/2013

avere, in Catania il 30/08/2010, concorso nella detenzione illegale di 40 dosi di
sostanza stupefacente del tipo marijuana.
Rilevava la Corte di appello come le prove acquisite avessero dimostrato il
concorso dei due imputati nella commissione del reato loro contestato, benché la
sostanza stupefacente sequestrata fosse stata trovata nella materiale
disponibilità di un coimputato; e come i due prevenuti non fossero meritevoli
della concessione delle attenuanti generiche e di un’ulteriore riduzione della pena

2. Avverso tale sentenza hanno presentato ricorso entrambi gli imputati, con
atti sottoscritti dai loro rispettivi difensori avv. Salvatore Pavone e avv. Dario
Polizza Favaloro, i quali hanno dedotto motivi di analogo contenuto.
2.1. Con un primo motivo i due prevenuti hanno denunciato il vizio di
motivazione, per contraddittorietà e manifesta illogicità, per avere la Corte di
appello ingiustificatamente confermato la condanna di primo grado, benchè le
carte del processo non avessero offerto la dimostrazione di un reale concorso
degli imputati nella detenzione illegale della droga rinvenuta nella materiale
disponibilità di altro soggetto, che si trovava a non poca distanza dal luogo in
cui, al momento dell’intervento degli agenti di polizia, erano posizionati il Cali ed
il Longo, e senza che in precedenza fosse stato accertato un qualche elemento di
collegamento tra i predetti ed il materiale detentore dello stupefacente; in più, il
Longo si è doluto del travisamento della prova, per avere i Giudici di merito
attributo al teste d’accusa Lugnan una dichiarazione dallo stesso mai resa.
2.2. Con un secondo motivo entrambi i ricorrenti si sono doluti della violazione
di legge, in relazione all’art. 133 cod. pen., e del vizio di motivazione, per
mancanza o manifesta illogicità, per avere la Corte territoriale omesso di
spiegare le ragioni giustificative del diniego delle attenuanti generiche e della
scelta in ordine alla dosimetria della pena.

3. Ritiene la Corte che i ricorsi siano inammissibili.

3.1. Il primo motivo sostanzialmente comune ai ricorsi di tutti e due gli
imputati, è stato proposto per ragioni diverse da quelle consentite dalla legge.
Anziché porre in evidenza uno o più vizi nel ragionamento probatorio capaci di
mettere in discussione la tenuta logica della motivazione adottata dai Giudici di
merito, i ricorrenti hanno formulato critiche che riguardano sostanzialmente la
ricostruzione dei fatti ovvero che si risolvono in una diversa valutazione delle
circostanze già valutate dalla Corte di appello: censure, come tali, non
esaminabili dalla Cassazione. Ed infatti, è pacifico come il controllo in sede di
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finale, stabilita dai primi giudici in misura adeguata alle caratteristiche del fatto.

legittimità non può comportare un coinvolgimento del giudizio ricostruttivo del
fatto ovvero un sindacato degli apprezzamenti del Giudice di merito in ordine
all’attendibilità delle fonti ed alla rilevanza e concludenza dei risultati del
materiale probatorio, quando la motivazione sia adeguata, coerente ed esente da
errori logici e giuridici.
Alla luce di tale regula iuris, bisogna riconoscere come i Giudici di merito
abbiano dato puntuale e logica contezza degli elementi di prova sui quali si fonda
la sentenza di condanna, chiarendo come la colpevolezza dei ricorrenti in ordine

avevano permesso di appurare che, nel corso di un’operazione di polizia
finalizzata a contrastare lo spaccio sistematico ed organizzato di droga curato da
più giovani all’interno di un piazzale di Catania, due poliziotti, fingendosi
acquirenti dello stupefacente, erano entrati in quello spiazzo ed avevano notato
un ragazzo, poi identificato nel Cali, che dava disposizione ad un altro di
perquisirli prima di indirizzarli verso una zona dove si trovava altro complice che,
alla vista degli agenti e ad un urlo di allarme, poco dopo si era dato alla fuga
lasciando cadere la busta contenente le quaranta confezioni di marijuana
sequestrata; e che un altro ragazzo, poi identificato nel Longo, che stava
svolgendo una funzione di ‘vedetta’, accortosi che i due ‘visitatori’ erano
poliziotti, era stato colui che aveva gridato quell’allarme, provocando la fuga di
tutti i presenti, compresi il Cali ed il giovane, rimasto non identificato, che stava
custodendo la droga destinata alla vendita (v. pagg. 2-3 sent. impugn.).
Ricostruzione, questa, che ha permesso fondatamente ai giudici di merito di
ritenere l’esistenza di una previa intesa tra tutte le persone elencate, compresi
gli odierni ricorrenti, nella detenzione a fine di spaccio di quella droga, con una
soluzione nella quale non è ravvisabile alcuna violazione di legge e che anzi è
conforme all’orientamento della giurisprudenza di questa Corte per il quale, per
un verso, a differenza della connivenza non punibile, che è qualificata dalla
tenuta da parte dell’agente di un comportamento meramente passivo, si ha
concorso nel reato di detenzione di sostanze stupefacenti quando l’interessato
abbia fornito un contributo partecipativo, morale o materiale, alla condotta
criminosa altrui, tenendo consapevolmente e volontariamente un comportamento
capace di concretizzare un contributo alla realizzazione del reato (in questo
senso, da ultimo, Sez. 6, n. 14606 del 18/02/2010, lemma, Rv. 247127); e, per
altro verso, il reato di favoreggiamento non è configurabile, con riferimento alla
illecita detenzione di sostanze stupefacenti, in costanza di detta detenzione,
perché, nei reati permanenti, qualunque agevolazione del colpevole, posta in
essere prima che la condotta di questi sia cessata, si risolve – salvo che non sia

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al delitto loro ascritto avesse trovato fondamento sui risultati dell’istruttoria che

diversamente previsto – in un concorso nel reato, quanto meno a carattere
morale (così Sez. U, n. 36258 del 24/05/2012, Biondi, Rv. 253151).
Aspecifica è la doglianza, formulata dal Longo, circa un asserito travisamento
della prova, per avere la Corte distrettuale attributo al teste Lugnan una frase
asseritamente non presente nella sua deposizione, in quanto dalla motivazione
della sentenza gravata (v., in specie, pag. 2) non si evince affatto che la frase di
allarme pronunciata dal Longo, il giorno in era stato commesso il reato, al
momento dell’intervento del personale della polizia giudiziaria, fosse stata

fosse stata altrimenti acquisita dai Giudici agli atti del dibattimento.

3.2. Il secondo motivo dei due ricorsi in esame, in parte comuni, sono generici.
Nella giurisprudenza di legittimità si è avuto modo ripetutamente di chiarire
che il requisito della specificità dei motivi implica non soltanto l’onere di dedurre
le censure che la parte intenda muovere in relazione ad uno o più punti
determinati della decisione, ma anche quello di indicare, in modo chiaro e
preciso, gli elementi che sono alla base delle censure medesime, al fine di
consentire al giudice dell’impugnazione di individuare i rilievi mossi ed esercitare
il proprio sindacato (così, tra le tante, Sez. 3, n. 5020 del 17/12/2009, Valentini,
Rv. 245907, Sez. 4, n. 24054 del 01/04/2004, Distante, Rv. 228586; Sez. 2, n.
8803 del 08/07/1999, Albanese, Rv. 214249).
Nel caso di specie i ricorrenti si sono limitati ad enunciare, in forma molto
indeterminata, il dissenso rispetto alle valutazioni compiute dalla Corte
territoriale, senza specificare gli aspetti di criticità di passaggi giustificativi della
decisione, cioè omettendo di confrontarsi realmente con la motivazione della
sentenza gravata: pronuncia con la quale erano state analiticamente indicate le
ragioni per le quali al Calì (che di tanto si è specificamente doluto) non potessero
essere concesse le attenuanti generiche e ai due gli imputati non potesse essere
ulteriormente ridotta la pena irrogata dai Giudici di prime cure, atteso che, pur
beneficiando entrambi i prevenuti della circostanza attenuante di cui all’art. 73,
comma 5, d.P.R. cit., la sanzione finale inflitta risultava confacente alla
valutazione dei parametri fissati dall’art. 133 cod. pen., applicabili anche ai fini
dell’art. 62 bis cod. pen., e, in particolare, alle modalità organizzative dello
spaccio denotanti una situazione di offensività tutt’altro che ridotta (v. pag. 3
sent. impugn.).

4. Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue, a norma dell’art.
616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento in favore dell’erario
delle spese del presente procedimento ed ciascuno al pagamento in favore della
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riportata nell’istruttoria dibattimentale proprio dal suddetto testimone e non

cassa delle ammende di una somma, che si stima equo fissare nell’importo
indicato nel dispositivo che segue.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e ciascuno della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle
ammende.

Così deciso il 17/10/2013

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