Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44396 del 17/07/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 5 Num. 44396 Anno 2013
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PAGLIANI CARLO
ORLACCHIO SALVATORE
BASSO PAOLO
CORSI STEFANO
CORIGLIONE RAFFAELE
MORGAN STANLEY BANK INTERNATIONAL LTD. MILAN
BRANCH
MORGAN STANLEY & CO. INTERNATIONAL PLC
avverso l’ordinanza n. 16/2012 CORTE APPELLO di BOLOGNA, del
11/01/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FERDINANDO
LIGNOLA;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 17/07/2013

Letta la requisitoria scritta del Sostituto Procuratore Generale, Dott. Luigi Riello,
che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 11 gennaio 2013, la Corte di appello di Bologna
dichiarava inammissibili le dichiarazioni di ricusazione presentate nell’interesse di

Coriglioni, Morgan Stanley Bank International Ltd. Milan Branch e Morgan
Stanley & Co. International Plc., nei confronti del Dr. Ettore Mastroberardino,
Presidente del collegio giudicante del Tribunale di Parma, in relazione al proc.
715/2009 Dibatt. Trib. Parma, per manifesta infondatezza.
1.1 La Corte territoriale premetteva che il procedimento penale cui si riferiscono
le ricusazioni ha per oggetto accuse di bancarotta impropria connessa allo stato
di insolvenza delle società Parmalat s.p.a., Parmalat Finanziaria s.p.a., Parmalat
Fnance Corporation BV.; il Dr. Ettore Mastroberardino era stato ricusato all’esito
dell’acquisizione di una sentenza – la n. 878/2011 – emessa nel procedimento
1040/2007 e coestesa dal dott. Mastroberardino perché, nel processo contro
Arpe Matteo, Geronzi ed altri (cd. “processo Capitalia”), il collegio giudicante
avrebbe espresso una valutazione di merito sullo stesso fatto contestato gli
attuali imputati.
Secondo i ricusanti, proseguiva la Corte territoriale, sussisterebbe la causa di
ricusazione di cui all’art. 37 c.p.p., lettera b), nella lettura conseguente alla
dichiarazione di incostituzionalità operata con la sentenza n. 283 del 2000,
poiché in entrambi i processi gli imputati sono chiamati a rispondere di concorso
in bancarotta commessa da amministratori e dirigenti di società del gruppo
Parmalat, sul presupposto di aver agito, quali operatori bancari, dipendenti di
istituti di credito e finanziari con i quali il gruppo Parmalat aveva intrattenuto
rapporti. Vi è poi una omologa contestazione di concorso in operazioni dolose,
rilevanti ai sensi dell’articolo 223, comma 2, n. 2 della legge fallimentare, per
effetto delle quali si aggravava il dissesto delle società.
L’istanza di ricusazione approfondisce il profilo dell’elemento soggettivo del
reato, segnalando come nei procedimenti riguardanti le banche e convergenti sul
default del gruppo Parmalat, pur in presenza di fatti diversi, il dato centrale è
rappresentato dalla consapevolezza della situazione reale in cui il gruppo versava
in capo a chi erogava credito o comunque organizzava le emissioni
obbligazionarie. Perciò il percorso logico/argomentativo dell’estensore della
sentenza è stato tale da comportare una valutazione di merito anticipata anche
nel processo contro Carlo Pagliani ed altri.

2

Carlo Pagliani, Salvatore Orlacchio, Paolo Basso, Stefano Corsi, Raffaele

Dopo aver ricordato che, secondo la giurisprudenza di legittimità, le norme sulla
ricusazione, derogando al principio del giudice naturale, non ammettono
interpretazione estensiva o analogica, la Corte osservava che il giudizio in corso
di trattazione riguardava fatti e condotte diversi e autonomi rispetto a quelli
esaminati nei procedimenti richiamati, avvenuti in tempi diversi e riguardanti
altri soggetti; pertanto dichiarava inammissibile la dichiarazione di ricusazione.

Cassazione Carlo Pagliani, Salvatore Orlacchio, Paolo Basso, Stefano Corsi,
Raffaele Coriglioni, Morgan Stanley Bank International Ltd. Milan Branch e
Morgan Stanley & Co. International Plc., con unico atto a firma dei rispettivi
difensori, affidato a tre motivi.
3.1 Con il primo motivo i ricorrenti deducono nullità dell’ordinanza per carenza di
motivazione, a norma degli articoli 606, lettera C, e 125 cod. proc. pen..
Secondo i ricorrenti la Corte di appello ha omesso di confrontarsi con le
argomentazioni difensive e, soprattutto, con le esplicite indicazioni fornite dalla
Corte costituzionale della sentenza n. 283 del 2000, con riferimento all’art. 37,
comma 1, cod. proc. pen.. In particolare si osserva che le affermazioni contenute
nella sentenza “Capitalia” alle pagine 396, 403 e soprattutto 421 (di quest’ultima
è riportato un ampio passaggio, già ripreso alle pagine 18 e 19 della
dichiarazione di ricusazione) esprime una generalizzazione pregiudicante, poiché
si afferma che una categoria di soggetti (gli operatori esperti, quali sono quelli
degli istituti bancari) posseggono gli strumenti culturali per valutare anche da
soli il grado di affidabilità di un bilancio e dunque rispetto a tale categoria di
soggetti viene affermato l’elemento soggettivo dei reati. Analoga affermazione è
contenuta in una sentenza di applicazione della pena pronunciata dal Gip di
Parma nei confronti dei concorrenti con gli odierni imputati in relazione al capo B
dell’imputazione.
A giudizio dei ricorrenti l’ordinanza impugnata, che affronta i temi proposti
esclusivamente in cinque righe alle pagine 9 e 10, non coglie la censura e
dunque risulta evidente la mancanza di motivazione dell’impugnata ordinanza sul
tema oggetto della dichiarazione di ricusazione. Infatti, alla luce della
motivazione della sentenza della Consulta già richiamata, la quale rimette
all’elaborazione giurisprudenziale la definizione dei vari casi di applicazione della
nuova causa di ricusazione, il mero richiamo alla circostanza che il processo di
cui si tratta non ha ad oggetto gli stessi fatti e gli stessi soggetti è del tutto
inadeguato, poiché sulla base della affermazione della Corte costituzionale il
giudice di merito deve travalicare gli estremi dell’addizione, prevenendo ulteriori
questioni di costituzionalità in materia.

3

3 Contro il provvedimento della Corte d’appello di Bologna ricorrono per

3.2 Con il secondo motivo i ricorrenti deducono manifesta illogicità e
contraddittorietà della motivazione, nella parte in cui, sulla scia del parere della
Procura generale, si nega la natura indebita delle valutazioni espresse nella
sentenza “Capitalia” dal Dott. Mastroberardino; parimenti illogica è considerata
la considerazione, impropriamente attribuita ai ricusanti, secondo cui il giudice
avrebbe operato una anticipazione di giudizio con la conduzione dell’istruzione
probatoria. Entrambi gli argomenti sono del tutto estranei al motivo di

elementi portati a supporto del giudizio, espresso in termini generali e logici,
formulato nella sentenza “Capitalia” a proposito dell’elemento soggettivo degli
appartenenti al genus degli operatori bancari qualificati e quanto ricostruito dal
principale teste d’accusa nel processo in corso. Altro vizio logico viene indicato
nell’aver considerato la sentenza della Corte costituzionale n. 283 del 2000 quale
una pronuncia meramente interpretativa, laddove invece essa è da qualificare
come decisione manipolativa di tipo additivo, la quale vincola il giudice di merito
anche nella sua parte motivazionale, ed in particolare laddove rinvia
all’elaborazione giurisprudenziale per la definizione dei vari casi di applicazione
della causa di ricusazione.
3.3 Con il terzo motivo i ricorrenti chiedono, in subordine rispetto ai motivi di
annullamento, la rimessione degli atti alla Corte costituzionale per l’illegittimità
dell’art. 37 cod. proc. pen., in relazione agli articoli 27 e 11 Costituzione, nella
parte in cui la disposizione non prevede come causa di ricusazione la
generalizzazione pregiudicante, ossia l’avere il giudice espresso, in altro
procedimento, ancorché non riguardante lo stesso fatto ed il medesimo
imputato, un convincimento di carattere generale, tale da produrre in concreto
un effetto pregiudicante per la sua imparzialità.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e pertanto va rigettato.
2. Preliminarmente va ricordato che le previsioni delle ipotesi di ricusazione si
configurano come norme eccezionali, sia perché determinano limiti all’esercizio
del potere giurisdizionale e, più in particolare, della capacità del giudice, sia
perché consentono una ingerenza delle parti in materia di ordinamento
giudiziario attinente al rapporto di diritto pubblico tra Stato e giudice e, quindi,
ordinariamente sottratta alla disponibilità delle parti e dello stesso giudice: con la
conseguenza che i casi regolati, le formalità e i termini di proposizione
dell’istanza di ricusazione hanno carattere di tassatività non solo nel senso che
non possono essere applicati in via analogica, ma anche nel senso che la loro
4

ricusazione, che invece fa riferimento ad una quasi perfetta coincidenza tra gli

interpretazione deve essere soltanto letterale con esclusione di ogni
interpretazione estensiva (cfr., ex plurimis, Cass., sez. 1^, 24 settembre 2000,
n. 42633, Sciuto).
Va, inoltre, rilevato che l’art. 37 c.p.p., nell’indicare i casi di ricusazione,
richiama, tra le altre, le ipotesi previste dal precedente art. 36 c.p.p., che
impongono l’obbligo dell’astensione, ma esclude quella della lettera b), stesso
articolo, non consentendo così la presentazione di una dichiarazione di

3. Fatta questa premessa, appare evidente l’infondatezza del primo motivo.
I ricorrenti lamentano omessa motivazione dell’ordinanza della Corte territoriale,
poiché non sarebbe stato in alcun modo affrontato – se non in un fugace
richiamo di cinque righe – il tema proposto circa il carattere pregiudicante
dell’affermazione di carattere generale fatta in altro procedimento, pur se non
riguardante lo stesso fatto ed il medesimo imputato, un convincimento, che però
in concreto pregiudichi l’imparzialità del giudicante.
3.1 In tale sintetico passaggio della decisione, per la verità, la Corte territoriale
sottolinea come “il fatto non sia lo stesso (anche se omologo, per il tratto che
riguarda la enucleazione del crack Parmalat – bancarotte per distrazione, falsi in
bilancio e molto altro – e delle sue cause) e totalmente diversi – quindi non i
medesimi – gli imputati.” In tal modo viene esclusa l’applicabilità della causa di
ricusazione indicata dalla Corte costituzionale nella sentenza 283 del 2000, con
la quale era dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 37, comma 1, del
codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che possa essere
ricusato dalle parti il giudice che, chiamato a decidere sulla responsabilità di un
imputato, abbia espresso in altro procedimento, anche non penale, una
valutazione di merito sullo stesso fatto nei confronti del medesimo soggetto.
A giudizio del ricorrente la Corte territoriale non avrebbe colto il vero significato
di quella decisione, laddove rinvia all’elaborazione giurisprudenziale – così come
è avvenuto per le cause di astensione e di ricusazione già previste nel codice – la
definizione dei vari casi di applicazione di questa causa di ricusazione.
L’assunto non è condivisibile, poiché nello sviluppo motivazionale l’ordinanza
impugnata richiama una serie di massime di questa Corte, la maggior parte delle
quali successive alla decisione della Consulta, nelle quali viene esclusa la
sussistenza delle condizioni per la ricusazione anche in casi di identità soggettiva
e di reati formalmente connessi a quello pregiudicante, proprio allo scopo di
verificare la concreta applicazione del principio operata dal giudice della
nomofilachia.
Così, solo per limitarsi ad alcuni esempi, è richiamata una decisione della Prima
sezione (Sez. 1, n. 21064 del 12/05/2010, Abbruzzese, Rv. 247578) nella quale

5

ricusazione per “gravi ragioni di convenienza”.

si esclude la ricusabilità del magistrato componente della Corte di assise davanti
alla quale è incardinato un procedimento penale per reati di omicidio commessi
al fine di agevolare un’associazione di tipo mafioso, e quindi aggravati ai sensi
dell’art. 7 D.L. n. 152 del 1991, che abbia già concorso alla pronuncia di
condanna dello stesso imputato per il reato associativo, sulla base delle
dichiarazioni dei medesimi collaboratori di giustizia da escutere nel nuovo
dibattimento; altra decisione richiamata (Sez. 1, n. 22794 del 13/05/2009,

soggetto imputato di un fatto aggravato dall’essere stato commesso per
agevolare un’associazione mafiosa abbia in precedenza pronunciato condanna
per altri fatti, commessi in tempi diversi ma pure aggravati dell’essere stati posti
in essere per agevolare la medesima associazione mafiosa; un terzo esempio
(Sez. 2, n. 2819 del 20/11/2008 – dep. 21/01/2009, Marabiti, Rv. 242652), solo
per completare la citazione esemplificativa, riguarda la ricusazione proposta nei
confronti del giudice dell’udienza preliminare sul rilievo di una sua presunta
incompatibilità, determinata dall’avere egli già trattato in precedenza altro
procedimento nei confronti di coimputati per fatti basati su identici elementi di
prova per i quali si proceda contro l’imputato ricusante.
3.2 Attraverso tale tecnica argomentativa, dunque, è stato compiutamente
assolto l’obbligo motivazionale nel provvedimento impugnato.
4. Anche il secondo motivo, attinente vizio motivazionale sotto il profilo della
illogicità e contraddittorietà, è infondato.
4.1 D ricorrente lamenta che la Corte territoriale abbia insistito sul carattere non
indebito del pronunciamento del dott. Mastroberardino ed abbia escluso che la
conduzione dell’istruttoria abbia determinato una anticipazione di giudizio, poiché
tali argomenti sono del tutto estranei all’unico motivo di ricusazione, riguardante
solo l’affermazione di carattere generale riguardante gli operatori bancari; in tal
modo avrebbe dimostrato di non aver colto il significato degli argomenti posti a
base della dichiarazione di ricusazione.
Va innanzi tutto osservato che tale motivo, laddove non chiarisce in cosa
consisterebbe tale contraddittorietà o manifesta illogicità, deve ritenersi al limite
dell’inammissibilità per genericità, poiché una argomentazione che si ritiene non
strettamente rilevante (e che non si traduca in un vizio di ultra-petizione contra
reum) non comporta di per sé motivazione illogica o contraddittoria, ma può

costituire al più una spia dell’omessa motivazione, comunque già esclusa con
riferimento al primo motivo.
In ogni caso deve qui osservarsi che le considerazioni censurate, riprese dal
parere della Procura Generale, non comportano alcuna contraddizione o illogicità
manifesta, poiché rispondono alla tecnica motivazionale scelta dalla Corte,
6

Bontempo Scavo, Rv. 244381) attiene al caso del giudice che nei confronti del

pienamente legittima, di escludere la sussistenza della causa di ricusazione per
gradi, esaminando la fattispecie alla luce dell’art. 37, comma 1, lettera B cod.
proc. pen., norma per la verità indicata espressamente (ed a stretto rigore,
impropriamente) proprio dai ricorrenti (pagina 15 della dichiarazione di
ricusazione) come oggetto della dichiarazione di illegittimità costituzionale,
ancorchè in realtà la decisione della Corte costituzionale abbia riguardato più
genericamente il primo comma dell’art. 37 e non solo la lettera B.

cause di ricusazione e di astensione disciplinate dagli artt. 37, comma 1, lettera
b), e 36, comma 1, lettera c), cod. proc. pen.,” come quelle che “all’apparenza
presentano maggiori affinità con le fattispecie dedotte in giudizio”.
5. Va a questo punto esaminata la questione di illegittimità costituzionale
dell’art. 37 cod. proc. pen., proposta con il terzo motivo in via subordinata, per il
caso di mancato accoglimento dei primi due.
I ricorrenti eccepiscono l’illegittimità della norma del codice di rito, per contrasto
con gli articoli 24 e 111 Cost., nella parte in cui non prevede tra le cause di
ricusazione, l’avere il giudice espresso, in altro procedimento, ancorchè non
riguardante lo stesso fatto ed il medesimo imputato, un convincimento di
carattere generale, tale da produrre in concreto un effetto pregiudicante per la
sua imparzialità.
In realtà il motivo riprende il ragionamento seguito negli altri due, censurando la
lettura che la Corte territoriale fa della sentenza 283 del 2000 della Corte
costituzionale, sulla base del dispositivo della decisione, che limita la nuova
ipotesi di ricusazione alle ipotesi in cui la decisione pregiudicante e quella
pregiudicata riguardino lo stesso imputato e lo stesso fatto e suggerendo una
interpretazione estensiva della causa di ricusazione, tale da ricomprendere anche
l’ipotesi della cd. “generalizzazione pregiudicante”. Solo in via residuale si
sollecita la Corte a sollevare la questione di legittimità costituzionale sulla
materia, invocando le argomentazioni della sentenza 283 del 2000 della Consulta
ed indicando come parametri costituzionali rispetto ai quali ritiene confliggente la
norma del codice di rito gli articoli 24 e 111, comma 2, della Costituzione.
5.1 Posta in questi termini la questione di illegittimità costituzionale va dichiarata
manifestamente infondata.
In primo luogo, la causa di ricusazione di cui si lamenta la mancata previsione
sarebbe in evidente contrasto con i richiamati principi costituzionali, in quanto
caratterizzata da estrema indeterminatezza.
I ricorrenti vorrebbero, infatti, che anche una semplice affermazione “in termini
generali e logici” riguardante l’elemento soggettivo degli appartenenti al genus
degli operatori bancari qualificati, anche in presenza di soggetti diversi, possa
7

Del resto la stessa Consulta, nella decisione più volte richiamata, indica “le due

integrare l’attività “pregiudicante” necessaria per proporre una dichiarazione di
ricusazione: e può qui ripetersi quanto già osservato dalla Corte regolatrice in
proposito dei casi di incompatibilità e cioè che “sarebbe impossibile pretendere
dal legislatore uno sforzo di astrazione e di tipicizzazione idoneo a individuare a
priori tutte le situazioni in cui il giudice, avendo esercitato funzioni giudiziarie in
un diverso procedimento, potrebbe poi venire a trovarsi in una situazione di
incompatibilità nel successivo procedimento penale” (sentenza n. 308 del 1997).

delle incompatibilità, dispersa in una casistica senza fine, diverrebbe refrattaria a
qualsiasi tentativo di amministrazione mediante atti di organizzazione
preventiva” (sentenza n. 307 del 1997).
Nè a sostegno della tesi prospettata dai ricorrenti può essere evocata la sentenza
n. 283 del 2000.
La Corte costituzionale, nel ricostruire i complessi rapporti tra gli istituti
dell’astensione/ricusazione da un lato e della incompatibilità, dall’altro, ha
affermato che “la disciplina in materia deve essere comunque idonea ad evitare
che il giudice chiamato a svolgere funzioni di giudizio possa essere, o anche solo
apparire, condizionato da precedenti valutazioni espresse sulla medesima res
judicanda, tali da esporto alla forza della prevenzione derivante dalle attività
giudiziarie precedentemente svolte” e che la scelta del legislatore di qualificare
una situazione come causa di incompatibilità, ovvero di astensione e di
ricusazione, discende dalla possibilità o dalla impossibilità di valutarne
preventivamente e in astratto l’effetto pregiudicante per l’imparzialità del giudice
penale (cfr., in particolare, sentenza n. 308 del 1997).
Infatti, le situazioni pregiudizievoli per l’imparzialità del giudice riconducibili
all’istituto dell’incompatibilità operano all’interno del medesimo procedimento in
cui interviene la funzione pregiudicata e si riferiscono ad atti o funzioni che
hanno di per sè effetto pregiudicante, sono astrattamente tipicizzate dal
legislatore, perché sono prevedibili e quindi prevenibili; viceversa, gli istituti della
astensione/ricusazione sono caratterizzati dal riferirsi a situazioni pregiudizievoli
per l’imparzialità della funzione giudicante che normalmente preesistono al
procedimento, ovvero si collocano comunque al di fuori di esso.
Anche l’ipotesi di ricusazione descritta dall’art. 37 c.p.p., comma 1, lettera b),
non si sottrae a questo criterio di massima: il giudice che nell’esercizio delle
funzioni ha manifestato indebitamente il proprio convincimento sui fatti oggetto
dell’imputazione opera – per usare le espressioni della prevalente giurisprudenza
di legittimità – fuori della sede processuale e dei compiti che gli sono propri.
All’esame della Corte costituzionale, nell’occasione di cui alla citata sentenza,
erano state rimesse questioni nelle quali, da un lato, i giudici ricusati avevano in

8

E ancora, che “ove tale onere venisse imposto al legislatore, l’intera materia

precedenza espresso, nell’ambito di un diverso procedimento relativo
all’applicazione di una misura di prevenzione, valutazioni e giudizi di merito sulla
posizione dei destinatari delle misure, in relazione ai medesimi fatti loro attribuiti
nel giudico penale, ovvero avevano accertato, nell’ambito del procedimento di
prevenzione, l’esistenza dell’associazione di stampo mafioso e la partecipazione
ad essa dei medesimi soggetti poi sottoposti a giudizio penale per il delitto di cui
all’art. 416 bis c.p.; dall’altro, avevano esercitato funzioni giudicanti in altro

agevolare l’attività dell’associazione di cui all’art. 416 bis c.p., conclusosi con la
condanna della persona ora imputata del delitto di partecipazione a quella
medesima associazione di stampo mafioso la cui esistenza era stata già valutata

sub specie di circostanza aggravante.
A fronte di tali situazioni, ritenute sicuramente pregiudicanti, ma non
riconducibili alla disciplina codicistica, la Corte ha “esteso l’area di applicazione

degli istituti dell’astensione e della ricusazione a situazioni non espressamente
previste dal codice di rito, ma tuttavia capaci di esprimere analoghi effetti
pregiudicanti per rimparzialità/neutralità del giudice, con una disposizione di
chiusura del sistema delle incompatibilità e dell’astensione/ricusazione”.
La Corte regolatrice, ha così dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 37
c.p.p., comma 1, nella parte in cui non prevede che possa essere ricusato dalle
parti il giudice che, chiamato a decidere sulla responsabilità di un imputato,
abbia espresso in altro procedimento, anche non penale, una valutazione di
merito sullo stesso fatto nei confronti del medesimo soggetto. Specificando in
motivazione “che, al riguardo, non è sufficiente, ai fini della individuazione

dell’attività pregiudicante, che il giudice abbia in precedenza avuto mera
cognizione dei fatti di causa, raccolto prove, ovvero si sia espresso solo
incidentalmente e occasionalmente su particolari aspetti della vicenda
processuale sottoposta al suo giudizio …”. E ancora che “la funzione pregiudicata
va a sua volta individuata in una decisione attinente alla responsabilità penale,
essendo necessario, perché si verifichi un pregiudizio per l’imparzialità, che il
giudice sia chiamato ad esprimere una valutazione di merito collegata alla
decisione finale della causa”.
Appare evidente, allora, che la funzione pregiudicante deve consistere in una
valutazione di merito, deve riguardare i fatti oggetto dell’imputazione e deve
riguardare lo stesso imputato; infatti questa è stata la concreta applicazione che
ha fatto la giurisprudenza di questa Corte, nelle decisioni che, come si è già
visto, la Corte territoriale ha esemplificativamente richiamato.
6. Deve quindi concludersi che le espressioni evocate dai ricusanti non integrano
la causa di ricusazione di cui all’art. 37 c.p.p., comma 1, lettera b), neppure
9

procedimento penale per il reato di tentato omicidio aggravato dal fine di

nella formulazione risultante a seguito dell’intervento additivo della Corte
costituzionale: la pretesa causa di pregiudizio – nella specie – esula da quelle
tassativamente previste dall’ordinamento, non avendo il giudice ricusato
espresso il proprio giudizio contenutistico di merito in una precedente decisione
sullo stesso fatto-reato, relativamente al medesimo imputato.

Rigetta il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, il 17 luglio 2013
Il consigliere estensore

Il presidente

P.Q.M.

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA