Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44391 del 05/07/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 44391 Anno 2013
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
D’ANDRIA RENATO N. IL 10/01/1946
avverso l’ordinanza n. 1102/2010 TRIBUNALE di ROMA, del
13/02/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FERDINANDO
LIGNOLA;
te
e conclusioni e e
ott.

Data Udienza: 05/07/2013

Letta la requisitoria scritta del sostituto procuratore generale, dott. Carmine
Stabile, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Nell’ambito di procedimento penale pendente a carico di Petti Alessandro, per
appropriazione indebita di azioni della società ITP (Italiana Trasformazione
Polimeri) s.p.a., il GIP del Tribunale di Roma sottoponeva a sequestro preventivo
le quote e i beni della predetta società e nominava custode giudiziario il dr.
Davide Franco.
Con provvedimento in data 28 novembre 2008, il GIP autorizzava il custode a
stipulare accordi contrattuali propedeutici alla vendita al Consorzio Socratis di un
complesso immobiliare sito in San Marco Evangelista, secondo la stima del
custode di 28 milioni di Euro, facente parte dei beni sequestrati.
L’incidente di esecuzione proposto dalle società terze interessate New Logan
I.d.t. e Ander Partecipazioni s.p.a., azioniste della ITP s.p.a., onde ottenere la
revoca di tale provvedimento, era respinto dal GIP, con ordinanza in data 18
novembre 2009, sull’assunto che tale stima risultava enormemente inferiore al
valore di mercato, determinato dal consulente di parte in oltre 125 milioni di
Euro.
2. Con sentenza del 13 maggio 2010, la Prima Sezione di questa Corte annullava
con rinvio l’ordinanza, ritenendo che mancasse una motivazione in ordine alla
necessità di vendere il bene sottoposto a sequestro ed alla congruità, accertabile
solo attraverso un raffronto tra le diverse valutazioni date, con riferimento agli
elementi presi in considerazione.
3. Il Tribunale di Roma, in data 1 febbraio 2011, rigettava nuovamente
l’incidente di esecuzione, ma l’ordinanza era nuovamente annullata dalla Prima
Sezione di questa Corte, con sentenza del 6 ottobre 2011, n. 40653, poiché era
stato omesso l’avviso per l’udienza dell’i febbraio 2011 al secondo difensore del
D’Andria, avv. Krogh, al Petti ed e al suo difensore, avv. Traldi. L’annullamento
con rinvio, pertanto, era disposto per la necessità di un nuovo esame
dell’oggetto di causa, nel contraddittorio di tutti gli interessati.
4. A seguito di tale annullamento, il Tribunale di Roma, con ordinanza del 13
febbraio 2012, richiamando espressamente il contenuto sostanziale del
provvedimento emesso il 1 febbraio 2011, rigettava ancora una volta l’istanza
formulata dalla parte.

2

4.1 In primo luogo si osservava che il bene oggetto di sequestro preventivo,
legittimamente appreso ex art. 321 cod. proc. pen., viene in considerazione
anche nel suo valore “di scambio”, con la correlata attitudine alla sostituzione
con la somma di denaro, prezzo della alienazione; la disciplina della conversione
del sequestro conservativo, della confisca e della restituzione induce a ritenere
essenziale la preservazione del valore economico del bene, più che del bene in
quanto tale. A giudizio del Tribunale la valutazione positiva della necessità di

valore dei beni in sequestro e dallo scemare dell’efficacia del piano di
ristrutturazione aziendale, alla luce della ricostruzione della situazione economica
finanziaria della “ex 3M s.p.a.”, titolare dei beni prima della cessione alla società
ITP, avvenuta il 30 giugno 2006, a fronte di un corrispettivo provvisorio di €
348.000 e di un prezzo finale di € 1.750.000, con l’accollo di un contributo di
avviamento di circa 14 milioni di euro. La I.T.P. aveva assunto anche l’obbligo di
conservare 198 posti di lavoro e si era impegnata a realizzare un piano di
ristrutturazione aziendale che però alla data del sequestro non risultava ancora
avviato; inoltre, poiché non aveva corrisposto il prezzo, la 3M S.p.A. aveva
intentato azione civile con trascrizione sugli immobili della società. La situazione
di tracollo finanziario della società fondava l’obbligo per il custode di provvedere
con urgenza a prevenire il fallimento e garantire tutela ai 198 dipendenti in
Cassa Integrazione, in scadenza il 31 dicembre 2007: la vendita dell’immobile
costituiva in definitiva una scelta obbligata.
Quanto al prezzo di vendita, il valore di 28 milioni di euro, determinato dai
consulenti tecnici nominati dal custode e confermato dalla perizia disposta dal
giudice civile nell’ambito di una procedura esecutiva promossa dalla 3M Italia
S.r.l. era ritenuto congruo, a fronte di perizie estimative, di 127 milioni di euro e
93 milioni di euro, richiamate dalla difesa dei ricorrenti, legate al maggior valore
derivante dall’imminente cambio di destinazione dei terreni su cui insistono gli
immobili, da zona industriale ad area commerciale.
2. Contro l’ordinanza del Tribunale di Roma ricorre D’Andria Renato, con atto del
proprio difensore avv. Massimo Krogh, affidato a due motivi.
2.1 Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione dell’art. 606 cod. proc.
pen., per mancanza di motivazione e violazione di legge in ordine alla necessità
della vendita; secondo il ricorrente, con il richiamo dell’ordinanza del 1 febbraio
2011, è richiamato un provvedimento inesistente, perché adottato al di fuori di
un regolare e valido contraddittorio, con ciò invalidando anche la successiva
ordinanza, che va ritenuta mancante di motivazione. Con riferimento alla

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vendere il complesso aziendale era ricavabile dal progressivo scadimento del

necessità della vendita si richiama la sentenza n. 1486 del 13 maggio 2010 della
Prima sezione di questa Corte, resa sempre in relazione a questa vicenda, nella
quale si sottolineava la necessità di una motivazione da cui risulti che è stata
compiuta dal giudice dell’esecuzione una reale verifica della necessità di vendere
e d\

bene sottoposto a sequestro e della congruità, accertabile solo attraverso un
raffronto fra le diverse stime e gli elementi con cui sono state giustificate, che
invece sarebbe mancato.

264, comma 2, cod. proc. pen., poiché non si sarebbe controllata la effettiva
necessità di smembramento di un’azienda produttiva con un certo numero di
dipendenti, né si sarebbe spiegato perché ed in quali termini la cessione
30,4
-T d ict;RvUt portare ad un miglioramento della situazione ai fini dei problemi
occupazionali.
2.2 Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione dell’art. 606 cod. proc.
pen., per difetto di motivazione e violazione di legge in punto di valutazione del
bene; secondo il ricorrente, la stima accettata dal giudice per le indagini
preliminari corrisponde a quella espressa nella consulenza dell’ing. Franco,
fratello del custode, che ignora le prospettive urbanistiche dell’area, su cui
insistono gli stabilimenti in sequestro, laddove invece tale elemento in casi del
genere è fondamentale; inoltre viene richiamata la motivazione della precedente
ordinanza annullata, formatasi al di fuori di un legittimo contradditorio, per cui la
motivazione viene ritenuta mancante. La motivazione è altresì illogica, nella
parte in cui disattende le consulenze di parte, solo perché rese sulla base della
documentazione fornita dalla medesima parte; circostanza assolutamente
normale. A giudizio del ricorrente la motivazione avrebbe dovuto invece
esaminare ed eventualmente contestare detta documentazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.
2. Occorre premettere che contro le ordinanze emesse in materia di misure
cautelari reali l’unico profilo per il quale è consentito il ricorso in materia
cautelare reale è quello della violazione di legge, e che in tanto possono essere
dedotti in tale prospettiva vizi relativi alla motivazione del provvedimento in
quanto gli stessi rendano quest’ultima mancante o priva dei minimi requisiti di
coerenza e completezza (Sez. U, n. 25932 del 29.5.2008, imp. Ivanov,
Rv.239692; Sez. 5, n.43068 del 13.10.2009, imp. Bosi, Rv.245093).

4

Si lamenta inoltre violazione degli articoli 260, commi 3, 3 bis e 3 ter, nonché

2.1 II ricorrente censura in entrambi i motivi il difetto di motivazione
dell’ordinanza, considerando alla stregua di una Mancanza di motivazione il
richiamo ad un provvedimento annullato per vizio di forma.
L’obiezione non coglie nel segno.
In materia cautelare la motivazione “per relationem” non dà luogo ad un
provvedimento complesso, risultante cioè da più provvedimenti nello stesso
convergenti, ma ad un documento unitario, semplificato nella sua veste grafica

documento di comune conoscenza. Non è necessario che il provvedimento
richiamato sia definitivo ed immodificabile, in quanto l’eventuale annullamento o
la modifica non ne fanno venir meno l’esistenza come realtà grafica, ma possono
incidere solo indirettamente sul provvedimento richiamante allorché sia
intervenuta una statuizione relativa al contenuto dell’ordinanza richiamata (Sez.
1, n. 5021 del 14/10/1998, Roccia G, Rv. 212401).
In altri termini, poichè l’annullamento della prima ordinanza è stato disposto
esclusivamente per un vizio di forma, attinente al rispetto del contraddittorio, e
non per un vizio del suo contento, tale statuizione non incide sulla successiva
ordinanza che ne richiami la motivazione.
Con riferimento alla necessità della vendita, poi, occorre rimarcare che la
motivazione data dal Tribunale sul punto, così come sviluppata a pagina 5, è
tutt’altro che inesistente e si spinge ben oltre i confini della mera apparenza,
osservando che l’azienda versava in una situazione di netto ed ineludibile tracollo
finanziario, che il programma di ristrutturazione aziendale al quale la ITP si era
impegnata fin dal 14 aprile 2006 non aveva avuto alcun seguito, che dal 31
dicembre 2007 sarebbe anche cessata la Cassa Integrazione Guadagni
Straordinaria per la riconversione industriale e che la 3M s.p.a. aveva anche
intentato azione civile nei suoi confronti, per cui il patrimonio aziendale era
prossimo al dissesto. La diversa prospettazione del ricorrente, in quanto
attinente al merito, è’ inammissibile in sede di giudizio per cassazione.
3. Quanto alla valutazione del bene, il Tribunale, in ossequio a quanto disposto
dalla Prima Sezione di questa Corte, con la sentenza n. 20897 del 13 maggio
2010, ha raffrontato le diverse stime, sulla base delle risultanze obiettive,
preferendo quella dei consulenti Franco-La Greca Bertacchi (nominati dal
custode) e D’Antonio (nell’ambito della procedura esecutiva promossa dalla 3M
Italia s.r.l. nei confronti della ITP), perché più concreta ed aderente alla realtà e
fondate su un più completo ed esaustivo compendio di elementi valutativi,
rispetto a quelli presi in esame dai consulenti Schettini e Salzano – De Luca,

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in quanto per la lettura di alcune parti della motivazione si rinvia ad altro

indicate dal ricorrente, fondate su una documentazione parziale e formulate in
chiave prognostica, considerando un mutamento dell’attuale destinazione
urbanistica, del tutto astratta: l’ordinanza rileva come il non poco tempo
trascorso dall’ottobre 2008, senza che l’auspicato mutamento di destinazione sia
intervenuto, costituisce una conferma della maggiore concretezza delle stime
redatte dall’ing. Franco e dall’arch. La Greca Bertacchi, per 28 milioni di euro,
coincidente con quella redatta dall’arch. D’Antonio.

secondo motivo di ricorso.
4. In conclusione il ricorso di Renato D’Andria è inammissibile; alla rilevata
inammissibilità del ricorso conseguono le statuizioni di cui all’art. 616 c.p.p., con
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di
Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1000 ciascuno in favore della cassa
delle ammende.
Così deciso in Roma il 5 luglio 2013
Il consigliere estensore

Il presidente

Risulta perciò evidente la manifesta infondatezza delle censure proposte con il

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