Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44380 del 15/05/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 44380 Anno 2015
Presidente: VESSICHELLI MARIA
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Guarini Leonarda, nata a Bari il 18.11.1972, avverso la sentenza
pronunciata dalla corte di appello di Palermo il 5.6.2014;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Alfredo Guardiano;
udito il pubblico ministero nella persona del sostituto procuratore
generale dott. Eugenio Selvaggi, che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso

FATTO E DIRITTO

Data Udienza: 15/05/2015

1. Con sentenza pronunciata il 5.6.2014 la corte di appello di
Palermo confermava la sentenza con cui il giudice per le indagini
preliminari presso il tribunale di Palermo, in data 18.3.2013,
decidendo in sede di giudizio abbreviato, aveva condannato

reato di cui all’art. 495, c.p., per avere dichiarato ai carabinieri
che, avendola sorpresa ,in data 27.4.2012, a sottrarre merce in
un supermercato di Palermo, l’avevano invitata a declinare le
proprie generalità, di chiamarsi Lea e di essere nata il 18.11.1973,
laddove gli agenti operanti avevano poi accertato che il nome
dell’imputata era Leonarda e che la stessa era nata il 18.11.1972.
2. Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede
l’annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione,
personalmente, l’imputata, lamentando: 1) violazione di legge in
ordine agli artt. 350, co. 6, c.p.p., 63, c.p.p. e 496, c.p., stante la
ínutilizzabilità delle dichiarazioni rese agli agenti operanti
dall’imputata, che, quando erano giunti i carabinieri, si era già
resa responsabile del reato di tentato furto, per il quale era stata
fermata dal direttore e dalla guardia giurata del centro
commerciale, sicché la condotta della Guarini appare riconducibile,
giusta la previsione dell’art. 349, co. 4, c.p.p., al paradigma
normativo di cui all’art. 496, c.p.; 2) vizio di motivazione, in
quanto risulta dagli atti che la Guarini, all’atto del pagamento,
aveva chiesto alla cassiera di compilare la tessera clienti per
potere usufruire degli sconti, fornendo le sue esatte generalità,
riportate sulla tessera in questione, acquisita agli atti, condotta
che appare in contrasto con la volontà di celare le sue vere
generalità, che, ove sussistente, si sarebbe manifestata sin
dall’inizio della sua condotta criminosa.

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Guarini Leonarda alla pena ritenuta di giustizia, in relazione al

3. Il ricorso non può essere accolto, per le seguenti ragioni.
4. Ed invero, deve ritersi infondato l’assunto difensivo sul divieto
di utilizzazione delle dichiarazioni sulle proprie generalità rese
dalla Guarini sul luogo e nell’immediatezza del fatto indagata agli

Come affermato, infatti, dall’orientamento affermatosi nella
giurisprudenza di legittimità, condiviso dal Collegio, l’art. 364,
c.p.p., non prevede tra gli atti di indagine con diritto di assistenza
del difensore anche l’atto di individuazione di persona, sia perché
gli atti compiuti dal p.m. e dalla polizia giudiziaria nella fase delle
indagini preliminari hanno una funzione esclusivamente
endoprocessuale, cioè finalizzata alla prosecuzione delle stesse,
sia perché per la natura dell’atto è impossibile predisporre
l’assistenza di un difensore “in incertam personam”, prima cioè di
avere identificato la persona che, solo a partire da quel momento,
assumerà la veste di persona sottoposta alle indagini (cfr. Cass.,
sez. III, 11.5.2004, n. 37870, rv. 230032).
Correttamente la condotta della Guarini è stata ricondotta al
paradigma normativo di cui all’art. 495, c.p.
Come affermato dall’orientamento dominante nella giurisprudenza
di legittimità, infatti, la differenza tra le ipotesi di reato previste
dagli artt. 495 e 496 c.p. consiste nel fatto che nel primo caso le
false dichiarazioni – in ordine ad identità o qualità della persona devono essere rese al pubblico ufficiale in un atto pubblico (art.
495 comma 1 c.p.) o destinate ad essere riprodotte in esso (art.
495 comma 2 c.p.), mentre nel secondo le false dichiarazioni,
sempre rese a pubblico ufficiale, non hanno alcuna attinenza – né
diretta né indiretta – con la formazione di atto pubblico(cfr. Cass.,
sez. V, 19/11/1997, n. 11808; rv. 209234).

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agenti operanti, in assenza di un difensore.

Il reato di cui all’art. 496, c.p., dunque, ha natura residuale,
essendo configurabile solo quando la falsità, come si è detto, non
abbia alcuna attinenza, né diretta né indiretta, con la formazione
di un atto pubblico, inteso in senso lato (cfr. Cass., sez. V,

Orbene, proprio la circostanza che i carabinieri intervennero in
relazione ad un tentativo di furto commesso dall’imputata, rende
evidente che le dichiarazioni di quest’ultima in ordine alle proprie
generalità erano destinate ad essere trasfuse negli atti pubblici
inerenti alle relative attività di indagine, giusta la previsione
dell’art. 349, c.p.p.
Si tratta, pertanto, di dichiarazioni che rivestono il carattere di
attestazione preordinata a garantire al pubblico ufficiale le proprie
qualità personali e, quindi, ove mendaci, ad integrare la falsa
attestazione che costituisce l’elemento distintivo del reato di cui
all’art. 495, c.p., nel testo modificato dalla I. n. 125 del 2008,
rispetto all’ipotesi di reato di cui all’art. 496, c.p., gravando
sull’indagato l’obbligo di fornire le proprie generalità secondo
verità (cfr. Cass., sez. V, 26.11.2014, n. 7286, rv. 262658; Cass.,
sez. sez. V, 5.2.2014, n. 15654, rv. 259876).
2. Inammissibile deve ritenersi il secondo motivo di ricorso, in
quanto con esso vengono prospettate censure che si risolvono in
una mera rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione impugnata, senza individuare vizi di logicità tali da
evidenziare la sussistenza di ragionevoli dubbi, ricostruzione e
valutazione, in quanto tali, precluse in sede di giudizio di
cassazione (cfr. Cass., sez. V, 22.1.2013, n. 23005, rv. 255502;
Cass., sez. I, 16.11.2006, n. 42369, rv. 235507; Cass., sez. VI,

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04/12/2007, n. 4420, rv. 238343).

3.10.2006, n. 36546, rv. 235510; Cass., sez. III, 27.9.2006, n.
37006, rv. 235508).
Ed invero non può non rilevarsi come il controllo del giudice di
legittimità, anche dopo la novella dell’art. 606, c.p.p., ad opera

deduzioni connesse a diversi atti del processo, e di una correlata
pluralità di motivi di ricorso, in una valutazione necessariamente
unitaria e globale, che attiene alla reale esistenza della
motivazione ed alla resistenza logica del ragionamento del
giudice di merito, essendo preclusa al giudice di legittimità la
rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione
o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione
e valutazione dei fatti (cfr. Cass., sez. VI, 26.4.2006, n. 22256,
rv. 234148).
Esulando, pertanto, dal controllo demandato alla Suprema Corte
la rilettura degli elementi di fatto posti a base della decisione, non
costituisce vizio comportante controllo di legittimità la mera
prospettazione di una diversa (e, per il ricorrente, più favorevole)
valutazione delle emergenze processuali, come quella prospettata
dalla ricorrente (cfr. Cass., sez. V, 21.4.1999, n. 7569, rv.
213638).
Peraltro la corte territoriale, con motivazione approfondita ed
immune da vizi, ha evidenziato come le reali generalità
dell’imputata non vennero rappresentate da nessuno dei presenti
nel supermercato ai carabinieri intervenuti, i quali riuscirono ad
identificare compiutamente l’imputata solo grazie all’intervento del
suo fidanzato, che sopraggiunse in un secondo momento, recando
con sé la patente di guida dell’imputata recante le sue esatte

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della I. n. 46 del 2006, si dispiega, pur a fronte di una pluralità di

generalità, dopo che la Guerini aveva reiteratamente fornito
quelle false.
Del resto, come correttamente rilevato dalla corte territoriale, i
carabinieri non avrebbero adempiuto al dovere di identificazione

generalità dell’imputata dalle dichiarazioni del personale del
supermercato ovvero dalla tessera clienti (che, peraltro, non
venne loro consegnata), senza procedere a richiederle alla diretta
interessata.
5. Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso di cui in
premessa va, dunque, rigettato, con condanna del ricorrente, ai
sensi dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del
procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali.
Così deciso in Roma il 15.5.2015

previsto dall’art. 349, c.p.p., se si fossero limitati a ricavare le

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