Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44379 del 15/05/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 44379 Anno 2015
Presidente: VESSICHELLI MARIA
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di
Randazzo Vincenzo, nato a Grotte il 06/10/1950

avverso la sentenza emessa il 03/07/2014 dalla Corte di appello di Palermo

visti gli atti, la sentenza impugnata ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Eugenio Selvaggi, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito per il ricorrente l’Avv. Ottorino Agati, il quale ha concluso per
l’accoglimento del ricorso e l’annullamento della sentenza impugnata, in
subordine senza rinvio per sopravvenuta prescrizione

RITENUTO IN FATTO

Il difensore di Vincenzo Randazzo ricorre avverso la pronuncia indicata in
epigrafe, recante la parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di

Data Udienza: 15/05/2015

Agrigento, in data 21/12/2011, nei confronti del suo assistito; il Randazzo risulta
essere stato condannato a pena ritenuta di giustizia per il delitto di bancarotta
fraudolenta patrimoniale, con riferimento a presunte distrazioni di beni – per un
totale di oltre 22 miliardi di lire – avvenute nel corso della gestione della Imar
Costruzioni s.p.a., società dichiarata fallita nell’aprile 1996 e della quale
l’imputato era stato amministratore unico. La parziale riforma della decisione di
primo grado riguarda la declaratoria di prescrizione di un ulteriore addebito di
bancarotta documentale, essendo stata esclusa, limitatamente a detta ipotesi
ex art. 219, comma

primo, legge fall.
Nell’interesse del ricorrente si evidenzia che il Tribunale di Agrigento aveva
– sugli stessi fatti – già emesso sentenza di condanna a carico del Randazzo in
data 22/11/2007, ma quella pronuncia era stata poi annullata per vizi formali,
con la conseguente regressione del processo alla fase dell’udienza preliminare;
malgrado l’annullamento de quo, e la conseguente impossibilità che la sentenza
del 2007 potesse conservare validità di sorta o rimanere inserita in atti, la difesa
fa presente che la motivazione della nuova condanna, intervenuta nel 2011,
risulta riprodurre integralmente o quasi il testo della decisione di quattro anni
prima. Tale vizio, ritualmente denunciato in sede di motivi di appello, è stato
ritenuto non configurabile dalla Corte palermitana, secondo la quale la sentenza
impugnata, per quanto effettivamente copiata nei termini anzidetti ed a
prescindere dalla opportunità o meno di riprendere per ampi stralci la
motivazione della pronuncia del 2007, avrebbe comunque affrontato tutti i temi
di cui alle questioni prospettate dall’appellante, senza la possibilità di affermare
che fossero stati utilizzati ai fini della decisione atti compiuti nel precedente
giudizio (l’istruttoria dibattimentale era stata integralmente rinnovata, con
l’audizione di tutti i testimoni già escussi).
La difesa denuncia a questa Corte la violazione dell’art. 125 cod. proc. pen.,
atteso che della sentenza annullata e, come detto, “copiata”, il Tribunale non
avrebbe dovuto avere alcuna conoscenza: visto che il percorso argomentativo
seguito ricalcava, anche testualmente, quello seguito da una decisione annullata,
non potrebbe che derivarne la conclusione che la motivazione in esame non sia
quella del collegio che definì il processo nel 2011, ma quella dei giudici
precedenti. Nel ricorso si osserva che «anche per la sentenza si ammette che il
giudice possa renderla per relationem ad un altro giudizio (quello di un perito,
quello espresso dal primo giudice, ecc.); ciò a condizione, però, come si insegna,
che l’atto recepito sia un atto legittimo, che le parti siano messe in condizioni di
conoscerlo e, soprattutto, che il decidente dia conto del perché abbia ritenuto di
condividere quel giudizio». In particolare, la difesa fa presente che sarebbero

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criminosa, la ravvisabilità della contestata aggravante

state pedissequamente copiate le parti della sentenza annullata concernenti gli
elementi da cui evincere in capo al Randazzo la veste di amministratore di fatto
della società fallita, come pure la sua responsabilità per gli specifici fatti di
distrazione indicati in rubrica.
Il ricorrente censura altresì la sentenza impugnata per inosservanza ed
erronea applicazione degli artt. 157 e segg. cod. pen., nonché dell’art. 129 del
codice di rito. Nella ricostruzione difensiva, si evidenzia che la circostanza
aggravante del danno patrimoniale rilevante venne contestata all’imputato nel

peraltro, dopo che la stessa difesa aveva rappresentato per iscritto che per i
reati in rubrica dovevano intendersi già maturati i termini massimi di
prescrizione. La Corte territoriale risulta avere convenuto sul rilievo che, non
tenendo conto dell’aggravante de qua, la causa estintiva del reato si sarebbe
perfezionata addirittura prima dell’inizio del dibattimento di primo grado (la
recidiva parimenti contestata era infatti insussistente): non di meno, i giudici
palermitani avrebbero considerato rituale la contestazione in parola, prendendo
atto della natura dell’aggravante di cui all’art. 219, comma primo, legge fall.
quale circostanza ad effetto speciale.
Il difensore del Randazzo obietta che «vige un vero e proprio obbligo
giuridico del giudice di pronunciare immediatamente la causa di estinzione del
reato, nel caso in cui essa ricorra»; viene richiamata, a riguardo, la
giurisprudenza di legittimità secondo cui il combinato disposto degli artt. 157
cod. pen. e 129 cod. proc. pen., soprattutto in ragione del favor rei che ispira
quest’ultima previsione, impone al giudice di arrestare lo svolgimento del
processo non appena la causa estintiva si sia verificata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non può trovare accoglimento.
1.1 Sostiene la difesa che «la copiatura pedissequa di un testo elaborato da
altri, senza la minima aggiunta delle ragioni per cui le argomentazioni recepite
siano da condividersi, non è una motivazione per relationem, è puramente e
semplicemente la motivazione resa da altri, diverso dal decidente. Ciò rende
dunque, per ciò stesso, la sentenza così resa priva di motivazione. Se poi, come
accaduto nel caso di specie, il recepimento cade su un atto dichiarato nullo e che
neppure si trovava all’interno del fascicolo processuale a disposizione del
decidente, tanto più grave si appalesa la violazione in cui si incorre». In realtà,
non è possibile convenire con le considerazioni appena richiamate.

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corso del giudizio, segnatamente all’udienza del 09/11/2011: ciò accadde,

E’ innegabile che l’estensore della sentenza di primo grado abbia “copiato”,
in larga parte, il testo della pronuncia inizialmente annullata: la “copiatura” de
qua, in ogni caso, non è completa fino al punto di rendere i due provvedimenti
del tutto sovrapponibili (anche al di là delle vicende di cui alla contestazione
dell’ulteriore aggravante), il che dà già contezza di un più o meno significativo
lavoro di rielaborazione compiuto nel 2011, rispetto al testo licenziato quattro
anni prima.
Tuttavia, ferma restando la valutazione di inopportunità già espressa dalla
Corte di appello su una siffatta tecnica di redazione, non è possibile ricavarne la

conclusione della nullità dell’atto, che appare completo nel percorso
argonnentativo seguito, e senza elementi di sorta da cui poter inferire che il
Tribunale non abbia inteso come propri i rilievi esposti sulla ricostruzione dei fatti
e sulle conseguenti determinazioni in diritto. In vero, nella stesura di una
sentenza non è certamente precluso al giudice accedere – come fonti di
documentazione, che poi sta alla correttezza dell’estensore del provvedimento
virgolettare o meno – a studi o pronunce precedenti, che una volta richiamati
debbono intendersi esprimere il pensiero di chi vi abbia attinto: e la sentenza
emessa nel 2007, per quanto non versata di certo nel fascicolo per il
dibattimento, esisteva nella raccolta delle pronunce del Tribunale di Agrigento,
rimanendo ritualmente a disposizione di chiunque per fini di consultazione.
1.2 Quanto alla censura afferente la tardiva contestazione dell’aggravante di
cui all’art. 219, comma primo, legge fall., appare evidente come la descrizione in
fatto della circostanza in esame risultasse contenuta già nel testo iniziale della
rubrica, dove si indicava espressamente l’ammontare complessivo delle ritenute
distrazioni, pari ad oltre 22 miliardi di lire.
Inoltre, la giurisprudenza di questa Corte ha più volte affermato che «il
termine entro il quale può essere effettuata la contestazione di una circostanza
aggravante coincide con la chiusura del dibattimento» (Cass., Sez. V, n. 19008
del 13/03/2014, Calamita, Rv 260004), termine qui pacificamente rispettato; si
è altresì precisato che «ai fini della determinazione del tempo necessario a
prescrivere, l’aumento di pena per la circostanza aggravante è valutabile anche
se la stessa sia stata oggetto di contestazione suppletiva dopo la decorrenza del
termine di prescrizione previsto per il reato non aggravato, purché la
contestazione abbia preceduto la pronuncia della sentenza» (Cass., Sez. II, n.
33871 del 02/07/2010, Dodi, Rv 248131; v. anche, nello stesso senso ed in
tema di recidiva, Cass., Sez. VI, n. 44591 del 04/11/2008, Nocco, Rv 242133).
1.3 Deve altresì rilevarsi che, alla data odierna, la prescrizione non appare
comunque maturata. La sentenza dichiarativa di fallimento risale infatti al
29/04/1996 e, tenendo conto di termini massimi pari ad anni 18 e mesi 9 – per

Arr

,

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effetto dell’aggravante ricordata –

la causa estintiva sarebbe maturata il

29/01/2015; tuttavia, dall’esame degli atti emergono cause di sospensione dei
termini medesimi, per complessivi 11 mesi e 27 giorni. In particolare, nel 2011,
dal 21 marzo all’H aprile (per adesione dei difensori ad una astensione dalle
attività di udienza), nonché dal 23 maggio al 13 luglio (per impedimento della
parte); e, nel giudizio di appello, dal 19/09/2013 al 03/07/2014, ancora per
l’adesione dei difensori ad un’ulteriore iniziativa di astensione (nell’occasione, i
termini di prescrizione risultano espressamente dichiarati sospesi, nel verbale di

Va ricordato che è solo nei casi di impedimento a presenziare (da parte del
difensore o dell’imputato) che «l’udienza non può essere rinviata oltre il
sessantesimo giorno e, ove ciò avvenga, la sospensione della prescrizione non
può comunque avere durata maggiore, dovendosi applicare la disposizione di cui
all’art. 159, comma primo, n. 3, cod. pen., nel testo introdotto dall’art. 6 della
legge 5 dicembre 2005, n. 251» (v. Cass., Sez. IV, n. 10926 del 18/12/2013, La
China, Rv 258618): non altrettanto è a dirsi nei casi di rinvio su semplice
richiesta della difesa, ovvero per adesione del difensore ad astensioni collettive
di categoria, che comportano «la sospensione del termine prescrizionale per
tutto il tempo necessario per gli adempimenti tecnici imprescindibili al fine di
garantire il recupero dell’ordinario svolgersi del processo» (Cass., Sez. IV, n.
10621 del 29/01/2013, M., Rv 256067).

2. Il rigetto del ricorso comporta la condanna del Randazzo al pagamento
delle spese del presente giudizio di legittimità.

P. Q. M.

Rigetta il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 15/05/2015.

udienza).

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