Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44373 del 17/07/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 44373 Anno 2013
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CODATO LINA N. IL 07/08/1952
FRASSON MATTEO N. IL 26/02/1984
FRASSON DEBORA N. IL 12/09/1977
avverso la sentenza n. 14/2011 TRIBUNALE di VENEZIA, del
20/12/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/07/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FERDINANDO LIGNOLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 17/07/2013

Il Procuratore generale della Corte di cassazione, dr. Roberto Aniello, ha
concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
per il ricorrente è presente l’avv. Angelo Colucci, in sostituzione dell’avv. Franco
Bordignon, il quale chiede raccoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del giudice di pace di Mestre dell’8 febbraio 2011, Frasson

per il reato di ingiuria in danno di Codato Luigina, realizzato in due distinte
occasioni, il 14 ed il 15 ottobre 2007. L’affermazione di responsabilità,
confermata dal Tribunale di Venezia con sentenza del 20 novembre 2011, si
fonda sulla deposizione della persona offesa, costituitasi parte civile, nonché
sulle deposizioni del teste Bonasciutti Armando, marito della stessa, che ascoltò
personalmente gli insulti; non sono state ritenute invece decisive le deposizioni
di Frasson Angelo e di Targhetta Federico.
2. Ricorrono per cassazione i tre imputati, con atto sottoscritto dal difensore,
avv. Franco Bordignon, deducendo vizio di motivazione per diverse ragioni.
2.1 Sotto il primo aspetto, i ricorrenti deducono contraddittorietà della
motivazione, per errore nella trasposizione il capo di imputazione, poiché nel
descrivere la condotta degli imputati, in luogo di “dialogando con Giovanni
Frasson” nelle due sentenze si legge “litigando con Giovanni Frasson”; per giunta
la persona indicata si chiama Angelo e non Giovanni.
2.2 Sotto altro profilo i ricorrenti deducono travisamento del contesto fattuale,
laddove si riferisce di un clima di poca serenità esistente fra parti offese e gli
imputati, in contraddizione con il capo di imputazione, nonché all’esistenza di
altro processo innanzi al Tribunale, a parti invertite, che avrebbe impedito
l’applicazione dell’articolo 599 cod. pen., processo in realtà inesistente.
2.3 Viene poi dedotto travisamento della prova, con riferimento all’esistenza di
due persone offese, in luogo dell’unica persona offesa, costituita parte civile.
2.4 Si contesta ancora la valutazione di attendibilità della persona offesa e del
marito, che i giudici di merito hanno fondato sulla precisa descrizione dell’ingiuria
e sul contesto del fatto, criterio illogico, in considerazione dell’interesse di cui i
due testi erano portatori. Si evidenziano ancora alcuni contrasti tra le due
deposizioni, con riferimento alla presenza di Angelo Frasson ed alla collocazione
di Bonasciutti Armando, nel momento in cui erano pronunciate le frasi ingiuriose;
e più in generale i ricorrenti indicano alcune lacune e contraddittorietà della
deposizione del Bonasciutti, che dovevano condurre a ritenerne l’inattendibilità.

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Deborah, Frasson Matteo e Codato Lina erano condannati alla pena di giustizia

2.5 Si deduce altresì travisamento delle risultanze probatorie con riferimento ai
testi della difesa, Frasson Angelo e Targhetta Federico, le cui versioni sono state
ritenute non incompatibili con la tesi accusatoria, benché costoro abbiano negato
che siano state pronunciate frasi ingiuriose. In particolare il teste Frasson
Angelo, suocero della parte civile, viene considerato “carico di risentimento” ed
anche sostanzialmente coinvolto, ancorché non imputato nel procedimento; il
teste Targhetta Federico viene considerato ininfluente dal giudice di primo grado,
perché giunto sul luogo dei fatti quando tutto era finito il 14 ottobre 2007,

d’appello considera la deposizione non incompatibile con i fatti contestati, senza
specificarne le ragioni.
2.6 Con riferimento all’episodio del 15 ottobre 2007, ricorrenti deducono
mancanza di motivazione, per non avere la parte civile reso alcuna dichiarazione
in proposito ed avendo il giudice utilizzato la querela, in violazione dell’articolo
512 cod. proc. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.
1.1 Prima di procedere all’esame dei singoli motivi, giova rammentare
l’orientamento della giurisprudenza di legittimità con riguardo al rapporto fra le
sentenze di merito di primo e secondo grado. Si è costantemente affermato che,
allorchè dette sentenze concordino nella valutazione degli elementi di prova posti
a fondamento delle rispettive decisioni, esse si integrano vicendevolmente e la
struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente
formando un unico complesso corpo argomentativo (Sez. 1, n. 8868 del
26/06/2000, Sangiorgi, Rv. 216906; Sez. 2, n. 5606 del 10/01/2007, Conversa,
Rv. 236181).
1.2 Sempre in tema di integrazione fra le conformi sentenze di primo e secondo
grado, se l’appellante si limita alla riproposizione di questioni di fatto già
esaminate e correttamente risolte dal primo giudice, oppure di questioni
generiche e superflue, palesemente inconsistenti, è consentita la motivazione per
relationem da parte del giudice dell’impugnazione; quando invece le soluzioni
adottate dal giudice di primo grado siano state specificamente censurate
dall’appellante con motivi nuovi non riproposti, sussiste il vizio di motivazione
sindacabile ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. E), se il giudice
del gravame si limita a respingere tali censure richiamando la censurata
motivazione in termini apodittici o meramente ripetitivi senza farsi carico di
argomentare sulla inadeguatezza o inconsistenza dei motivi di appello (Sez. 4, n.

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laddove invece egli è stato sentito sull’episodio del 15 ottobre; il giudice

15227 del 14/02/2008, Baretti, Rv. 239735).
1.3 Fatta questa premessa, deve ritenersi pienamente ammissibile il richiamo
contenuto nella sentenza di appello alla sentenza di primo grado (la cui
motivazione il giudice di appello afferma esplicitamente di condividere) in
relazione a quelle censure aventi ad oggetto deduzioni già sottoposte al giudice
di primo grado, non senza rilevare che, a parte il rinvio, la sentenza di secondo
grado contiene una sua adeguata motivazione in ordine ai motivi di appello.
2. Passando all’esame dei motivi, va rilevato che i ricorrenti denunciano una

errori materiali (il nome proprio nel capo di imputazione; il riferimento al litigio,
anziché al dialogo), che non scalfiscono la logicità della motivazione; gli altri si
traducono in travisamento dei fatti o censure di merito, in quanto tali
inammissibili nel giudizio di legittimità.
2.1 Va ricordato che la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di
merito proponga la migliore possibile ricostruzione dei fatti, nè deve
condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa
giustificazione sia logica e compatibile con il senso comune. L’illogicità della
motivazione, come vizio denunciabile, dev’essere, inoltre, percepibile ictu ocu/i,
dovendo il sindacato di legittimità essere limitato a rilievi di macroscopica
evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze. Dunque, non è possibile
per questa Corte procedere ad una ricostruzione alternativa dei fatti,
sovrapponendo a quella compiuta dai giudici di merito una diversa valutazione
del materiale istruttorio, se, come nel caso di specie, vi è congrua e logica
motivazione nel provvedimento (o, meglio, nei provvedimenti, dato che le
motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, come si è ricordato in
premessa, si integrano a vicenda).
2.2 Così la censura relativa all’attendibilità della persona offesa e del Bonasciutti
è inammissibile, in considerazione della doppia valutazione di attendibilità
operata dai giudici di merito; i contrasti e le lacune della deposizione del
secondo, segnalati in modo del tutto generico, inducono ad una rivalutazione del
materiale probatorio, inammissibile in questa sede, senza integrare alcun vizio di
illogicità manifesta o contraddittorietà. Lo stesso è da dirsi con riferimento alle
deposizioni dei testi di difesa, ampiamente scrutinate dai giudici di merito sotto il
profilo dell’attendibilità e ritenute non incompatibili con la versione della persona
offesa; infine, riguardo all’episodio del 15 ottobre 2007, lo stesso è stato
esaminato dalla decisione di primo grado.
2.3 Per quanto concerne il travisamento denunciato con riferimento ai testi di
difesa, va ribadito che, anche a seguito delle modifiche dell’art. 606 c.p.p.,
comma 1, lett. e), introdotte dalla L. n. 46 del 2006, art. 8 non è consentito
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serie di vizi motivazionali della sentenza, alcuni dei quali si risolvono in evidenti

dedurre il “travisamento del fatto”, stante la preclusione per il giudice di
legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a
quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012,
Minervini, Rv. 253099; Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, Casavola, Rv. 238215;
Cass. n. 27429/2006, Rv. 234559, Lobriglio) ed esso può essere fatto valere
nell’ipotesi in cui l’impugnata decisione abbia riformato quella di primo grado,
non potendo, nel caso di cd. doppia conforme, superarsi il limite del “devolutum”
con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il giudice d’appello, per

probatorio non esaminati dal primo giudice (Sez. 4, n. 19710 del 03/02/2009,
P.C. in proc. Buraschi, Rv. 243636; Sez. 1, n. 24667 del 15/06/2007, Musumeci,
Rv. 237207; Sez. 2, n. 5223 del 24/01/2007, Medina, Rv. 236130).
2.4 La nuova disciplina consente di dedurre il vizio di “travisamento della prova”,
che ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio
convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova
incontestabilmente diverso da quello reale, sempreché la difformità risulti
decisiva, ossia quando l’errore disarticoli effettivamente l’intero ragionamento
probatorio e renda illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del
dato processuale/probatorio travisato, circostanza che nel caso concreto deve
escludersi, attesa la valutazione di non incompatibilità operata dai giudici di
merito.
3. In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; alla declaratoria
di inammissibilità segue, per legge, la condanna dei ricorrenti al pagamento delle
spese processuali nonché (trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile
alla volontà, e quindi a colpa, del ricorrente: cfr. Corte Costituzionale sent. n.
186 del 7-13 giugno 2000) al versamento ciascuno di essi, a favore della cassa
delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro
1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti singolarmente al
pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 ciascuno in
favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 17 luglio 2013
Il consigliere estensore

Il presidente

rispondere alla critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti a contenuto

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