Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44358 del 21/06/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 44358 Anno 2013
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: DE MARZO GIUSEPPE

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Celesti Roberto, nato a Perugia il 29/03/1956
avverso la sentenza del 29/10/2012 della Corte d’appello di Milano R.G. n. 4958/2009
visti gli atti, il prowedimento impugnato ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione svolta dal Consigliere Dott. Giuseppe De Marzo;
udito il Procuratore Generale, in persona del Dott. Piero Gaeta, che ha concluso per il
rigetto del ricorso;
udito, per l’imputato, l’Aw. Gian Luca Pernazza, il quale ha concluso per raccoglimento del
ricorso.
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 29/10/2012 la Corte d’appello di Milano ha confermato l’affermazione di
responsabilità di Roberto Celesti, in relazione al reato di falso materiale avente ad oggetto la
contraffazione di un tesserino di appartenenza all’Arma dei Carabinieri.
La Corte territoriale ha rilevato: a) che il documento in questione era risultato interamente
contraffatto, come dimostrato dalla relazione tecnica acquisita agli atti e dalla deposizione
dell’operante della Dogana di Ponte Chiasso che procedette al sequestro; b) che il reato era
stato accertato in data 10/10/2007 e nessuna prova era stata fornita dall’interessato, quanto
alla falsificazione in data anteriore; c) che l’imputato non aveva beneficiato delle attenuanti
generiche, alla luce della gravità del fatto e dell’assenza di circostanze positive offerte alla
valutazione del giudice, e che la pena era adeguata agli indici di gravità indicati e si
discostava solo in minima misura dai minimi edittali.
1

Data Udienza: 21/06/2013

2. Nell’interesse del Celesti è stato proposto ricorso per cassazione affidato ai seguenti
motivi.
2.1. Con il primo motivo, si lamenta inosservanza e violazione degli artt. 157, 161, 163 164
cod. proc. pen., in relazione agli artt. 178 e 179 del codice di rito, per non essere stato il
decreto di citazione dinanzi alla Corte d’appello notificato presso il domicilio eletto, con
conseguente nullità del giudizio di secondo grado, della sentenza e della notifica dell’estratto
contumaciale.
In particolare, si rileva che, nonostante l’elezione di domicilio in Perugia, via Strozzacapponi,

citazione a giudizio dinanzi alla Corte d’appello era stato notificato, verosimilmente ai sensi
dell’art. 161 cod. proc. pen., presso il difensore, senza alcuna indicazione di un (non
conosciuto) decreto di irreperibilità; b) lo stesso decreto era stato notificato in Perugia, alla
via Einaudi, 81; c) presso quest’ultimo indirizzo era stato notificato l’estratto contumaciale
della sentenza di secondo grado.
2.2. Con il secondo motivo, si lamentano vizi motivazionali, nonché violazione o erronea
applicazione dell’art. 531, comma 2, cod. proc. pen., dal momento che la Corte territoriale
aveva disatteso la censura relativa all’intervenuta prescrizione, commettendo tre errori logici:
a) aver fatto coincidere la data di falsificazione con la data dell’accertamento di possesso del
documento falsificato; b) avere ritenuto che l’imputato avesse fatto riferimento alla data di
apparente rilascio del documento quale data di falsificazione; c) avere fatto gravare
sull’imputato l’onere di dimostrare la data della falsificazione del documento.
2.3. Con il terzo motivo, si lamentano vizi motivazionali, nonché inosservanza o erronea
applicazione degli artt. 132 e 133 cod. proc. pen., per avere la Corte territoriale, invece di
prendere atto della assoluta genericità della motivazione della sentenza di primo grado in
punto di accertamento del falso e di determinazione della pena, individuato, quanto al primo
profilo, delle risultanze processuali (relazione tecnica e la deposizione dell’operante della
Dogana di Ponte Chiasso) non menzionate dal tribunale e, quanto al secondo profilo,
autonomi criteri di commisurazione.
Considerato in diritto
1. Con riferimento al primo motivo, va ribadito che è inammissibile, per difetto di specificità
del motivo, l’impugnazione con cui si deduca la nullità della notifica di un atto in ragione
della sua effettuazione a mezzo fax presso il difensore di fiducia e non al domicilio dichiarato
dall’imputato, ove il ricorrente non indichi il concreto pregiudizio derivato in ordine alla
conoscenza dell’atto stesso e all’esercizio del diritto di difesa (Sez. 6, n. 34558 del
10/05/2012 – dep. 11/09/2012, P., Rv. 253276).
In ogni caso, nella specie, risulta dagli atti che la notifica presso il domicilio eletto era stata
tentata, ma con esito negativo, poiché nella relata si attesta che il civico indicato non è
esistente.
2. Del pari inammissibile è il secondo motivo di ricorso.

2

presso Magliani Vera, contenuta nell’atto di nomina del difensore di fiducia: a) il decreto di

Il brano della motivazione della sentenza di secondo grado nel quale si rileva che l’imputato
non ha fornito la prov gdla falsificazione fosse avvenuta in data diversa da quella
dell’accertamento va, infatti, letta non isolatamente, ma in un contesto motivazionale nel
quale la Corte territoriale espressamente recepisce le argomentazioni del giudice di primo
grado, secondo il quale le due tessere in sequestro apparivano di recentissima fattura e
totalmente prive di segni di usura.
Ne discende che il riferimento della Corte territoriale non va apprezzato come
un’inammissibile inversione dell’onere probatorio, ma come la presa d’atto che il motivato

segno contrario.
Tali essendo le ragioni sulle quali si fonda la conclusione raggiunta, il motivo di ricorso
appare privo di specificità, perché non intacca tale nucleo essenziale della motivazione.
3. Anche il terzo motivo, nella sua complessa articolazione, è inammissibile, per manifesta
infondatezza, in quanto rientra sicuramente nei poteri del giudice di secondo grado integrare
la motivazione della sentenza impugnata, sia in punto di affermazione di responsabilità,
attraverso la valorizzazione di risultanze processuali legittimamente acquisite e trascurate dal
giudice di prime cure, sia quanto alla determinazione della pena, dando rilievo a circostanze
risultanti dagli atti.
4. Alla pronuncia di inammissibilità consegue ex art. 616 cod. proc. pen, la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento, in favore della Cassa
delle ammende, di una somma che, in ragione delle questioni dedotte, appare equo
determinare in euro 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma il 21/06/2013

Il Componente estensore

Il Presidente

accertamento del Tribunale non risultava scalfito da alcun altra emergenza processuale di

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