Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44342 del 15/10/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 44342 Anno 2013
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: CARRELLI PALOMBI DI MONTRONE ROBERTO MARIA

SENTENZA

Sul ricorso proposto da Cirino Carmelo nato Santa Lucia del Mela il
7/3/1956
avverso la sentenza del 14/1/2013 della Corte d’appello di Messina;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Roberto Maria Carrelli Palombi di
Montrone;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale,
dott. Antonio Mura, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito per l’imputato l’avv. Giovanni Pino che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
1.

Con sentenza in data 14/1/2013, la Corte di appello di Messina

confermava la sentenza del Tribunale ffi Barcellona RG. sez. dist. di Taormina
de! 16/2/2010 con la quale Cirino Carmelo era stato condannato alla pena di
anni uno e mesi otto di reclusione per il reato a lui ascritto di cui all’art. 640
bis cod. pen
1.1. La Corte territoriale respingeva le censure mosse con l’atto d’appello ed
,
in particolare quellarRa ritenuta re3ponsebilità dell’imputato in ordine al

1

Data Udienza: 15/10/2013

reato ascritto.

2.

Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputato per mezzo del suo

difensore di fiducia, sollevando i seguenti motivi di gravame:
2.1. Contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione per essersi la
Corte d’Appello limitata a riproporre le argomentazioni del giudice di prime
cure senza dare risposta alle censure mosse con l’atto di appello.
2.2. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione agli

degli artifizi e raggiri, il fatto al più poteva integrare la diversa ipotesi di cui
all’art. 316 ter cod. pen.
2.3. mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con
riferimento alla mancanza degli artifizi e raggiri necessari per l’integrazione
del delitto contestato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso deve essere

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rigettato per essere infondati tutti i

motivi dedotti. Difatti, con congrua ed adeguata motivazione, la Corte
territoriale ha ravvisato la sussistenza nel fatto ascritto all’imputato di tutti
gli elementi del reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni
pubbliche di cui all’art. 640 bis cod. pen. Nel ricorso, al di là della materiale
trascrizione dei motivi di appello, si ripropongono questioni di mero fatto
che implicano una valutazione di merito preclusa in sede di legittimità, a
fronte di una motivazione esaustiva, immune da vizi logici; specificamente
la Corte territoriale ha evidenziato come nel giudizio di primo grado era
stato accertato che l’imputato, in qualità di legale rappresentante della
«Cirino Infissi» S.r.l., nelia domanda per l’ottenimento di un
finanziamento agevolato ai sensi della legge n. 488 del 1992, aveva fatto
figurare falsamente l’acquisto di macchinari nuovi di fabbrica e da lui
realmente pagati, così ottenendo l’erogazione di un finanziamento non
dovuto per l’importo complessivo di C 707.173,07; viceversa, hanno dato
atto i giudici di appello, dalle indagini effettuate dalla Guardia di Finanza era
emerso che le suddette attrezzature erano state vendute dalla ditta
individuale Cirino Carmelo alla ditta Magliocc:hetti Filippo, il quale poi le
aveva rivendute alla Cirino Infissi S.r.l., beneficiaria del finanziamento.
Ed anche con riferimento alla qualificazione giuridica del fatto, dalla

CL

artt. 640 bis e 316 ter cod. pen. Rileva, al riguardo, che, stante la mancanza

motivazione della sentenza impugnata si evince chiaramente come la
condotta dell’imputato sia stata posta in essere attraverso una serie di
artifizi e raggiri che hanno consentito l’ottenimento del finanziamento e ciò
impedisce di inquadrare il fatto nell’ambito della violazione dell’art. 316 ter
cod. pen. Al riguardo il discrimine fra le ipotesi di reato di cui all’art. 640 bis
cod. pen. e quella di cui all’art. 316 ter cod. pen. è stato individuato, dalla
giurisprudenza di questa Corte, nella natura residuale e sussidiaria del reato
di cui all’art. 316 ter cod. pen. rispetto alla truffa aggravata per il

in un rapporto di specialità della prima rispetto alla seconda norma, nel
senso che l’art. 316 ter cod. pen. mira a colpire condotte che non rientrano
nel campo di operatività della truffa, come ad esempio quelle del silenzio
antidoveroso o di una condotta che non induca effettivamente in errore
l’autore della disposizione patrimoniale (sez. U n. 16568 del 19/4/2007, Rv.
235962). Ed inoltre deve essere al riguardo ribadito, come affermato nella
decisione ora citata, che l’accertamento dell’esistenza dell’induzione in
errore, quale elemento costitutivo del delitto di truffa, ovvero la sua
mancanza, con la conseguente configurabilità del delitto di cui all’art. 316
ter cod. pen., costituisce una questione di fatto che non può essere
introdotta nel giudizio di legittimità in presenza, come nel caso di specie, di
una motivazione esaustiva e priva di contraddizione logiche in ordine alla
sussistenza del suddetto elemento. E nella stessa direzione si è mossa
anche la giurisprudenza successiva di questa Corte affermando che la
differenza fra il reato di indebita percezione di pubbliche erogazioni e quello
di truffa aggravata finalizzata ai conseguimento delle stesse, che hanno in
comune l’elemento dell’indebita percezione di contributi da parte dello Stato
o di altri enti pubblici o dalle Comunità europee, va ravvisata nella mancata
inclusione, tra gli elementi costitutivi del primo reato, dell’induzione in
errore del soggetto passivo, presente invece nel secondo; ciò comporta che
qualora l’erogazione consegua alla mera presentazione di una dichiarazione
mendace senza costituire l’effetto dell’induzione in errore dell’ente erogante
circa i presupposti che la legittimano, ricorre la fattispecie prevista dall’art.
316 ter cod. peri. e non quella di cui all’art. 640 bis cod. pen. (sez. 6 n.
28665 del 31/5/2007, Rv. 237114).

4. Al rigetto del ricorso consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la

conseguimento di erogazioni pubbliche di cui all’art. 640 bis cod. pen. e non


condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Il Consigliere

tensore

Il Presidente

Così deciso il 15 ottobre 2013

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