Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44338 del 15/10/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 44338 Anno 2013
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: MANNA ANTONIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da Cadelano Franco,
avverso la sentenza 16.1.13 della Corte d’Appello di Cagliari;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita in pubblica udienza la relazione del Consigliere Dott. Antonio Manna;
udito il Procuratore Generale nella persona del Dott. Antonio Mura, che ha
concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore – Avv. Giuseppe Marazzita quale sostituto dell’Avv. Fernando
Vignes -, che ha concluso per l’annullamento dell’impugnata sentenza in virtù dei
motivi di cui al ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza 16.1.13 la Corte d’Appello di Cagliari confermava la condanna
emessa all’esito di rito abbreviato il 5.4.12 dal GUP del Tribunale della stessa
sede nei confronti di Franco Cadelano per rapina aggravata commessa il 10.12.11
ai danni dell’ufficio postale di Selargius, nonché per detenzione e porto illegali di
una pistola.
Tramite il proprio difensore Franco Cadelano ricorreva contro la sentenza, di cui
chiedeva l’annullamento per un solo motivo con cui lamentava vizio di

Data Udienza: 15/10/2013

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motivazione nella gen la Corte territoriale aveva contraddittoriamente valutato
gli indizi a carico del ricorrente – concernenti lo scooter che gli apparteneva e il
riconoscimento, da parte dei testimoni, della sciarpa e degli occhiali a mascherina
usati durante la rapina — pur dopo aver condiviso le censure difensive sulla loro
scarsa valenza, anche in ragione delle modalità del riconoscimento stesso. La
sentenza aveva, poi, illogicamente valutato a carico del ricorrente il rinvenimento
dello scooter a lui intestato, abbandonato dal Cadelano con un comportamento

contrariamente a quanto asserito dai giudici del gravame — che lo stato di
tossicodipendenza del ricorrente, unitamente alla mancata assunzione del
metadone, potesse indurlo a scelte imprudenti o poco ponderate, poiché con
questo stesso metro di giudizio si sarebbe dovuto dubitare anche delle ammissioni
fatte dal Cadelano in sede di convalida dell’arresto. La sentenza era, ancora, da
censurarsi per aver ritenuto che la pistola posseduta dall’imputato potesse
corrispondere a quella utilizzata nel corso della rapina, pur essendo del tutto
irrazionale il comportamento di chi, commesso il reato, avesse abbandonato in
loco lo scooter intestatogli e, poi, avesse consegnato in custodia alla sorella la
pistola utilizzata.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1- Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato.
L’atto di impugnazione incorre nella violazione proprio di quella regola
contenuta nell’art. 192 co. 2° c.p.p. che pur invoca, ossia valuta atomisticamente
gli indizi emersi a carico del Cadelano.
È noto che, analizzato singolarmente ogni indizio per saggiarne la significatività
individuale ed acquisita tale valenza indicativa (sia pure di portata possibilistica e
non univoca), deve poi passarsi al momento metodologico – successivo dell’esame globale, attraverso il quale l’ambiguità indicativa di ciascun elemento
indiziario può risolversi sommandosi e integrandosi con gli altri.
L’insieme che ne deriva può, se del caso, essere apprezzato in una prospettiva
unitaria, tendente a porne in luce i collegamenti e la confluenza in un medesimo
contesto dimostrativo, così assumendo quel pregnante ed univoco significato
dimostrativo che consente di ritenere conseguita la prova logica del fatto, non
meno qualificata della prova diretta o storica (cfr., per tutte, Cass. S.U. n. 33748

incomprensibile se proveniente dall’autore della rapina; né poteva dirsi —

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del 12.7.05, dep. 20.9.05, rv. 231678, Mannino; Cass. Sez. U n. 6682 del 4.2.92,
dep. 4.6.92, rv. 191230, PM e p.c. in proc. Musumeci e altri).
È questo il percorso logico correttamente svolto dall’impugnata sentenza, che ha
fondato la conferma della penale responsabilità dell’odierno ricorrente in ordine ai
reati ascrittigli in base al fatto che sciarpa, occhiali a mascherina e

scooter

del

Cadelano erano simili a quelli dell’autore della rapina come notati dai testimoni,
così come simili erano la corporatura, il vestiario e il colorito livido delle mani e

nonché la pistola affidata in custodia alla sorella Valeria (arrestata tre giorni dopo
la rapina all’ufficio postale).
Il quadro indiziario è stato completato — con argomentazioni scevre da vizi
logici o giuridici — dalle contraddizioni in cui è incorso il ricorrente in sede di
convalida dell’arresto circa i propri movimenti nel giorno della rapina e la ragione
(mancanza di carburante) per cui avrebbe abbandonato lo

scooter

(in realtà, di

carburante vi era ancora una porzione consistente).
A quest’ultimo riguardo si tenga presente che, alla luce di quanto emerge dalla
gravata pronuncia, il ricorrente si allontanò dal luogo della rapina proprio a bordo
dello scooter, salvo poi abbandonarlo poco dopo in una strada vicina.
Si tratta di un comportamento tutt’altro che illogico nell’ottica d’un rapinatore
che voglia subito separarsi (nell’immediato, con la riserva mentale di recuperarle
in seguito) dalle cose potenzialmente a lui ricollegabili come, appunto, lo

scooter

notato dal teste Damiano fuori l’ufficio postale e gli oggetti usati per travisarsi
(non a caso custoditi all’interno del mezzo medesimo), essendo più sicuro
allontanarsi a piedi una volta nascosto lo

scooter

alla vista dei testimoni.

Le differenti letture ipotizzate in ricorso scivolano sul piano dell’apprezzamento
di merito, che presupporrebbe un accesso diretto agli atti e una loro delibazione in
punto di fatto incompatibili con il giudizio innanzi a questa Corte Suprema, cui
spetta soltanto il sindacato sulle massime di esperienza adottate nella valutazione
degli indizi di cui all’art. 192 co. 2° c.p.p., nonché la verifica sulla correttezza
logico-giuridica del ragionamento seguito e delle argomentazioni sostenute per
qualificare l’elemento indiziario come grave, preciso e concordante, senza che ciò
possa tradursi in un nuovo accertamento, ovvero nella ripetizione dell’esperienza
conoscitiva propria dei gradi precedenti (cfr., ad es., Cass. Sez. VI n. 20474 del
15.11.02, dep. 8.5.03).

delle nocche assai rugose (particolare — quest’ultimo – riferito dalla teste Cogoni),

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A sua volta il controllo in sede di legittimità delle massime di esperienza non
può spingersi fino a sindacarne la scelta, che è compito del giudice di merito,
dovendosi limitare questa S.C. a verificare che egli non abbia confuso con
massime di esperienza quelle che sono, invece, delle mere congetture.
Le massime di esperienza sono definizioni o giudizi ipotetici di contenuto
generale, indipendenti dal caso concreto sul quale il giudice è chiamato a
decidere, acquisiti con l’esperienza, ma autonomi rispetto ai singoli casi dalla cui

adoperabili come criteri di inferenza, vale a dire come premesse maggiori dei
sillogismi giudiziari di cui alle regole di valutazione della prova sancite dal co. 2°
dell’art. 192 c.p.p.
Costituisce, invece, una mera congettura, in quanto tale inidonea ai fini del
sillogismo giudiziario, tanto l’ipotesi non fondata sull’id quod plerumque accidit,
insuscettibile di verifica empirica, quanto la pretesa regola generale che risulti
priva, però, di qualunque pur minima plausibilità (cfr. Cass. Sez. VI, n. 15897 del
15 aprile 2009; Cass. Sez. VI n. 16532 del 13.2.07, dep. 24.4.07, rv. 237145).
Ciò detto, si noti che nel caso di specie il ricorso non evidenzia l’uso di
inesistenti massime di esperienza né violazioni di regole inferenziali, ma si limita
a segnalare soltanto possibili difformi valutazioni degli elementi raccolti, il che
costituisce compito precipuo del giudice del merito, non di quello di legittimità,
che non può prendere in considerazione quale ipotetica illogicità argomentativa la
mera possibilità di un’ipotesi alternativa rispetto a quella ritenuta in sentenza
(anche a riguardo la giurisprudenza di questa S.C. è antica e consolidata: cfr.
Cass. Sez. In. 12496 del 21.9.99, dep. 4.11.99; Cass. Sez. In. 1685 del 19.3.98,
dep. 4.5.98; Cass. Sez. I n. 7252 del 17.3.99, dep. 8.6.99; Cass. Sez. I n. 13528
dell’11.11.98, dep. 22.12.98; Cass. Sez. In. 5285 del 23.3.98, dep. 6.5.98; Cass.
S.U. n. 6402 del 30.4.97, dep. 2.7.97; Cass. S.U. n. 16 del 19.6.96, dep. 22.10.96;
Cass. Sez. In. 1213 del 17.1.84, dep. 11.2.84 e numerosissime altre).
In breve, non emerge violazione delle regole valutative di cui all’art. 192 c.p.p.,
così come non risultano contraddizioni od illogicità nella motivazione della
sentenza, cui il ricorso oppone soltanto una differente possibile lettura del
materiale istruttorio, operazione non consentita in sede di legittimità.

osservazione sono dedotti ed oltre i quali devono valere; tali massime sono

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2- All’inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento a favore della
Cassa delle Ammende di una somma che stimasi equo quantificare in euro
1.000,00 alla luce dei profili di colpa ravvisati nell’impugnazione, secondo i
principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186/2000.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione Penale,

processuali e della somma di € 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, in data 15.10.13.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese

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