Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44333 del 15/10/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 44333 Anno 2013
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: MANNA ANTONIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da Mondelli Emilio,
avverso la sentenza 3.10.12 della Corte d’Appello di Lecce;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita in pubblica udienza la relazione del Consigliere Dott. Antonio Manna;
udito il Procuratore Generale nella persona del Dott. Antonio Mura, che ha
concluso per l’inammissibilità del ricorso, con trasmissione degli atti alla Corte
d’appello di Lecce per la correzione dll’errore materiale;
udito il difensore – Avv. Luigi Rella -, che ha concluso per l’annullamento
dell’impugnata sentenza in virtù dei motivi di cui al ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza 3.10.12 la Corte d’Appello di Lecce confermava la condanna
inflitta all’esito di rito abbreviato dal GIP del Tribunale della stessa sede nei
confronti di Emilio Mondelli per i delitti di estorsione continuata ai danni della
madre e di maltrattamenti in famiglia.
Tramite il proprio difensore Emilio Mondelli ricorreva contro la sentenza, di cui
chiedeva l’annullamento per i motivi qui di seguito riassunti nei limiti prescritti
dall’art. 173 co. 1° disp. att. c.p.p.:

Data Udienza: 15/10/2013

a) nullità della sentenza perché nel dispositivo risultava indicato il nome di
persona estranea al processo (tale Daniele Fersini);
b) omessa, contraddittoria e manifestamente illogica motivazione nella parte
in cui la gravata pronuncia aveva ritenuto provato il delitto di estorsione, a
tal fine non bastando le dichiarazioni accusatorie della sorella del
ricorrente (Amelia De Benedittis), sfornite di precise connotazioni
temporali e contrastanti con le dichiarazioni rese da altri componenti della

famiglia;
c) vizio di motivazione in ordine alla quantificazione della pena, non avendo
la Corte territoriale preso in considerazione i disturbi psichici e
comportamentali che affliggevano il ricorrente a causa dell’abuso di
alcolici e sostanze cannabinoidi, con conseguente sindrome comiziale.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1- Il ricorso è inammissibile.
Il motivo che precede sub a) è manifestamente infondato.
L’indicazione – come appellante – d’un altro nominativo è frutto d’un mero
errore materiale, come si evince anche dall’originale del dispositivo letto in
udienza, che così recitava: “Letti gli artt. 605 e 592 c.p.p., conferma la sentenza
del GIP di Lecce del 9/11/2011, appellata da Mondelli Emilio, che condanna al
pagamento delle spese di questo grado di giudizio. Termini di giorni sessanta per
il deposito della motivazione della sentenza.”.
Per consolidato insegnamento di questa S.C. la difformità tra il dispositivo letto
in udienza e quello riportato in calce alla motivazione non è causa di inesistenza o
nullità della sentenza — che ricorre solo in caso di difetto totale del dispositivo —
ma, prevalendo il primo, comporta soltanto il ricorso al procedimento di
correzione di errore materiale (cfr. Cass. Sez. III n. 125 del 19.11.2008, dep.
8.1.2009; Cass. n. 12308/2008, rv. 239329; Cass. n. 10588/2006, rv. 233539;
Cass. n. 49485/2003, rv. 227071; Cass. n. 2150/98, rv. 210171; Cass. S.U. n.
15/95, rv. 201028).
Orbene, nel caso in esame la sentenza non è priva di dispositivo, ma ne reca uno
difforme da quello letto in udienza e ciò per mero errore materiale, confermato
altresì dal tenore della motivazione che, infatti, si riferisce effettivamente alle

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imputazioni ascritte al Mondelli ed ai motivi di gravame dallo stesso fatti valere e
respinti dalla Corte territoriale perché infondati.
Alla correzione di tale errore non si può ovviare nella presente sede perché, ai
sensi dell’esplicito disposto dell’art. 130 c.p.p., co. 2°, secondo periodo, ciò è
consentito solo se l’impugnazione non è inammissibile (il che non è, nel caso di
specie).
Dovrà, quindi, provvedervi la Corte d’Appello di Lecce, cui gli atti vanno a tal

fine trasmessi.

2- Il motivo che precede sub b) si colloca al di fuori del novero di quelli
spendibili ex art. 606 c.p.p., perché in esso sostanzialmente si svolgono mere
censure sulla valutazione operata in punto di fatto dai giudici del gravame, che
con motivazione esauriente, logica e scevra da contraddizioni hanno ritenuto
provata l’estorsione ai danni della madre da parte dell’odierno ricorrente in base
alla deposizione della di lui sorella Amelia De Benedittis, che ha narrato di
ripetute minacce rivolte dal ricorrente alla madre affinché gli desse somme di
denaro varie.
Per il resto, nell’invocare genericamente altre deposizioni di segno non
coincidente con quello della teste De Benedittis, il ricorso non fa altro che
sollecitare una generale rilettura delle risultanze istruttorie, operazione non
consentita in sede di legittimità.

3- Il motivo che precede sub c) è manifestamente infondato.
Le condizioni psichiche del ricorrente sono state già valutate fin dalla sentenza
di primo grado al punto da far riconoscere il vizio parziale di mente, con
conseguente diminuzione della pena.
Per il resto, i giudici del merito hanno correttamente motivato, noto essendo in
giurisprudenza che ai fini della determinazione della pena non è necessario che il
giudice, nel riferirsi ai parametri di cui all’art. 133 c.p., li esamini tutti, essendo
invece sufficiente che specifichi a quali di essi ha inteso fare riferimento. Ne
consegue che, con il richiamo alla pluralità dei fatti delittuosi e al clima di paura
ed intimidazione creato dal ricorrente in seno alla sua famiglia, l’impugnata
sentenza ha adempiuto l’obbligo di motivare sul punto (cfr. ad esempio Cass. Sez.

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I n. 707 del 13.11.97, dep. 21.2.98; Cass. Sez. I n. 8677 del 6.12.2000, dep.
28.2.2001 e numerose altre).

4- All’inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento a favore della
Cassa delle Ammende di una somma che stimasi equo quantificare in euro

principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186/2000.

P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione Penale,
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di C 1.000,00 alla Cassa delle Ammende. Ordina la
trasmissione degli atti alla Corte d’appello di Lecce per la correzione dell’errore
materiale di cui in motivazione.
Così deciso in Roma, in data 15.10.13.

1.000,00 alla luce dei profili di colpa ravvisati nell’impugnazione, secondo i

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